Il governo paghi i broadcaster

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C’è una nuova proposta per risolvere il rebus delle frequenze televisive, e l’ha avanzata Antonio Sassano, il docente universitario che, come tecnico e consulente dell’Autorità  per le garanzie nelle comunicazioni, ha elaborato il Piano nazionale per le frequenze della tivù digitale. Secondo Sassano il governo dovrebbe pagare i broadcaster che restituiscono le preziose frequenze tivù; quindi mettere immediatamente all’asta per i gestori dei
telefonini queste frequenze, anche quelle ancora occupate dalle emittenti locali. Lo Stato spenderebbe decine di milioni per ritirare le frequenze dai broadcaster ma guadagnerebbe miliardi dall’asta pagata dai gestori mobili, che potrebbero lanciare da subito i preziosi servizi mobili di quarta generazione.
Che le frequenze rappresentino il vero business della televisione digitale è ormai diventato chiaro. Il problema è che il Piano nazionale delle frequenze approvato a giugno prevede che tutte le frequenze utilizzate dalla vecchia tivù analogica vadano solo alla tivù digitale. A differenza che nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti, il governo italiano ha privilegiato i broadcaster e non ha inizialmente previsto nessuna frequenza (se non in alcune aree locali) per i più avanzati e remunerativi servizi di accesso mobile a Internet a banda larga. Ma la Commissione europea vuole che in tutti i Paesi europei i canali 61-69 utilizzati attualmente per la trasmissione tivù (la banda 800 Mhz usata in Italia dalle tivù locali) vengano messi all’asta per la banda larga mobile entro il 2015.
Dopo molti tentennamenti, il governo ha svoltato e ha deciso di seguire le indicazioni della Ue, puntando a incassare qualche miliardo dall’asta sulle frequenze. Al contrario le tivù locali vogliono gestire in proprio il business con i gestori delle tlc e hanno minacciato una valanga di ricorsi alla magistratura.

L’articolo integrale è sul mensile ‘Prima Comunicazione’ n. 409 – Settembre 2010