Dal free to air al free to web: rischi e opportunità 

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La distribuzione e il consumo digitali dei contenuti stanno crescendo molto rapidamente e influenzano in particolare le dinamiche del mercato televisivo. Cresce il consumo della televisione on demand rispetto a quella tradizionale, la cosiddetta ‘tivù lineare’, anche se l’evoluzione verso una fruizione totalmente ‘a richiesta’ sembra scontrarsi con la capacità  limitata del consumatore di gestire un numero troppo elevato di scelte (come ha teorizzato nel suo ‘Il paradosso della scelta’ Barry Schwartz). Dovendo bruciare qualche tappa, possiamo affermare che il consumo televisivo in futuro sarà  caratterizzato da una coesistenza di offerta lineare e on demand (cioè non lineare).
Il primo effetto del moltiplicarsi di contenuti e modalità  per fruirli è la riduzione, agli occhi del consumatore, dell’importanza della programmazione e delle proposte di prima serata. I broadcaster dovrebbero quindi proporsi come dei ‘trusted navigator’, cioè delle guide fidate e attendibili ma anche consapevoli di essere in competizione, tanto per complicare ulteriormente lo scenario, con i social network che, come già  abbiamo sottolineato, avranno una sempre crescente capacità  di influenzare le scelte degli utenti (“I tuoi amici decideranno cosa vedrai…”).
Per un operatore televisivo tradizionale come Rai o Mediaset, oltre a dover comunque cercare di cogliere le opportunità  del mondo della tivù a pagamento, si pone il dilemma di gestire la transizione di almeno una parte della sua offerta gratuita, oggi ‘finanziata’ dalla pubblicità  (il cosiddetto free to air), verso l’on line gratuito (possiamo chiamarlo per comodità  e analogia free to web), mantenendo però il suo ruolo centrale nella catena del valore. E facendo questo deve saper minimizzare l’impatto potenzialmente negativo, almeno nel breve termine, sulla sua redditività , dovuto al graduale spostamento dell’audience sulla piattaforma on line, dove i ricavi medi pubblicitari per utente sono più bassi e i costi di distribuzione della pubblicità  più alti.

L’articolo integrale è sul mensile ‘Prima Comunicazione’ n. 401 – dicembre 2009