Oreste Flamminii Minuto – La legge bavaglio: occasione imperdibile per rivendicare tutta intera la libertà  di stampa

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La legge bavaglio: occasione imperdibile per rivendicare tutta intera la   libertà  di stampa
La lettura di Prima, lo ammetto, è sempre foriera di novità . Apparentemente banali, ma in realtà  molto interessanti, sono le opinioni della crème del giornalismo giudiziario italiano riportate nel numero di giugno di quest’anno. Il bell’articolo di Riva, Scalise e Schiavazzi (vedi Prima n. 407, pagg. 72-77) riesce a mettere insieme una premessa, condita di foto che sembrano perfino vere nell’esprimere l’impegno dei personaggi fotografati a difendere la libertà  di stampa! Si vedono i direttori delle principali testate (Napoletano, Mauro, Siddi della Fnsi e Contu) che parlottano tra loro alla videoconferenza che li ha riuniti e sono fotografati anche altri importanti giornalisti: Concita De Gregorio, tra Ezio Mauro ed Emilio Carelli, come a dire che L’Unità  è solidale con Murdoch e De Benedetti. E perché non vi siano dubbi sull’accordo per un nuovo Fronte popolare, vengono pubblicate in quell’unico contesto anche le foto di Sechi (direttore del Tempo), de Bortoli (Corsera), Bollino (Gazzetta del Mezzogiorno) e, affiancati quasi in posa, Mentana e Feltri. Che più? È evidente che il pericolo è serio! “La libertà  di stampa diventa una caricatura!”, tuona Michele Ainis, validissimo costituzionalista. E allora è bene mettersi insieme per difendere la libertà  che c’è.
E dopo questa premessa, che già  da sola sarebbe sufficiente a mettere in allarme qualsiasi lettore, ecco l’opinione di ‘sette grandi firme’ (Sarzanini, Capacchione, Gomez, Statera, Malagutti, Nuzzi e Bonini) che all’unisono affermano che la legge sulle intercettazioni è – di fatto – la pietra tombale della libertà  di informazione. Certo, le posizioni sono variegate, ma comune è la certezza che la legge sia la fine della libertà  di informare.
Di queste ‘sette grandi firme’ tre ne ho difese in tribunale, un’altra la conosco molto bene, essendo stato amico del padre e un’altra mi ha più volte intervistato. A tutti costoro ho sempre tentato di spiegare che quello che c’è oggi in Italia, prima ancora che venga approvata la legge famigerata della quale si sta discutendo, è la totale, assoluta, indiscutibile mancanza di libertà  di stampa!
La legge sulla stampa del 1948, entrata in vigore praticamente insieme alla Costituzione repubblicana, nel momento stesso in cui ristabiliva la libertà  conculcata dal fascismo, considerava questa libertà  in maniera schizofrenica, non abolendo nessuna delle norme del codice Rocco che l’avevano limitata. E non solo non ha abolito le norme fasciste che impedivano fino a quel momento di svolgere attività  di libera informazione, ma ha introdotto istituti che poco hanno a che fare con la libertà  di stampa. Come se questo non bastasse, la Corte costituzionale ha contribuito non poco all’affossamento di questa fondamentale libertà . Ogni qual volta si è trovata a dover fare il ‘bilanciamento’ tra i beni costituzionalmente protetti che entravano in conflitto, ha quasi sempre ‘pesato’ il diritto-dovere di informare con una bilancia che segnava scarsissimo peso per il bene informazione rispetto agli altri beni (giustizia, segreti di vario genere, eccetera). Ci sarà  un motivo se Reporters sans frontières ha piazzato nel 2009 l’Italia al 49° posto della classifica della stampa libera dei Paesi mondiali!
La riprova di tutto questo si ha se si pone mente che, ad esempio, negli Stati Uniti la libertà  di stampa ‘pesa’ più di qualsiasi altro bene (emblematica la vicenda di Daniel Ellsberg che, denunciando la truffa del Golfo del Tonchino come pretesto per la guerra in Vietnam, dette la possibilità  alla Corte suprema di affermare che i Padri fondatori intesero garantire la libertà  di stampa perché tutelasse i governati e non i governanti) e che la Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo ha sempre condannato i Paesi che fanno pesare il bene giustizia più del bene informazione.
Anche il nostro codice di procedura penale del 1998 aveva introdotto il concetto di controllo sociale sugli atti del procedimento e, ovviamente, questo controllo non poteva essere espletato che dall’informazione. Poi anche i timidi tentativi sono stati affossati dal contrasto conclamato con le norme poste a tutela dei vari segreti e con quelle che nella loro essenza disconoscono il ruolo del diritto-dovere di informare. Al di là  delle vuote frasi di stile, occorre ripetere che nel nostro Paese la libertà  di stampa, intesa come diritto primario di democrazia al pari di ciò che avviene in tutti gli Stati di tradizione anglosassone, non c’è.
Se, dunque, ho ragione nel ritenere che in Italia, al di là  dell’approvazione della legge bavaglio, non ci sia libertà  di stampa, verrebbe naturale chiedersi: “Perché agitarsi tanto?”.
Se finalmente i direttori capissero questa elementare verità  e avessero il coraggio di chiedere ai loro editori (stavo per dire ai loro padroni…) di tornare a essere editori puri, potrebbero, insieme a tutte le grandi firme, fare una vera battaglia per la verità  e la libertà . L’occasione è unica per una rivolta che porti definitivamente all’abolizione delle norme fasciste che impediscono la vera libertà  di stampa e per ridare all’informazione il ruolo che le compete in una società  democratica e pluralista. Questa della legge bavaglio è un’occasione imperdibile per rivendicare tutta intera la libertà , che come insegnano illustri giuristi, non è divisibile. L’ultimo treno sta per partire. Chi non lo prende andrà  a piedi per tutta la vita.
Oreste Flamminii Minuto