‘Niente è più come prima’, il titolo della quarta Conferenza nazionale sul digitale terrestre, tenutasi a Roma il 21 e il 22 gennaio scorso, appare davvero azzeccato alla luce di quanto sta avvenendo in questi giorni nel nostro mercato televisivo. L’accelerazione che è stata data
al passaggio al digitale terrestre con gli switch over, che da qui al 2012 traghetteranno progressivamente il Paese al nuovo sistema, ha messo in fibrillazione i grandi e piccoli operatori della televisione. Quest’anno toccherà a 13 milioni di famiglie passare dal sistema analogico a quello digitale, una rivoluzione che per la prima volta toccherà i grandi agglomerati urbani (a maggio Torino e Cuneo vedranno spegnere Raidue e Retequattro, a giugno Roma), mentre l’anno prossimo saranno coinvolte 23 milioni di famiglie.
A parte gli innumerevoli problemi che in vista dello switch off dovranno affrontare le istituzioni nazionali e locali (a partire dal dipartimento Comunicazioni di Paolo Romani, fino all’Agcom, alle Regioni e ai Comuni), anche i broadcaster Rai e Mediaset, per non parlare delle televisioni locali, hanno capito, dopo la prima esperienza di passaggio al digitale fatta in Sardegna, che con la nuova piattaforma diffusiva niente è veramente più come prima.
I dati Auditel della Sardegna all digital, primo test sui comportamenti degli utenti alle prese con la multicanalità , hanno rivelato il grande successo di Sky, cresciuta in ascolti e penetrazione. È successo infatti che diversamente da quel che ingenuamente si prevedeva e sembrava naturale, i sardi che vedevano la tivù solo con la vecchia antenna non si sono automaticamente allacciati comperando il decoder al digitale terrestre, ma una buona parte ha scelto di sottoscrivere l’abbonamento a Sky, visibile grazie al satellite anche nelle zone che il Dtt non riesce a raggiungere, e che oltre all’offerta pay trasmette tutti i canali non a pagamento, con il massimo degli ascolti per Raiuno, Raidue e Raitre, Canale 5, Italia 1 e Retequattro. Una specie di beffa per Rai e Mediaset, che invece sul digitale hanno registrato un leggero calo di ascolti, capendo che con la nuova tecnologia tutte le offerte sono in concorrenza. Da qui la decisione dei due broadcaster di usare anche il satellite per diffondere la propria offerta in digitale terrestre che, raggruppata sotto il brand ‘Tivù Sat’, debutterà a giugno quando a Roma inizierà lo switch off degli impianti analogici di Raidue e di Retequattro.
E non finisce qui, come abbiamo già anticipato, Rai e Mediaset stanno anche decidendo se gli convenga togliere le loro sei reti generaliste dall’offerta di Sky in modo da eliminare un vantaggio competitivo al concorrente. Da qui l’inizio della guerra che sta terremotando il sistema con lo scontro aperto tra Viale Mazzini e Cologno da una parte e Sky Italia dall’altra. Una guerra che ha trovato in Fiorello il trofeo simbolico.
Mentre trapelano i progetti dell’alleanza Rai Mediaset per Tivù Sat, Sky, zitta zitta, riesce nel colpo di sfilare Fiorello alla Rai firmando con la star un’esclusiva televisiva di un anno. La notizia va sulle prime pagine dei giornali, Silvio Berlusconi addirittura invita Fiorello a Palazzo Grazioli per dissuaderlo dal passare al ‘nemico’. L’impatto simbolico è forte: la star più amata dagli italiani lascia il servizio pubblico per la pay tv, un evento che per Sky vuol dire crescita di immagine, il riconoscimento come grande player della televisione italiana, e un passo avanti in una precisa strategia di mercato.
Così dal 1° aprile il ‘Fiorello show’ debutterà su Sky Vivo con quattro appuntamenti settimanali di mezz’ora in seconda serata, che proporranno un concentrato dello spettacolo che Fiorello farà da aprile a giugno sotto il tendone di piazzale Clodio a Roma, spettacolo sempre aggiornato, giorno dopo giorno, seguendo l’attualità un po’ come funzionava la sua popolarissima trasmissione radiofonica ‘Viva Radio 2’.
Raccontano che Tom Mockridge, amministratore delegato di Sky Italia, si sia ‘innamorato’ di Fiorello un anno fa durante una convention della pay tv in cui lo showman era stato irresistibile. Un feeling che era sfociato nella trattativa aperta da Andrea Scrosati, vice president corporate and marketing communications di Sky, che conosce bene Fiorello e il suo agente, Antonio Germinario, suoi clienti ai tempi in cui era presidente dell’agenzia di comunicazione Mn. Nella partita è entrato come al solito Bibi Ballandi, il produttore storico degli spettacoli di Fiorello, che realizzerà il programma televisivo di Sky. Ma un ruolo di grande influenza lo ha avuto il regista Giampiero Solari, il ‘tutor’ artistico di Fiorello, che lo ha fatto risorgere dopo la crisi degli anni Novanta per l’eccesso di esposizione sulle reti Mediaset, lo ha addestrato a parlare con il pubblico, a lavorare in teatro, creando il fenomeno che oggi tutti si contendono.
Solari qualche mese fa è stato convinto da Scrosati a collaborare con la squadra del canale Sky Vivo e dopo un po’ è arrivato anche Fiorello, che sbarca a Sky con un ingaggio, si dice, di 10 milioni di euro, l’intero plotone dei suoi autori ed è probabile che farà altre cose oltre il programma previsto. Quella sulla pay tv è un’avventura che darà all’attore un gran ritorno d’immagine a rischio zero, dato che qualsiasi ascolto faccia – e sicuramente li farà – servirà ad aumentare i piccoli share di Sky, inoltre potrà sperimentare in assoluta libertà per una platea pagante, che è più ‘smart’ di quella tradizionale.
Per la pay tv ‘Telefiorello’ è un colpo mediatico, ma c’è di più visto che sono stati contattati altri volti famosi della tivù: il primo è stato Piero Chiambretti, che ha preferito Italia 1, poi Paolo Bonolis e si parla anche di Adriano Celentano. Movimenti che vengono messi in relazione con il rilancio di Sky Vivo, il primo canale di Sky posizionato subito dopo l’infilata delle reti generaliste, che fino a oggi ha tenuto i motori bassi, poco illuminato e con una scarsa fidelizzazione, perché trasmette reality Usa e vecchie sitcom d’importazione, mescolate a piccole produzioni a basso costo e alle extension dei reality prestati da Rai e Mediaset.
Sky ha comunicato che, in occasione dell’esordio del ‘Fiorello show’, il canale da aprile cambierà nome e la struttura del palinsesto. Un restyling di cui si sa poco, ma l’abbinata con Fiorello avvalora l’ipotesi che Sky voglia alzare il tiro facendo un canale rivolto all’intera platea degli abbonati con stili e modelli un po’ più alti di quanto possono permettersi Canale 5 o Raiuno e con ambizioni d’ascolto maggiori delle nicchie tematiche. Il modello di riferimento potrebbe essere Sky One, il canale bandiera della pay inglese BSkyB, che vanta un parco clienti di oltre 9 milioni. È un canale che ha un prime time forte di serie televisive e un pomeriggio di spettacolo e reality e che, nato in alternativa alle offerte della Bbc e di Itv, si è ritagliato uno spazio rilevante nel sistema televisivo inglese.
Che a Sky non basti più la sola tivù tematica ne è convinto Carlo Freccero, grande esperto di televisione e presidente di Raisat. “Guardo i fatti e tiro le conseguenze”, dice Freccero che legge l’operazione Fiorello correlata all’ipotesi che le reti di Rai e Mediaset escano a luglio dalla piattaforma satellitare. “È una anomalia tutta italiana ma la tivù generalista, per la peculiarità del nostro pubblico, è assolutamente centrale nel sistema. Non a caso sono le reti di Rai e Mediaset che generano i maggiori ascolti della pay tv”, dice Freccero che qualche anno fa, proprio per questo motivo, aveva suggerito a Mockridge un canale vetrina col meglio della programmazione della piattaforma. Non se ne era fatto niente, ma in compenso la pay ha rilanciato sul suo bouquet commerciale le reti generaliste. “Se si paventa l’ipotesi della privazione di questo grande trascinamento, Sky è obbligata a sostituire l’anello mancante completando la sua offerta con contenuti e personaggi che vengono da quel mondo. Ipotizzo che il modello Sky One, adattato al mercato italiano, potrebbe svilupparsi su tre canali semigeneralisti”.
Sky, secondo Freccero, ha già fatto un passo significativo trasferendo Sky Tg24 al numero 100 del telecomando e anteponendolo a Raiuno e al Tg1 per farlo diventare il telegiornale di riferimento del pubblico delle padelle. Mossa che ha dato una grande illuminazione al telegiornale, influenzando il risultato dell’informazione generalista, e che potrebbe essere ulteriormente potenziata dall’arrivo di Enrico Mentana a Sky.
Tutto logico, ma i conti? Fare uno o più canali concorrenziali di questo tipo è costoso tenuto conto che i palinsesti non potrebbero usare il calcio e i film che hanno i loro spazi dedicati. Sky è un’azienda florida che con 4 milioni 700mila abbonati raggiunge, secondo stime, un fatturato di 2,5 miliardi di ricavi. Ma alzare la sfida e i relativi investimenti potrebbe essere rischioso in un momento di crisi economica, per di più con l’handicap di non poter contare sull’amicizia del governo che gli ha raddoppiato l’Iva, portata al 20%, mettendo a repentaglio l’obiettivo dei 5 milioni di abbonati entro il 2009.
Insomma è una sfida tutta da giocare. Certo è che l’operazione Fiorello ha lasciato di sasso la Rai e soprattutto Mediaset. A Viale Mazzini hanno reagito con apparente fair play dovuto al fatto che i vertici, dal direttore generale Claudio Cappon a molti consiglieri di amministrazione, sono tutti con le valigie in mano, mentre il management aziendale ha la testa sulle nomine che si avvicinano con il ricambio della governance.
A Cologno invece sono furiosi. L’impatto è stato forte perché il trasloco di Fiorello viene vissuto come l’epocale passaggio di Mike Bongiorno dalla Rai a Fininvest. Solo che lo specchio si è rovesciato: allora erano gli anni Ottanta e Mike sceglieva la scoppiettante televisione commerciale, oggi è l’odiato nemico Sky che si prende Fiorello.
Cresce dunque la tensione mentre procedono le grandi manovre sul digitale terrestre che vedono Mediaset strettamente alleata alla Rai. L’inedito asse tra i due ex duopolisti si è visivamente materializzato alla quarta Conferenza sul digitale terrestre, che ha riunito a Roma una foltissima platea di operatori per celebrare la nuovo piattaforma. La cornice un po’ trionfalistica e un coro di consensi da pensiero unico hanno tolto spazio a un dibattito serio su frequenze e risorse, che sono le due incognite del processo, però l’incontro è servito a capire che le cose si stanno muovendo davvero.
C’erano tutti i protagonisti delle istituzioni e del business, con in testa il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò e Paolo Romani, sottosegretario alle Comunicazioni, e i molti big delle televisioni. C’erano il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, con l’amministratore delegato, Marco Giordani, e Franco Ricci, tra l’altro direttore business pay; il direttore generale della Rai Claudio Cappon, il vice direttore generale Giancarlo Leone; Franco Bernabè amministratore delegato di Telecom Italia che controlla La7; Giorgio Stock ad di Walt Disney Television Italia. Presente anche Tarak Ben Ammar, nonostante si sia chiamato fuori dal Dtt avendo ceduto l’uso del marchio dei due canali, Sportitalia e Sportitalia 24, al neoeditore Bruno Bogarelli. In scena anche Maurizio Giunco della Frt e Mario Rossignoli di Aeranti-Corallo, le due associazioni che rappresentano l’emittenza locale, da sempre cane e gatto, che oggi invece viaggiano a braccetto sotto l’ala protettiva del sottosegretario Romani, nella speranza di far sopravvivere le televisioni locali alle intemperie del digitale. Grande officiatore Andrea Ambrogetti, appassionato presidente di Dgtvi e direttore relazioni istituzionali di Mediaset, che ha raccontato i passi avanti e i successi sulla strada del digitale.
Si è comunicato chiaro e forte che con lo switch off in Sardegna il passaggio al digitale è partito e andrà avanti a tappe forzate secondo il piano di spegnimento deciso da Romani. Si è capito che chi è salito sul carro vuol difendere la sua offerta e la nuova piattaforma, e che in questa partita, per la prima volta, servizio pubblico e televisione commerciale sono alleati per affrontare uniti le incognite dello switch off. E infine è emerso chiaro lo schieramento di interessi economici e industriali tra Rai, Mediaset, Telecom e le televisioni locali, nettamente alternativo a Sky, assente perché non invitata.
Rai e Mediaset stanno pianificando una strategia comune per evitare che i prossimi più impegnativi switch off si trasformino, come è successo in Sardegna, in una mezza catastrofe per i propri interessi. Hanno deciso di invadere il satellite con l’offerta del digitale terrestre riunita nel logo ‘Tivù Sat’, e a questo scopo hanno costituito ‘Tivù’ di cui sono azionisti con il 48,25% a testa, con la partecipazione del 3,5% di Telecom, e che vede alla presidenza Luca Balestrieri, direttore del digitale terrestre Rai, e Alberto Sigismondi, alto dirigente del Dtt di Mediaset come consigliere delegato per gestire e fornire tutti i servizi (marchio, decoder, Epg, guida elettronica dei programmi, ecc.), coordinare e promuovere il bouquet e fare la comunicazione della piattaforma terrestre e satellitare.
Sul satellite le trasmissioni saranno visibili con un decoder aperto Nagra, diverso dal decoder proprietario Nds di Sky. Sul satellite ci saranno due telecomandi in concorrenza, un fatto che rompendo il monopolio di Sky avrà un forte impatto sul sistema specie se, come si dice, i tre broadcaster decideranno di togliere a Sky le proprie reti generaliste per riunirle alle offerte digitali. In questo caso o l’utente delle parabole avrà un doppio decoder o dovrà andare da una parte dall’altra.
L’uscita da Sky è un passo molto impegnativo e non senza rischi – anche se forse il danno maggiore potrebbe subirlo la pay tv – che si sta vagliando attentamente. “Niente è deciso”, dicono da Cologno. “È una scelta che si può fare solo insieme e quindi aspettiamo di vedere se ottiene il via libera dalla Rai”.
Saranno i nuovi vertici della Rai a decidere, ma a Viale Mazzini si sono già dati da fare. Da due mesi lavora intensamente una task force per definire la strategia dell’azienda sul Dtt e i riflessi sull’alleanza con Sky. Sotto il coordinamento di Giancarlo Leone fanno parte del gruppo Balestrieri, Fabio Belli, il direttore della pianificazione e controllo, Rubens Esposito, eminenza grigia dell’ufficio legale, Maurizio Braccialarghe, amministratore delegato della Sipra, Franco Matteucci, direttore del marketing strategico col suo vice Marcello Ciannamea, e Lorenzo Vecchione, l’amministratore delegato di Raisat.
Si è fatto un lavoro accurato che ha esaminato la complessità dei problemi e poi è stato tradotto in un documento strategico in cui si evidenziano tre possibilità : andare sul satellite con il digitale, ma restare anche su Sky, scendere da Sky per rafforzare il bouquet free, e infine contrattare con Sky un forte fee per la messa in onda dei canali Rai. Cappon lo ha firmato e nel passaggio di consegne lo darà al suo successore.
Nel frattempo la Rai ha dato la disdetta a Sky, con sei mesi di anticipo sulla scadenza prevista, per l’uso dello standard Nds, per cui a fine luglio i canali della Rai potrebbero non essere più criptati e saranno oscurati gli eventi (cinema e sport) sprovvisti dei diritti satellitari.
Disdetta che si va a incrociare con la scadenza del contratto di Raisat per il bouquet tematico fornito a Sky a fronte di un minimo garantito di 50 milioni, e che mette la Rai nella condizione di arrivare con le mani libere a rinegoziare l’accordo con Raisat ad ampio raggio, inclusa la valorizzazione economica dell’offerta free di cui Sky gode a titolo gratuito o, nel caso di un cambio di strategia, di poter lasciare senza vincoli la pay tv.
L’altro fronte sul quale i due broadcaster lavorano è come rafforzare l’offerta su Dtt. Il test della Sardegna ha messo in luce che il digitale terrestre può essere una grande chance per il rilancio dell’offerta free. Si è visto che con la multicanalità le offerte generaliste e digitali, che sembrano molto diverse tra loro, ritrovandosi sulla stessa piattaforma e sullo stesso telecomando, tendono a equivalersi. Contano e conteranno sempre di più le offerte aggiuntive di tipo tematico o minigeneralista – com’ è Rai4 che si è imposta subito con performance interessanti – e conseguentemente si rimodulano gli ascolti del bouquet. Processo che porterà a ripensare anche le reti tradizionali e sulla scacchiera multichannel sarà possibile fare un lavoro mirato e intelligente sui target. “La vera scommessa”, dice Leone, “sarà gestire il coordinamento di tutta l’offerta e capire come modificare la fisionomia delle tre reti generaliste in funzione del bouquet”.
In Sardegna la Rai si è trovata in vantaggio rispetto a Mediaset che ha un’offerta free limitata avendo spostato i maggiori investimenti sulla pay tv. Ha perso qualche punto sulle reti tradizionali, ma ha recuperato con i canali digitali Gulp, Sport Plus, Rainews 24, Rai Edu 1/2 e soprattutto la minigeneralista Rai4, che è stata una piccola rivelazione e fa più ascolti delle reti Rai satellitari. Nel bouquet il 3 febbraio ha debuttato Rai Storia, che ha sostituito Rai Edu 2, ancora da migliorare se vuol diventare la risposta del servizio pubblico a History Channel, mentre debutterà a luglio una seconda rete semigeneralista Rai5 (dove si parla della direzione artistica di Renzo Arbore).
Mediaset, che ha come canali digitali free solo Boing e Iris, sta cercando di riequilibrare il mix dell’offerta senza abbassare il tiro sulla pay. Per prima cosa ha iniziato a mandare in onda sulle sue reti spot per promuovere Iris, rimessa a punto per non sfigurare con Rai4. Entro fine anno vedrà la luce Bis, un canale già annunciato poi messo in frigorifero, che sarà la vetrina dell’intrattenimento del Biscione fatto con produzioni di magazzino, quindi a basso costo, e ben montato.
Le maggiori novità si vedranno invece sempre sulla pay tv di Mediaset, che allarga la parte cinema con un canale di primizie e un secondo canale di library di una certa ricercatezza, che potrebbe essere affidato al team italiano di Studio Universal, il canale che Sky ha cancellato dalla sua piattaforma dopo gli accordi tra Universal e Mediaset.