Toghe-giornalisti. Linee guida del Csm su comunicazione. Così cambiano i rapporti Pm-stampa (DOCUMENTO)

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Per alcuni è addirittura il tentativo di mettere il bavaglio alla stampa. Per altri, la volontà di spezzare il cortocircuito mediatico-giudiziario che in larga parte della opinione pubblica vale ai magistrati l’accusa di mancare di riserbo se non di imparzialità.

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Il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio (Foto ANSA/CLAUDIO PERI)

Fanno comunque discutere le “Linee-guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale” elaborate dal Consiglio superiore della magistratura (Csm). Che ha creato un gruppo di lavoro di toghe e giornalisti, coordinato dal Primo Presidente Emerito della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio e composto da Francesco Giorgino, Fabrizio Feo, Giovanni Minoli, Gianrico Carofiglio, Stefano Rolando, Giovanni Melillo e Antonio Mura. Che a maggio dopo avere sentito tra gli altri anche il Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa ha elaborato alcuni spunti recepiti dal Csm.

“Il Consiglio superiore della magistratura ritiene necessario un intervento in materia di comunicazione istituzionale degli uffici giudiziari e di rapporti tra magistrati e mass media, e non solo per ovviare alle serie criticità che si manifestano in quei rapporti” si legge nel documento che già in premessa ammette che il problema esiste: il pianeta giustizia va innanzitutto reso più trasparente e comprensibile per aumentare la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto. Ma c’è di più. Quel che fa discutere sono gli indirizzi che il Csm ha voluto impartire ai magistrati in più di un’occasione sono finiti nei guai, anche in sede disciplinare, proprio a causa dei rapporti con la stampa.

Le linee guida, infatti, si fanno carico di esplicitare che la comunicazione serve anche a “correggere o smentire informazioni errate, false o distorte, che possono recare pregiudizio alle indagini, ai diritti delle persone coinvolte o all’immagine di imparzialità e correttezza del singolo magistrato, dell’ufficio giudiziario e, nei casi più gravi, della stessa funzione giudiziaria”. E che vanno evitate “la discriminazione tra giornalisti o testate”, ma soprattutto “la costruzione e il mantenimento di canali informativi privilegiati con esponenti dell’informazione”.

Ma cosa cambia nei rapporti con la stampa specie da parte degli uffici del pubblico ministero? Gli inquirenti – si legge – “potranno” attenersi a due criteri principali: l’informazione non deve interferire con le investigazioni né con il segreto delle indagini e soprattutto non può danneggiare o influenzare la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti nel procedimento o dei terzi. Ne consegue che va dunque evitata, “tanto più quando i fatti sono di particolare complessità o la loro ricostruzione è affidata ad un ragionamento indiziario, ogni rappresentazione delle indagini idonea a determinare nel pubblico la convinzione della colpevolezza delle persone indagate; particolare tutela va dedicata alle vittime e alle persone offese” . E ancora “dichiarazioni ed eventuali interviste vanno rilasciate con equilibrio e misura”. Un monito chiaro.