Fondi all’editoria

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Legge di stabilità  A.C. n. 3778 – Il sì bipartisan della commissione Cultura della Camera al ripristino di 70 milioni di euro per il fondo dell’editoria (da reperire con la Robin tax, la tassa sui prodotti petroliferi) non era stato tenuto in alcun conto dalla legge di stabilità , come è stata ribattezzata la Finanziaria. La commissione Bilancio di Montecitorio lo aveva infatti dichiarato inammissibile e perciò nemmeno messo ai voti. Ma poi la maggioranza è stata battuta su un altro capitolo di spesa – con Futuro e libertà  di Fini e il Movimento per le autonomie (Mpa) di Raffaele Lombardo che hanno votato insieme all’opposizione – e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è stato costretto a modificare la legge di stabilità  anticipando in gran parte le misure che avrebbe voluto inserire nel decreto di fine anno. E tra queste ci sono quelle sull’editoria.
Nel maxi emendamento presentato dalla maggioranza il 10 novembre, sono dunque spuntati 60 milioni per il fondo all’editoria, saliti poi a 100 grazie all’emendamento di tre deputati finiani che ha raccolto il voto delle opposizioni (Idv esclusa); più 45 per l’emittenza televisiva locale e 5 per il sostegno della stampa italiana all’estero. Tutte misure – è stato specificato – valide soltanto per il 2011. Saranno sufficienti per scongiurare la crisi del settore? L’opposizione, con Ricardo Franco Levi (Pd), aveva chiesto che i milioni fossero 150 per il triennio 2011-2013. Con tutti i tagli inferti al comparto, dei 414 milioni stanziati nel 2008 per pagare i contributi del 2007, si è arrivati ai 195 milioni per il 2010. Meno della metà  o quasi un terzo, se si considera che dal fondo editoria devono essere sottratti 45 milioni da destinare alle produzioni di servizio della Rai e circa 50 per pagamenti pregressi alle Poste. Ora c’è l’aggiunta di 60 milioni, che l’opposizione spera di aumentare quando la legge di stabilità  passerà  all’esame del Senato. Gran parte delle misure inserite nel maxi emendamento (tra cui i fondi per l’università  e la ricerca e gli ammortizzatori sociali) derivano dai ricavi che il governo pensa di ottenere dall’asta delle frequenze liberate dal digitale terrestre: circa 2 miliardi e mezzo di euro.

L’articolo integrale è sul mensile ‘Prima Comunicazione’ n. 411 – novembre 2010