Hanno comprato Bollati Boringhieri e il 35% di Fazi portando il fatturato 2009 a 174 milioni. E sono finiti sulle cronache dei giornali come paladini dell’antiberlusconismo per la partecipazione in Chiarelettere e nel ‘Fatto Quotidiano’ e la pubblicazione del ‘Quaderno’ di Saramago rifiutato da Einaudi. Ora Stefano Mauri e Luigi Spagnol, dal 2005 alla guida del Gruppo editoriale Mauri Spagnol (Gems), spiegano come intendono il mestiere di editore. “Luigi ed io continuiamo a fare lo stesso mestiere che nelle nostre famiglie si fa da tre generazioni. Quindi, direi, un po’ prima che Berlusconi entrasse in politica. E il modo in cui questo gruppo viene condotto è sempre lo stesso: ci atteniamo a quei principi liberali su cui siamo stati formati. A cominciare dalla libertà di stampa”, dice Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato di Gems.
“C’è un altro principio per noi irrinunciabile: la salute finanziaria è l’unica garanzia di libertà e d’indipendenza. In Italia molti intellettuali hanno una passione per gli editori coraggiosi che magari perdono un sacco di soldi. Anch’io ho amato e amo dei libri che hanno venduto pochissimo. Ed è giusto che un editore, noi compresi, li pubblichi. Lo si fa ad esempio con la poesia, ma dosandoli nel corso dell’esercizio perché siano economicamente sostenibili”, spiega Luigi Spagnol, amministratore delegato di Gems.
“La cartina di tornasole del nostro mestiere è la capacità di promuovere il nuovo. E noi quest’anno ci siamo riusciti, visto che siamo gli editori di Donato Carrisi, Glenn Cooper e Gianluigi Nuzzi, che con ‘Il suggeritore’, ‘La biblioteca dei morti’ e ‘Vaticano spa’ sono gli autori emergenti di maggiore successo rispettivamente nella narrativa italiana, in quella straniera e nella saggistica di attualità “, sottolinea Mauri.
In quanto al ‘Fatto Quotidiano’, di cui Chiarelettere è uno degli azionisti, racconta Mauri: “La storia è andata così: circa un anno fa Antonio Padellaro e Marco Travaglio chiedono d’incontrarci e ci dicono che cercano un editore di riferimento. No grazie, rispondiamo, quello dei giornali non è il nostro mestiere. È in quell’occasione che è venuta fuori per la prima volta l’idea che le firme più importanti diventassero anche soci del giornale. È una garanzia per tutti gli azionisti, perché comporta la responsabilizzazione del giornalista nei confronti dell’impresa. E viceversa. Comunque, una volta decisa la struttura societaria con la partecipazione al capitale di Padellaro, Travaglio, Gomez e altri, Chiarelettere ha preso una quota di 100mila euro”.
La versione integrale dell’articolo è sul mensile Prima Comunicazione n. 399 – ottobre 2009