Prima comunicazione novembre 2001 n. 312
Abbiamo deciso di pubblicare questa intervista a Candido Cannavò, pubblicata su Prima Comunicazione del novembre 2001, perché è un buon ritratto dello storico direttore della Gazzetta dello Sport, morto improvvisamente il 22 febbraio scorso, e un bilancio dei vent’anni di gestione del quotidiano sportivo della Rcs.
Da vent’anni sono contento
Le voci su un cambio al vertice della ‘Gazzetta dello Sport’ si intensificano, il direttore Candido Cannavò sorride ma, intanto, in questa intervista fa una sorta di bilancio su un’avventura iniziata nel 1981. E promette che in ogni caso il suo zampino sulla ‘rosea’ rimarrà
Hanno spostato il suo ufficio dal terzo piano a pianoterra, in fondo al cortile dell’area che i quotidiani della Rcs Editori occupano tra via Solferino e via San Marco, nel centro di Milano. E quando il cronista incontra Candido Cannavò anche questo trasloco diventa materia d’ironia: le voci danno Cannavò in uscita dalla Gazzetta dello Sport dopo quasi 19 anni di direzione. “Qua stanno ristrutturando tutto e questo non sarà nemmeno l’unico spostamento della redazione della Gazzetta da qui al 2004, termine previsto dei lavori”, precisa Cannavò in una stanza piena di fotografie che lo ritraggono accanto ai principali personaggi dello sport e dello spettacolo degli ultimi trent’anni, oltre all’immagine oversize che celebra il famoso scambio di borraccia tra Fausto Coppi e Gino Bartali. Alle spalle di Cannavò una libreria bacheca con all’interno oggetti che farebbero felice qualsiasi appassionato di sport, come l’albero a camme della Ferrari campione del mondo di Formula 1: “Prima o poi lo metterò all’asta e il ricavato lo darò a qualche associazione di volontariato”, spiega il direttore della Gazzetta. E tu automaticamente pensi al poster di Emergency, (l’organizzazione fondata dal chirurgo Gino Strada con la moglie Teresa Sarti), appeso di là di fianco alla scrivania del direttore assieme alla foto che ritrae un pompiere con in braccio un bambino. “L’hanno scattata durante il terremoto del Belice nel 1968: lavoravo ancora per La Sicilia e quel bimbo è stato tirato fuori dalle macerie dopo due giorni di scavi”, racconta Cannavò, ricordando quando ancora non stava nel primo quotidiano sportivo italiano, quello che fino agli anni Ottanta risultava per diffusione la prima testata italiana: un quotidiano sportivo più letto dei grandi quotidiani politici, più del Corriere, più del Messaggero, più della Stampa, un’anomalia nel panorama editoriale italiano e addirittura anche in quello mondiale.
Inutile stuzzicarlo chiedendogli i nomi dei possibili candidati a prendere in mano, al posto suo, le redini della Gazzetta. Al massimo ne cavi: “Ormai se ne può fare una lunga lista”. Se gli sottoponi una rosa ristretta – Enrico Mentana, Pietro Calabrese, Massimo Donelli e il responsabile dello sport del Corriere della Sera, Stefano Barigelli – la risposta è secca: “Tutti nomi rispettabili”. Stai per scantonare dall’argomento quando è lui stesso a rilanciare: “Sono al diciannovesimo anno di direzione, e prima ne avevo già passato uno da condirettore. Capisce perché mi viene da ridere quando pensano che sia preoccupato per una eventuale e fisiologica sostituzione? Da vent’anni faccio un lavoro che mi piace, in un ambiente estremamente gratificante. Ogni mattina vengo al giornale contento. Raramente ho avuto problemi. E neppure il giornale ne ha avuti. Ha sempre portato soldi a casa: a volte 50 miliardi, altre 40 o 60, ma ha guadagnato sempre!”.
A sentirne gli umori, la redazione della Gazzetta è compatta attorno al suo direttore che l’ha plasmata in quasi vent’anni di gestione.
Il forte attaccamento tra giornalisti e direttore è confermato dallo stesso Cannavò in questa intervista che, di fatto, è un bilancio sulla sua lunga avventura in Via Solferino. “Sì, anche dal punto di vista personale penso che mi vogliano bene”, ribadisce Cannavò. “Quando ho compiuto settant’anni mi hanno fatto una festa che non dimenticherò mai. C’erano anche i pensionati. Mi hanno regalato La Gazzetta del giorno in cui sono nato. Poi, hanno fatto un quadro con le teste di tutti i redattori. L’ho conservato per quando morirò. È perfetto”.
Prima – Facciamo gli scongiuri.
Candido Cannavò – E perché? C’è una mia grande faccia e dietro tutti i redattori formato francobollo. Una cosa commovente e spaventosa. Va benissimo per il mio trapasso. Come a tutti, toccherà anche a me. Tra cent’anni, ovviamente. Bisogna viverlo serenamente, come tutto ciò che capita nella vita. Per cui, se un giorno venisse qui Romiti, o chi per lui, a dirmi: “Sa, vorremmo…”, non sarebbe un dramma. È chiaro che il problema me lo pongo per primo. Non vorrei un giorno svegliarmi e dire non ce la faccio più. Sarebbe un brutto lasciare. Rimarrebbero delle cose in sospeso e sarebbe negativo per la redazione e per il giornale. Quindi, quando succederà , tra sei giorni, sei mesi, un anno, sei anni – perché queste cose non si sa come vanno a finire – gestiremo la situazione con serenità , trovando la soluzione migliore. Tutti mi dicono che dovrò continuare a collaborare, a essere partecipe. Insomma, anche se dovessero dirmelo questa sera, ringrazierei tutti – l’azienda, La Gazzetta – perché ho vissuto una parte della mia vita meravigliosa.
Prima – Ci credo che questa vita le piace, visto che sta in redazione 12 ore al giorno.
C. Cannavò – Anche 14, come mi ha fatto notare l’altro giorno mia moglie. D’altra parte, non se ne può fare a meno, perché ci sono continuamente da affrontare una serie di questioni legate anche alla pubblicità , all’organizzazione degli eventi, come il Giro d’Italia, agli inserti. Io trascorro qua dentro la mia vita, tranne quando vado una settimana al mare.
Prima – Dicono che anche al mare il tempo lo passi, più che in acqua, al telefono in perenne collegamento con La Gazzetta.
C. Cannavò – Che cosa dovrei fare? Se lei stesse fuori di casa e avesse più di cento figli che sono rimasti là , se ne starebbe sulla spiaggia a pancia in su? Insomma, se c’è un problema mi chiamano.
Prima – E lei risponde sempre?
C. Cannavò – Sempre.
Prima – E riesce a risolvere i problemi anche se sta al mare, lontano mille miglia?
C. Cannavò – Ma sa, dopo vent’anni conosco i guai a memoria.
Prima – Padre padrone, insomma.
C. Cannavò – Preferisco che mi considerino padre.
Prima – Tipico dei padroni. Ma non c’è il rischio che anche nella sua redazione, come in tutte le famiglie numerose, qualcuno si nasconda dietro il papà , scansando fatiche e responsabilità ?
C. Cannavò – Non posso escluderlo. La redazione è cresciuta molto, sono arrivati molti giornalisti.
Prima – Due terzi li ha assunti lei.
C. Cannavò – Di più. Erano ragazzi e sono diventati fior di giornalisti. Gente selezionata. Noi guardiamo anche la famiglia. Parlo con fidanzate e mogli. L’unica cosa che non ho mai chiesto a un mio redattore è per chi vota. Insomma, quando assumiamo qualcuno non ci possiamo permettere di sbagliare. In tutto siamo 170. Ma le persone che ho portato io in modo diretto saranno due o tre. Per il resto, sono giovani cresciuti qui dentro. Parlo con i loro responsabili. Sono loro che, in sostanza, decidono le assunzioni.
Prima – Sbagliata o no l’immagine che la vede come padre padrone di questo giornale, nessuno nega che lei sia un sostenitore delle innovazioni e che abbia lasciato molto spazio al marketing.
C. Cannavò – Il marketing ha una funzione positiva. Salvaguardando le prerogative della redazione, questo è un giornale che ha bisogno di un marketing forte per cogliere al volo le occasioni. Quando sono arrivato, nel 1980, la pubblicità era di 7 miliardi all’anno. Oggi siamo a 130. È merito della crescita diffusionale del giornale, ma soprattutto dell’affermazione dello sport come fenomeno economico, opportunità di pubblicità e di promozione. Attualmente i più grandi testimoni sono atleti, non più la gente dello spettacolo. Noi siamo già i leader, non solo in Italia, nella stampa sportiva, ma con una corretta gestione del marketing abbiamo dei margini ulteriori di miglioramento. La Gazzetta è una miniera. Non dobbiamo pensare solo alle nostre manifestazioni tradizionali, ma osservare che cosa succede in altri eventi in cui siamo coinvolti come il Salone del ciclo e del motociclo, il Motorshow di Alfredo Cazzola, che è cresciuto con noi. Il presidente dell’Upa, Giulio Malgara, parla della Gazzetta come del mezzo ideale per alcuni prodotti. Forse l’abbiamo capito tardi, ma ora recupereremo.
Prima – Dal punto di vista pubblicitario, La Gazzetta sta soffrendo sicuramente meno del Corriere della Sera.
C. Cannavò – Flavio Biondi, il responsabile della Rcs Pubblicità , ha detto che quest’anno registriamo un incremento del 5%. Non male, considerata la situazione generale.
Prima – In questi anni sono stati fatti i nomi di molti candidati direttori della Gazzetta, alcuni sono anche arrivati qui in posizione di vertice. Alcuni se ne sono andati, forse stanchi di aspettare, come Alfio Caruso. Altri sono scomparsi come delfini strozzati nella culla.
C. Cannavò – Caruso è stato sfortunato, vice direttore e condirettore del Messaggero, poi hanno venduto il giornale. Per quanto riguarda i tanti candidati alla direzione – veri o presunti – circolati in questi anni, io credo nella forza delle cose: puoi essere amato, raccomandato, ma se le cose non funzionano… Vale anche per me, se qui ci fosse davvero una situazione di disagio io rimarrei attaccato alla poltrona? Ho raggiunto una posizione che mi permetterebbe di vivere benino anche standomene a casa. Comunque, alla Gazzetta non c’è un clima di nervosismo. Io ho un buonissimo staff. Milazzo ha deciso vent’anni fa di non firmare più ed è il regista della prima pagina. Arturi è uno che sta venendo su molto bene, che scrive bene ed è un ottimo opinionista. Lo stesso vale per Trifari, che è anche ingegnere e ha portato avanti anche la parte tecnologica. Ora è arrivata la nomina di Palombo, responsabile di Roma. I caporedattori li abbiamo tutti allevati all’interno. Non sono tanti. E poi siamo un po’ tutti caporedattori, a partire dal sottoscritto.
Prima – Alla Gazzetta non ci sono inviati.
C. Cannavò – Qualcuno ha avuto i gradi, ma se nominassi inviati secondo le regole – se fai 80 firme, allora meriti i gradi – possiamo chiudere. Ovviamente non siamo il paradiso e anche alla Gazzetta ci sono problemi ma, credo, in misura fisiologica. Io penso al giornale come a un prodotto di umori, di stati d’animo. Immagino con paura il giorno in cui arrivassimo in redazione dopo avere tutti litigato con la moglie. In un lavoro come il nostro ci vuole slancio, creatività . Anche armonia. Come vede, qui dietro la mia scrivania ci sono le foto di due bambini ucraini adottati da un nostro redattore. Si può dire che, in pratica, sono stati adottati da tutti. Non voglio fare il paternalista, il nonno, o il mieloso. Però, il clima della Gazzetta è questo.
Prima – Le dà fastidio essere imitato nella trasmissione ‘Quelli che il calcio…’?
C. Cannavò – Quando Gabriella Mancini, amica di quella banda di ‘mascalzoni’ attorno alla Simona Ventura, mi ha detto che stavano preparando la mia imitazione, sono andato in crisi. La domenica in cui doveva andare in onda per la prima volta Crozza nei miei panni sono stato male da mezzogiorno alle 15, l’ora d’inizio della trasmissione. Tendenzialmente non amo quel tipo di cose. Alla fine, ho preso il coraggio a due mani e ho sintonizzato su Raidue uno dei televisori della stanza dove la domenica pomeriggio vediamo contemporaneamente tutte le partite di serie A. Lì siamo in genere in 15 persone. Ho subito avvisato che potevano tutti mettersi a ridere e anche darmi dello stronzo. Al momento cruciale ho alzato l’audio. E ho passato quella prova. Mi sono tranquillizzato vedendo che non c’erano toni volgari. Da allora non ho più guardato la trasmissione. Preferisco farmela raccontare. Devo ammettere che Crozza ha messo in caricatura il mio amore per La Gazzetta. E poi, si tratta di un grande spot per La Gazzetta.
Prima – Un tormentone dell’imitatore è la sua incazzatura per l’irruzione della Guardia di finanza in missione antidoping all’ultimo Giro d’Italia.
C. Cannavò – Sono cose che penso e dico apertamente qui dentro. A cinque mesi da quell’azione che ci ha devastato il Giro abbiamo 80 avvisi di garanzia che non significano nulla. Finora sono state scoperte due pillole di Frigo, mentre un altro corridore è stato denunciato per caffeina. Per carità ! Io ho chiesto ai Nas di essere presenti costantemente al Giro. Sarebbe il massimo deterrente contro i dopati. Il mio impegno contro il doping è chiaro. Ma non mi sembra giusto ammazzare il Giro. Siamo riusciti a salvarlo in extremis. Ho dovuto precipitarmi là e fare una delle scene più drammatiche della mia vita.
Prima – Sempre sul doping, vi siete beccati anche con il Corriere della Sera che aveva manifestato dubbi su alcune medaglie vinte dall’Italia alle ultime Olimpiadi. Non c’è il pericolo che per difendere lo sport copriate anche alcune pratiche sportive poco chiare?
C. Cannavò – Nella lotta al doping possiamo vantare la primogenitura: abbiamo vinto il Premio Saint Vincent per un’inchiesta sul doping durata sette anni; abbiamo snidato per primo il professor Conconi. Però non possiamo non rilevare che ben sette Procure indagano su Marco Pantani. Noti che siamo stati noi a espellere Pantani dal Giro. La polemica con il Corriere riguardava la commissione scientifica del Coni, le cui carte, vincolate al segreto della legge, finirono al quotidiano diretto da De Bortoli. Non abbiamo contestato la professionalità della commissione, ma la gestione dei risultati dei suoi lavori. C’è anche una causa legale in ballo. Io ho difeso le medaglie vinte dagli atleti italiani. Comunque, essere compartecipe della vita aziendale assieme al Corriere è una gratificazione. Se ogni tanto capita di avere opinioni differenti, non è la catastrofe. Nell’ambito del gruppo è un segno di libertà . È successo anche sulla candidatura di Roma come sede delle Olimpiadi. Dopo di che con quelli del Corriere ci incontriamo nei corridoi e siamo tutti contenti. Davvero non c’è una disciplina o una linea imposta dall’alto.
Prima – La concorrenza è sempre più agguerrita.
C. Cannavò – Tuttosport ha trovato una nuova formula che ha dato buoni frutti e anche il Corriere dello Sport continua a fare belle cose. Tuttavia non si può parlare di fiato sul collo: anche a leggere i dati pubblicati ogni mese su Prima, rimaniamo saldamente leader della stampa sportiva con il 53-54% del mercato. La concorrenza ci tiene vivi. Quando sfoglio ogni mattina il Corriere dello Sport/Stadio e Tuttosport ho l’ansia di chi verifica se ci hanno dato qualche ‘buco’. Poi ci sono le annate che favoriscono noi o loro. Nella scorsa stagione il Corriere dello Sport ha avuto Roma e Lazio ai vertici, mentre Milan e Inter erano sottoterra.
Prima – Allora ha ragione Gaetano Mele, direttore generale della Rcs Editori, quando afferma che La Gazzetta sarà pure un giornale nazionale, ma la sua sorte è legata alle squadre del Nord?
C. Cannavò – No, non sono della stessa opinione. Certo, l’Inter è del Nord ma è un prodotto che si vende benissimo anche a Siracusa. Le squadre nazionali, quelle che maggiormente attraggono lettori, sono tre – Juventus, Inter e Milan – la quarta è il Napoli che, però, quando vince diventa un fenomeno mondiale. Nelle sue stagioni migliori, la Roma arriva al quinto posto. Se un campionato esce dai binari consueti, ovviamente c’è una ripercussione anche sulla diffusione. Tuttavia, i bilanci di un giornale vanno visti anche in altre prospettive. L’importante è che alla fine dell’anno, quando tiri i conti, non devi dire grazie a qualcuno perché ti ha dato dieci lire per tirare avanti. È lì che sta la libertà di un giornale.
Prima – L’attuale clima internazionale non è incoraggiante. Nell’agosto del ’90, subito dopo i Mondiali in Italia, l’invasione del Kuwait che portò alla guerra con l’Iraq interruppe un lungo trend favorevole della stampa sportiva. Quella crisi internazionale coincise anche con un aumento del prezzo dei giornali.
C. Cannavò – La guerra è la nemica dell’umanità . Io non giustificherò mai una guerra, anche se santa e inevitabile. E la guerra per un giornale sportivo è la peggiore delle situazioni. Un quotidiano come il nostro si fonda sull’emotività , in misura minore sulla piccola evasione e, infine, sul desiderio di qualche piccola storia positiva. Quando l’emotività si sposta sui teleschermi, sugli eventi tragici trasmessi dai telegiornali, le conseguenze sono anche per noi disastrose. Durante la guerra del Golfo abbiamo perso centomila copie da un giorno all’altro. Recuperare quelle perdite è stato durissimo. Come la guerra, ci penalizzano la violenza negli stadi, le partite truccate. Non è vero che lo scandalismo fa vendere più copie. Noi abbiamo bisogno di storie come quella di Tomba, di Del Piero che fa il gol, delle medaglie d’oro delle schermitrici o dei nuotatori azzurri. Oppure di partite che fanno cronaca. Se una squadra vince sparagnina per un golletto, non c’è una copia in più.
Prima – L’informazione sportiva sembra un po’ ferma, ancora legata a formule da anni Ottanta.
C. Cannavò – No, è cambiata molto. Il nostro numero del lunedì è trasformato. C’è il resoconto della partita, poi il corsivo, i tre punti cardine dell’incontro, la curiosità . Bisogna cambiare continuamente, lasciando quel pizzico di tradizione a cui i lettori sono ancora legati, cioè la possibilità di leggere il senso di una partita. Teniamo presente che, oltre al mostro-televisione, dobbiamo rispondere anche a Internet: l’informazione scritta è stata accerchiata. Se la parola scritta non avesse così tanta forza, sarebbe già sparita. Anche la prima pagina è diversa soprattutto nella parte fotografica. Le variazioni sono piccole, ma continue.
Prima – Una grande partita che state iniziando è quella sulla brand extension: il marchio Gazzetta si presta a essere sfruttato in molte direzioni.
C. Cannavò – Il marchio appartiene alla famiglia Bonacossa che lo difende seriamente. Nel settore editoriale, su cui abbiamo via libera, si possono fare iniziative molto interessanti – ad esempio videocassette e cd rom – che, come business accoppiato alla Gazzetta, hanno dato dei buoni risultati.
Prima – Si parla anche di una radio della Gazzetta dello Sport.
C. Cannavò – È un’iniziativa che vedo con favore. Più di una televisione, che comporta investimenti rischiosi. La radio è uno strumento agile: con il nostro potenziale si possono fare grandi cose. Comunque, sono decisioni che riguardano l’editore e gli azionisti.
Prima – In questo caso, lei passa per essere equidistante tra la famiglia Romiti e la famiglia Agnelli.
C. Cannavò – Per carità , ho un buonissimo rapporto con tutti e due. Ma non è vero che sento Romiti e l’Avvocato tutti i giorni. Se capita, faccio una telefonata e Giovanni Agnelli è così gentile da rispondermi. Con Romiti parlo quando è necessario. Comunque, non ho mai neppure sfiorato argomenti che riguardano i rapporti tra loro due. E poi, un giorno si dice che sono distanti, il successivo li ritrovi tranquillamente insieme. Tra loro c’è un rispetto reciproco.
Prima – Nessuno sa per che squadra di calcio lei tifa. Ma è evidente che perdona tutto il possibile a Massimo Moratti, il presidente dell’Inter: forse perché è stato lei a convincerlo a prendere in mano le sorti del club milanese?
C. Cannavò – È vero che per Moratti ho tenerezza. Sono un suo amico. È una persona come poche, che cerca di capire sempre le ragioni degli altri e ha grandi istinti di bontà . Ma non sono interista. Non lo sono mai stato. Per le squadre sono uno da marciapiede: ogni domenica faccio il calcolo su quale conviene che vinca per vendere più copie. Sì, in maniera spudorata una volta tifo per gli uni, un’altra volta per gli altri. Dal punto di vista personale sono anche amico di Sensi, il presidente della Roma, e così sono amicissimo con Galliani. Ho un buon rapporto con tutti nel mondo sportivo. Però, con Massimo che ci vuol fare… Con questo, La Gazzetta non nasconde le sue tante adorabili cazzate.
Prima – In conclusione, mi pare di capire che non è ancora tempo di bilanci.
C. Cannavò – No, ma di due cose sono orgoglioso. Innanzitutto, del rispetto che abbiamo mostrato per quanti, nel nostro giornale, hanno maturato l’età della pensione: quasi tutti hanno continuato a collaborare. Faccio tre esempi: Pino Negri, Angelo Rovelli e Giuseppe Castelnovi, splendidi esempi di colleghi ottantenni. Tutti rappresentano ancora una ricchezza per questo giornale. Inoltre, sono soddisfatto di avere aperto il giornale alle iniziative di solidarietà . Abbiamo un rapporto con associazioni come Amnesty International ed Emergency. Con Gino Strada – un medico che, invece di impiantare ospedali in Afghanistan, avrebbe potuto stare a Milano con incarichi di prestigio frequentando salotti – ci sentiamo un giorno sì e uno no. Quest’anno la sua Emergency sarà la madrina del Giro d’Italia. E poi collaboriamo con la Nazionale cantanti e con le loro iniziative di solidarietà . Ogni giorno scopriamo realtà incredibili di volontari che si dedicano ad attività di una generosità inimmaginabile. Mi entusiasma collaborare con il giornale a queste iniziative. Quando sono andato con Ronaldo in Kosovo ho visto una situazione di una drammaticità tale che davvero ti vergogni a non provare a fare qualche cosa per alleviare la situazione dei più deboli. È un fronte silenzioso e assolutamente trasversale. Ci sono dei miei giornalisti che passano le ferie a fare i volontari negli ospedali di Emergency: uno dalle parti dei talebani e l’altro dalla parte dell’alleanza del Nord. Da un parte li invidio, dall’altra mi preoccupo. Mia moglie dice che questa è la mia casa. Io le dico di no. Ma so che in fondo ha un po’ di ragione. Per fortuna è una donna meravigliosa.
Intervista di Carlo Riva
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