Il ricordo di Mike Bongiorno, morto l’8 settembre 2009, è stato affogato in un bagno di melassa che ha occultato la durezza e la schiettezza del suo carattere e delle sue scelte. Due qualità che invece emergono benissimo da una intervista realizzata nel novembre 2004 per il numero sul trentennale di Prima, che ripubblichiamo tale quale nel sito Internet primaonline. Nell’intervista, Mike aveva raccontato senza ipocrisie il suo rapporto con una Rai bacchettona e democristiana, l’incontro con un giovane sconosciuto di nome Silvio Berlusconi, l’epoca cruciale della nascita della tivù commerciale.
L’intervista a Mike Bongiorno – ‘Prima comunicazione’, novembre nel 2004
Forse mai nessuno come lui è stato così tanto svillaneggiato, ridicolizzato, deriso, insultato, accusato, spregiato, snobbato dalla critica più o meno ufficiale, dagli intellettuali con tanto di McLuhan sotto al braccio, dagli studiosi dalle fronti rugose e dalle schiene ricurve, dagli esteti con palato
fino e buchi alle scarpe, dalle migliaia di autori televisivi falliti che in lui rabbiosamente e segretamente ravvisavano un
punto d’arrivo irraggiungibile. Ad aprire le danze fu Umberto Eco nel gennaio del 1961 con la sua ‘Fenomenologia di Mike Bongiorno’ in cui si divertì a scrivere assai sgarbatamente che lui, il personaggio più famoso della televisione di allora e di oggi, “non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente”, che “non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi”, che “ha una nozione piccolo borghese del denaro e del suo valore”, che “accetta tutti i miti della società in cui vive”, che “elargendo denaro, è istintivamente portato a pensare, senza esprimerlo chiaramente, più in termini di elemosina che di guadagno”, che “rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello… e via con amenità del genere.
Il saggetto di Eco fece eco e sembrò autorizzare qualsiasi opinione sprezzante nei confronti di colui che inaugurò la televisione italiana e che, oggi, dopo quarant’anni, e con buona pace dei critici lividi e rancorosi, continua a farla con una misura stilistica e un tale successo di pubblico da lasciare stupefatti.
Ricordando quell’acidula panna montata prodotta dall’altezzosità snobistica, Mike Bongiorno sorride più mesto che irato mentre si siede nel suo salotto circondato dalla verzura abbondante del grande terrazzo che corre attorno alla bella casa milanese in zona Fiera.
Appena parla capisci che la voce di Mike è la indelebile colonna sonora della nostra infanzia televisiva, della nostra adolescenza televisiva, della nostra gioventù televisiva, della nostra maturità televisiva e sarà , c’è da giurarci, anche quella della nostra vecchiaia televisiva. Quella voce che ogni italiano distinguerebbe dopo le prime due sillabe, voce che si distende e rassicura intrecciando una tenue flessione piemontese a una leggera accentazione americana e a una impalpabile cadenza milanese.
Figlio di Philip Bongiorno, un bellissimo ed elegantissimo avvocato italo-americano che ancora oggi troneggia in un ritratto fotografico, e di una altrettanto fascinosa dama piemontese, Mike è nato sulla 88ma strada nell’Upper West Side, spazio urbano benedetto dalla ridente e clorofillica tranquillità del vicinissimo Central Park, fuori dal rumore delle grandi arterie, in un fitto susseguirsi di brownstones e di pre-war buildings, mattoncini marrone e piastrelle grigio-azzurro, portoni di legno scuro e androni con piccoli tasselli di maiolica bianca e nera. Il padre avrebbe potuto facilmente diventare sindaco della città ma lasciò invece il passo a Fiorello La Guardia (che per altro tenne a battesimo Mike) e preferì continuare a difendere gli interessi della comunità a cui apparteneva (“Contro gli italiani – come contro gli ebrei e i negri – c’erano mille pregiudizi”, ricorda il figlio).
Venuto in Italia dove viveva la madre e la famiglia materna – dopo aver lavorato, ancora sedicenne, come galoppino alla Stampa di Torino – Mike fu poi catturato dai tedeschi e miracolosamente liberato (“Fu la mano di Dio a proteggermi, mi creda”) dopo un inatteso scambio di prigionieri. Tornò dunque negli Stati Uniti e raccontò la sua storia a radio, televisioni e giornali. Qualcuno si accorse di lui e gli fu offerto un programma radiofonico. Iniziò così la più stupefacente e longeva carriera di un uomo destinato a rappresentare la comunicazione televisiva degli ultimi cinquant’anni italiani.
“È vero”, ammette pur senza vani orgogli né ancor più ridicole modestie, “credo di essere la persona più adatta a raccontare che cos’è stata e cos’è ancora oggi la tivù perché sono quello che ha visto nascere la televisione pubblica italiana, quello che ha inaugurato il colore e quello che ha inaugurato Berlusconi. Tutta la mia vita e la mia carriera sono legate alla televisione”. L’ometto che ci descriveva Umberto Eco è piuttosto l’uomo che ha inventato un linguaggio rendendolo collettivo.
A scoprirlo fu il padre dell’attuale sindaco di Roma, quel Vittorio Veltroni che si rivolse al giovanissimo Bongiorno per chiedergli radiocronache newyorkesi su sport e cultura. La prima fu quella per l’incontro di pugilato tra Joe Louis e Rocky Marciano. Da quel momento non si è più fermato. La sua storia è dunque quella della scoperta della narrazione televisiva e del suo mutamento. Dei successi e dei fallimenti del piccolo schermo. I suoi programmi hanno scandito il divenire di un oggetto attorno al quale si è fatto tanto – e spesso inutile – sociologismo. Inutile perché viziato da un pregiudizio supponente e vanesio che pretendeva l’inferiorità razziale del fenomeno visivo (per non dire di quello televisivo!). Inutile perché mancante di una lettura libera e approfondita del tragitto dei messaggi, dal punto di partenza a quello di arrivo, dagli studi della Fiera di Milano alle case degli italiani, ai loro cervelli, ai loro gusti, persino ai loro cuori.
È negli anni Cinquanta e Sessanta che Mike Bongiorno mette a segno una sfilza di programmi che resteranno nella storia: da ‘Lascia o raddoppia?’ (inaugurato nel novembre del 1955) a ‘Campanile sera’ (1959), alla ‘Fiera dei sogni’ (1963-66), per inaugurare gli anni Settanta con il ‘Rischiatutto’, un quiz destinato a mutare l’idea stessa dei quiz.
Prima – Come le venivano le idee? Da dove attingeva?
Mike Bongiorno – Tutte le trasmissioni che mi sono inventato le prendevo, trasformandole secondo il gusto italiano, dalla tivù americana. Ma non solo. A un certo punto, per esempio, avevo capito che in Italia esisteva una grande rivalità tra i paesi e così feci ‘Campanile sera’, una trasmissione che riempiva le piazze, che le faceva litigare e festeggiare. Poi feci ‘Giochi in famiglia’ dove mettevo le famiglie in gara fra di loro.
Prima – Finché si arrivò al grande cambiamento.
M. Bongiorno – Sì, il momento arrivò alla fine degli anni Sessanta. Era ora di dare una svolta al quiz che fino ad allora era stato tenuto sul principio: ‘a domanda risponde’. Era ancora quel che definisco ‘il quiz a manovella’, proprio come un vecchio grammofono.
Prima – Non le sembra un po’ strano che ancora oggi, a più di trent’anni di distanza, si parli e si ricordi il ‘Rischiatutto’?
M. Bongiorno – No, non mi sembra strano perché io sono convinto che quella sia stata la più bella trasmissione di quiz, superiore a ‘Lascia o raddoppia?’, un fenomeno nazionale ma che aveva avuto facilmente successo essendo il primo e l’unico nel suo genere. A ‘Lascia o raddoppia?’ davamo cinque milioni e mezzo di premio che allora era una cifra considerevole e con la quale uno si comprava un appartamento in città o un villino in campagna. Invece il ‘Rischiatutto’ significò un capovolgimento completo: c’erano delle colonne per materia, ognuna con delle caselle e dentro delle caselle delle immagini e poi il jolly e il rischio… Fu un successo straordinario.
Prima – Ne uscirono grandi personaggi come il professor Inardi e la signora Longari. Anche loro rimasti scolpiti nella bizzarra memoria di questo Paese.
M. Bongiorno – Di nuovo c’era anche la valletta, Sabina Ciuffini, una bella ragazza in minigonna che studiava all’università e che sapeva parlare, a differenza di Edy Campagnoli, pace all’anima sua, che era una mezza analfabeta.
Prima – Com’era la Rai di allora?
M. Bongiorno – Era un mondo incredibile, molto legato alla politica, al Vaticano.
Prima – Finché un giorno le telefona un signore che si presenta come Silvio Berlusconi.
M. Bongiorno – Era il 1977. Disse che voleva incontrarmi, ma io non avevo la più pallida idea di chi fosse. Chiesi in giro e mi dissero che era un costruttore, che aveva fatto Milano 2. All’inizio pensai addirittura che volesse vendermi un appartamento. Comunque accettai di vederlo e ci incontrammo in un ristorante. Dopo un quarto d’ora mi resi conto che quell’uomo era di una brillantezza incredibile e avrebbe fatto una grande carriera.
Prima – Lei, per altro, era già all’apice della sua.
M. Bongiorno – In effetti i miei programmi erano seguiti da 23-24 milioni di persone, mentre l’altro canale poteva vantare al massimo un paio di milioni di ascoltatori.
Prima – Quindi arriva in scena il costruttore Berlusconi. E cambiò tutto.
M. Bongiorno – Fu un capovolgimento totale. Al ristorante mi spiegò che aveva in mente di creare la televisione indipendente e di voler lanciare nuovi programmi che la Rai non voleva o non poteva fare perché legata appunto ai partiti politici e al Vaticano. Io lo ascoltai attentamente ma gli dissi anche che non potevo certo lasciare la Rai…
Prima – Naturalmente Berlusconi non si arrese certo davanti al suo primo no grazie.
M. Bongiorno – Infatti insistette descrivendomi il suo progetto, il suo sogno. Mi convinse e gli proposi di lavorare per lui, ma di nascosto.
Prima – Addirittura!
M. Bongiorno – Sì, per due o tre anni ho lavorato con Berlusconi nei sotterranei di una delle case di Milano 2 dove noi ci radunavamo tutti i giorni. Quell’uomo era uno stakanovista. Lui quando vuole qualcosa dà l’anima e non dorme quasi mai, al massimo 4 o 5 ore per notte. Tutte le mattine mi dovevo svegliare presto perché lui voleva che iniziassimo le riunioni alle 9 e mezza e, nel periodo in cui non avevo impegni televisivi in Rai, stavamo lì fino a mezzanotte mangiando panini e Coca-Cola.
Prima – Cosa la attirava del progetto berlusconiano?
M. Bongiorno – Vede, io venivo dalla radio commerciale americana e quando lavoravo in Rai mi ripetevo: peccato che non possa fare quel che so fare molto bene e, cioè, la pubblicità . Allora speravo sempre che un giorno la Rai facesse la pubblicità . Invece arrivò per primo Berlusconi.
Prima – E così lavoravate in cantina e all’insaputa di tutti come dei carbonari…
M. Bongiorno – Dopo un poco cominciai a sondare i miei colleghi in Rai per capire se fossero disponibili a lavorare per noi. Tra quelli che lavoravano in Rai c’era una grande stanchezzza perché tutto era sempre uguale. Senza contare che c’erano veti continui per ragioni politiche e morali. Io venivo richiamato sovente per via del mio linguaggio troppo disinvolto.
Prima – A guardarli oggi i funzionari pudibondi di un tempo fanno quasi tenerezza.
M. Bongiorno – Pensi che non si poteva usare la parola ‘membro’ e dovevo evitare anche la parola ‘pesce’. Roba da pazzi! Mi dissero che il Vaticano esprimeva tutti i giorni il proprio parere su quello che passava in tivù e quindi anche sulle mie trasmissioni. Pretendevano che le donne fossero molto castigate. Quando facevo ‘Lascia o raddoppia?’ c’era una concorrente, la famosa Garoppo, che aveva un seno enorme, una roba da far paura. Bene, era arrivato l’ordine che bisognava prenderla in campo lungo perché era immorale vedere un seno di quel genere che oltretutto era così grosso da occupare tutto lo schermo.
Prima – Mi perdoni la divagazione: ma che fine ha fatto la Garoppo?
M. Bongiorno – Fece l’errore di farsi operare per ridursi il seno, poveretta. Ora comunque non c’è più.
Prima – Torniamo alla televisione di trent’anni fa.
M. Bongiorno – I dirigenti Rai erano quasi tutti democristiani, venivano dalle organizzazioni cattoliche e loro stessi erano mezzi preti. C’era addirittura un presidente che portava il cilicio. Lei capisce che in quelle condizioni l’arrivo di un imprenditore che dice: voglio fare una televisione indipendente a me sembrava un miracolo.
Prima – Finito il periodo di lotta clandestina, usciste allo scoperto.
M. Bongiorno – Un giorno Berlusconi mi dice: “Caro Mike, credo che sia arrivato il momento. Adesso dobbiamo partire davvero”. È che nel frattempo Berlusconi si era fatto un nome e la gente cominciava a considerarlo un imprenditore di successo, un innovatore. Insomma, dovevamo lanciare ufficialmente la nuova televisione. Berlusconi invitò tutte le agenzie pubblicitarie, i grandi sponsor, i grandi industriali e facemmo un incontro nel grande piazzale di Milano 2. Noi due stavamo in piedi su una cassetta e parlavamo a quella gente e fu allora che lui annunciò che io sarei entrato a far parte ufficialmente di quel gruppo. Chiese se c’erano degli investitori pubblicitari. Fu un plebiscito.
Prima – C’è una cosa che non capisco: i pubblicitari facevano a gara per conquistarsi spazi su una tivù che stava per nascere e dal futuro più che incerto? Ma non c’era la Rai che garantiva una visibilità sicura? Mi permetta di dirle che i conti non tornano.
M. Bongiorno – I conti non le tornano perché lei non conosce un paio di cose. Non sa per esempio che in Rai un’azienda doveva aspettare almeno un paio d’anni prima di poter accedere a Carosello. Non sa che per fare Carosello non solo era necessario mettersi nella ‘waiting list’ ma c’era anche bisogno di una raccomandazione politica. Ecco perché ci fu un plebiscito quando Berlusconi disse: da domani potete acquistare tutti gli spazi che volete.
Prima – Ma mi sa spiegare perché c’era tutta questa esaltazione per Carosello?
M. Bongiorno – La verità è che Carosello era un modello di vita migliore del comunismo.
Prima – Non ebbe mai paura di giocarsi una rispettata carriera?
M. Bongiorno – Pensai che stavo per cominciare a fare qualcosa per la quale mi sentivo particolarmente preparato. Infatti quando nelle mie trasmissioni cominciai a pubblicizzare i prodotti successe il finimondo. Fino ad allora c’era appunto solo il Carosello che durava 90 secondi e una pubblicità con regole molto rigide. Invece io presi a scherzare sul prodotto. Per molti sponsor fu uno shock.
Prima – Che cosa diceva di tanto strano?
M. Bongiorno – Dicevo cose incredibili come: “Ah, la carne Simmenthal è così buona che la potete dare persino ai vostri neonati”. A quelli della Simmenthal prese un colpo finché si resero conto che già il giorno dopo le massaie correvano al supermercato a comprarla. Un altro prodotto era la Knorr e i suoi famosi dadi. Un giorno dissi: “Ma pensate che con i dadi della Knorr potete fare anche gli aperitivi!”. Rimasero tutti allibiti: degli aperitivi con i dadi? Ma ero pazzo? Ebbene, da lì a poco i barman di tutt’Italia si inventarono un aperitivo fatto proprio con i dadi della Knorr. Fu una cosa incredibile.
Prima – Come presero in Rai il suo abbandono?
M. Bongiorno – All’inizio io lavoravo sia per la Rai sia per la tivù di Berlusconi. La prima reazione della tivù pubblica non fu negativa. Le spiego anche perché: i dirigenti di allora erano sicuri che quello sarebbe stato un fuoco di paglia e consideravano Berlusconi roba da niente. Dopo due, tre anni che facevo questi piccoli programmi per Canale 58, Berlusconi mi chiese di lavorare esclusivamente per lui. Quando comunicai in Rai che li avrei abbandonati per Berlusconi erano tutti increduli e ripetevano che quello non era altro che un palazzinaro.
Prima – Uguali sputati ai signori del centrosinistra che sbeffeggiavano la scesa in campo di Berlusconi politico.
M. Bongiorno – Quando Berlusconi mi disse che dovevo lavorare solo per lui io gli chiesi quale compenso mi avrebbe dato. Calcoli che allora in Rai guadagnavo pochino: due milioni a puntata per un massimo di 26 puntate all’anno, non una di più perché sennò dicevano che erano obbligati ad assumermi. Il che voleva dire che ero costretto a fare le serate, le comparsate nei film, i fotoromanzi… Insomma, chiesi a Berlusconi quanto mi offrisse e quello fece un paio di conti e poi disse: “Seicento milioni”. E io: “Per quanti anni?”. E lui: “Ma per un anno, benedetto uomo! Per un anno! Con quello che pagano gli sponsor, seicento milioni è una cifra normale!”. Non credevo alle mie orecchie. Ma lo sa qual è la cosa che mi fece davvero arrabbiare?
Prima – Dica.
M. Bongiorno – Poco dopo dalla Rai cominciarono a chiamarmi offrendomi prima cento, poi centocinquanta, poi duecento milioni… e così via. Ero furibondo e indignato. “Ma allora fino a oggi mi avete preso in giro. Allora fino a oggi ve ne siete approfittati!”, urlai al funzionario di turno che non smetteva di rilanciare. Fatto sta che a quel punto cominciai a chiamare tutti i miei colleghi e amici: Pippo Baudo, Corrado, Raffaella Carrà … E vennero tutti a lavorare con noi di corsa, tanto che in Rai cominciarono a preoccuparsi di quello stillicidio.
Prima – Molti però hanno fatto marcia indietro.
M. Bongiorno – È che mentre io ero preparato alla televisione commerciale e sapevo come si vende un prodotto, molti altri non potevano dire la stessa cosa. Comunque la Rai fu costretta ad aumentare i compensi scontrandosi con la concorrenza del nostro gruppo, anche se questo produsse non pochi casini, tanto che ci fu uno scandalo per quella crescita improvvisa dei cachet.
Prima – L’arrivo della tivù commerciale significò anche un mutamento di gusto visivo. Un modo diverso di fare i programmi, di riprenderli, di colorarli, di interromperli.
M. Bongiorno – Nascevano nuovi formati. I programmi di varietà che fino ad allora erano stati fatti in un certo modo, con le ballerine che mettevano i mutandoni, vennero concepiti in modo più disinvolto, più libero. Anche la composizione degli studi venne completamente cambiata. Avevamo un regista, Valerio Lazarov, che aveva idee spettacolari. Fu il primo a cambiare radicalmente l’uso delle luci. Non era più come la santa messa, tanto che anch’io dovetti cambiare ritmo.
Prima – Pur continuando a fare quiz.
M. Bongiorno – Certo. All’inizio insistetti perché se ne facessero di molto brevi come in America. Berlusconi invece continuava a dire che gli italiani erano affezionati al quiz del giovedì di due ore. Aveva ragione lui. Io feci comunque anche dei programmi di mezz’ora.
Prima – Che andavano in onda la mattina. Un altro mutamento genetico della televisione italiana che iniziava le trasmissioni dopo pranzo.
M. Bongiorno – Infatti la Rai cominciava con un telegiornale all’una e mezza e fu sempre Berlusconi a lanciare la televisione al mattino. Nel contenitore ‘Buongiorno Italia’ io feci il gioco a premi ‘Bis’. Era l’ottobre del 1981.
Prima – Si cominciava a fare sul serio.
M. Bongiorno – Berlusconi considerava questa televisione come una sua creatura e veniva tutti i giorni in studio e restava con noi a fare i programmi. Stava lì dalla mattina alla sera, faceva sentire la sua presenza, partecipava… Beh, oggi tutto questo è passato e ognuno di noi gestisce la sua piccola repubblichetta.
Prima – È che Berlusconi è entrato in politica…
M. Bongiorno – È che nessuno ha saputo prendere il suo posto, ecco cos’è. Ma lasciamo stare.
Prima – Non lasciamo stare manco per niente. Mi dica piuttosto come ha preso la discesa in campo di Berlusconi.
M. Bongiorno – Quando abbiamo saputo della decisione di Silvio Berlusconi di entrare in politica tutti noi eravamo contrari perché eravamo convinti che se ne sarebbe andata via una persona molto preziosa. Con lui si poteva parlare delle nostre idee, dei nostri progetti, dei dettagli.
Prima – Evabbè, ve ne sarete fatti una ragione. Cosa ne pensa della televisione di oggi?
M. Bongiorno – Io, come del resto molti miei colleghi, siamo decisamente scontenti. Troviamo che i programmi televisivi che vanno in onda si rassomigliano tutti e siamo arrivati anche a un linguaggio che non è più accettabile. I reality show ebbero un grande successo all’inizio perché erano una vera novità ed erano genuini. Ora pur di fare spettacolo siamo arrivati all’immoralità , agli accoppiamenti in pubblico. Questi sconosciuti dopo una settimana che sono chiusi in una casa sono già a letto insieme e le donne girano mezze nude… ma lo fanno perché devono fare spettacolo.
Prima – Ma non c’è niente che le piaccia?
M. Bongiorno – L’unico reality show che seguo e mi piace perché so che soffrono davvero è ‘L’isola dei famosi’.
Prima – Lei è davvero un galantuomo. Critica i suoi e si complimenta con gli avversari. Perché le piace ‘L’isola dei famosi’?
M. Bongiorno – Perché questi personaggi che a casa loro hanno ogni benessere, lì soffrono davvero. Si trovano in un ambiente molto diverso da quello a cui sono abituati, tra i serpentelli e i moscerini, sotto ai grandi temporali, in mezzo a una grande tensione… Si capisce che quando litigano sono sinceri.
Prima – Si direbbe che oggi tutti possono fare televisione.
M. Bongiorno – Tutti pensano di poterla fare. Poi però non resistono al tempo. Mi dica lei chi si ricorda dei personaggi del ‘Grande Fratello’. Tutt’al più quel Taricone che ogni tanto fa delle comparsate, ma tutti gli altri sono scomparsi mentre ancora oggi parliamo della signora Longari che ebbe successo ben trent’anni fa. Tutto questo vorrà pur dire qualcosa o no?
Prima – Chi secondo lei sono oggi i professionisti della televisione meritevoli di questo nome?
M. Bongiorno – Uno è un elemento nostro, quel Bonolis che adesso è entrato in Rai, anche se quando lo vedo gli dico: “Stai attento a non esagerare!” perché lui grida, grida troppo. Quello che però considero il mio erede è sicuramente Gerry Scotti. Ma ci sono anche tanti altri ragazzi che sono dei bravi professionisti, come per esempio Carlo Conti. I comici invece sono un disastro. Soprattutto da noi a Mediaset hanno ruota libera. Alle ‘Iene’ ne sentiamo di tutti i colori. Penso che stiano davvero esagerando.
Prima – Lei fa una trasmissione, ‘Genius’, con i bambini come protagonisti. Perché si è rivolto a questa categoria di spettatori?
M. Bongiorno – Già con ‘La ruota della fortuna’ avevo molto seguito tra il pubblico dei bambini. Consideri poi che io sono padre di tre figli, uno di 32 anni, un altro di 26 e l’ultimo di 15. In questa casa sono passati molti bambini e ho capito che c’è stato un grande cambiamento. Quando li ascoltavo mi sembrava di sentir parlare degli adulti. Al loro confronto noi eravamo dei ‘baluba’.
Prima – La cosa che più mi ha colpito, è che lei non li tratta come delle scimmiette deficenti ma come delle persone.
M. Bongiorno – Perché così ho trattato e tratto i miei figli. I bambini che vengono in trasmissione si fidano di me, si sentono a proprio agio.
Prima – Non ha voglia di prodursi in un nuovo quiz?
M. Bongiorno – Sì. Ho smesso quindici anni fa perché avevo capito di aver raschiato il fondo del barile e non trovavo più personaggi al livello della Longari. Adesso sono convinto che tra i giovani, quelli che fanno l’università o che l’hanno appena finita, che non hanno mai visto programmi come ‘Lascia o raddoppia?’ e il ‘Rischiatutto’, è possibile pescare intelligenze e personaggi per un quiz che meriti davvero quel nome. Mi dia tempo.
Intervista di Daniele Scalise