Telecom Italia, Fastweb e Wind, i più importanti operatori di rete fissa italiani, hanno deciso di rilanciare insieme l’iptv, la televisione via Internet. I tre fornitori nazionali di iptv (Tiscali si è ritirata dal business) hanno infatti costituito l’Associazione italiana degli operatori iptv per promuovere la tivù via telefono e adsl e giocare un ruolo di primo piano in vista dello switch off, cioè del passaggio definitivo dalla televisione analogica via etere a quella digitale programmata entro il 2012.
Il principale timore dei gestori delle tivù via cavo è innanzitutto di non rimanere schiacciati dalle piattaforme televisive alternative – l’etere e il satellite – attualmente prevalenti. Non è un compito facile, tanto che per la prima volta i tre concorrenti delle reti fisse hanno deciso di superare le loro rivalità e di unirsi. I carrier sanno di disporre della tecnologia più avanzata rispetto ai competitor: infatti le reti fisse broadband possono trasmettere decine di canali in alta definizione, servizi televisivi interattivi e on demand. Possono cioè fornire servizi estremamente personalizzati: inoltre l’offerta televisiva on demand è normalmente abbinata a quella dei servizi telefonici e a Internet ad alta velocità . Lo slogan è: paghi solo una volta per tre servizi.
Giovanni Moglia, presidente della neocostituita associazione e direttore degli affari legali e regolamentari di Fastweb, ama ripetere che la tivù via adsl offre inoltre un vantaggio unico ai broadcaster: quello di valorizzare al meglio il magazzino, cioè la “coda lunga” dei programmi realizzati in decenni di attività . Non a caso, per esempio, Mediaset ha dichiarato di essere interessata a diffondere le sue pay tv anche via cavo. Le tecnologie adsl e in fibra ottica sono insomma le più complete e avanzate. Però questo non basta a decretarne il successo. L’Italia è stata il primo Paese al mondo a partire cinque anni fa con la tivù via adsl, grazie a Fastweb: ma oggi complessivamente gli utenti collegati alle reti dei tre carrier – che trasportano principalmente i canali a pagamento di Sky Italia – sono solo circa 500mila. Pochi in confronto ai 4,7 milioni di abbonati al satellite e ai 7 milioni di famiglie dotate di decoder per la tivù digitale terrestre. Il fatto è che la banda larga fissa è tanto più avanzata delle altre piattaforme quanto più costosa.
Il primo obiettivo dell’associazione iptv riguarda proprio i tre carrier aderenti: ognuno di loro infatti offre ai propri clienti un decoder proprietario, incompatibile con gli altri. Infatti l’iptv è una tecnologia ancora giovane e non standardizzata. E finora ogni carrier ha badato soprattutto a sviluppare il suo parco clienti. “Nel giro di pochi mesi detteremo le specifiche per il decoder unico”, promette Moglia. In questa maniera i costi di produzione dei decoder diminuiranno drasticamente e i clienti potranno abbonarsi senza più vincoli a una delle offerte concorrenti.
Inoltre l’associazione si propone di fare lobbying presso il governo e gli enti locali. Come le pay tv via satellite ed etere, le pay tv via cavo sono infatti state colpite dall’aumento dell’Iva dal 10 al 20%. Ora però vogliono parità di trattamento. “Secondo i principi di neutralità tecnologica dettati dall’Europa”, ricorda Moglia, “la promozione della tivù digitale dovrà essere uguale per tutti”. Regione per regione, le campagne informative per il passaggio al digitale dovranno anche comprendere la possibilità di collegarsi alla tivù via adsl; e gli (scarsi) aiuti per l’acquisto dei nuovi decoder digitali dovrebbero riguardare anche la tivù via cavo.
L’associazione dovrà inoltre battersi su altri due fronti strategici. Moglia si propone di riuscire a strappare alle major l’uscita dei film in contemporanea con l’uscita dei dvd, in modo da aumentare sostanzialmente l’audience delle tivù via cavo e gli incassi. E in prospettiva dovrà affrontare un altro problema: il forte aumento del traffico. In Gran Bretagna per esempio, dove i servizi di tivù on line di Bbc e Itv sono molto diffusi, il traffico video comincia a saturare le reti. Non a caso i gestori hanno chiesto alle televisioni di partecipare agli investimenti per le nuove reti. Insomma, il rapporto tra carrier e fornitori di contenuti è indispensabile ma anche conflittuale.