Comunicazione e pubblicità – Legge Urbani. L’invasione delle marche
Nessuno sa calcolare quanti soldi porterà nelle casse esangui del cinema italiano, ma è partita la corsa all’oro – se oro sarà – del product placement. Una tecnica di comunicazione assai diffusa oltreoceano che inserisce in bella evidenza marchi e prodotti all’interno delle scene di un film in cambio di un corrispettivo monetario alla casa di produzione cinematografica da parte della industria dei consumi. Fino a ieri praticamente sconosciuta, questa tecnica di promozione di origine americana, che si chiama ‘product placement’ (esposizione del prodotto), è diventata di grande attualità dopo il varo della nuova legge del cinema del ministro dei Beni culturali Giuliano Urbani che ha liberalizzato la pubblicità nei film. Il dispositivo è semplice. Si limita a specificare che il brand deve essere coerente con la trama del film e prevede un ‘avviso’ che informa lo spettatore. Tutto da precisare come, se in sovrimpressione o nei credits del film, rinviando la regolamentazione vera e propria ai decreti attuativi della legge che sono ancora fermi al palo. Ma l’innovazione di Urbani risponde all’intenzione di schiudere al cinema lo spiraglio delle risorse pubblicitarie per supplire al calo di quelle tradizionali pubbliche e private. Il cinema italiano sarà così in condizioni di parità con quello americano (ed europeo) dove i marchi si sprecano. La nuova legge del cinema cambia anche il meccanismo degli aiuti pubblici. Lo Stato finanzierà solo il 50% del costo del film invece dell’80% come negli anni scorsi. “L’altro 50% dovremo reperirlo sul mercato”, spiega a Prima Sandro Silvestri, produttore indipendente dell’Api. “Per un film da 3-4 milioni si può calcolare che il 25% sia coperto dalle televisioni pay e free e il 7-10% dall’home video e Dvd. Il produttore potrà rischiare in proprio fino a un massimo del 10%, in alcuni casi quindi la pubblicità potrà aiutare a chiudere il cerchio”. Molti addetti ai lavori sono convinti che si tratterà di risorse molto limitate, come Giancarlo Leone, capo di Raicinema: “Non facciamoci illusioni: il product placement non risolverà il problema della quadratura dei budget. Né tanto meno, come qualcuno nel settore spera, sostituirà il tax shelter. Certo è una innovazione utile perché rende trasparente l’utilizzazione dei marchi ed è anche un modo per avere altri ricavi che però saranno residuali. Siccome non venderemo spot il punto cruciale è che non esistono parametri oggettivi per calcolare il valore del product placement e non è detto che si arrivi a una parametrazione certa”.
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Nella foto, Giuliano Urbani, ministro per i Beni e le attività culturali