2010/ Il ciclone Wikileaks: Usa sotto scacco
Iraq, Afghanistan e diplomazia nel mirino di Assange
Roma, 24 dic. (Apcom) – Il 2010 è stato l’anno di WikiLeaks, il sito fondato da Julian Assange, e degli attacchi alla politica internazionale americana. A luglio gli “Afghan War Diary”, oltre 90.000 rapporti secretati sulla guerra in Afghanistan, a ottobre gli “Iraq War Logs”, quasi 400.000 documenti sul conflitto in Iraq: in entrambi poche vere notizie e molto scalpore, soprattutto per la vulnerabilità dell’Esercito, dell’amministrazione e dell’intelligence, incapaci di evitare che i documenti circolassero. Ma è stato a novembre che è scoppiato il vero caso, quando il sito di Assange ha fatto esplodere il cosiddetto Cablegate, oltre 250.000 dispacci inviati agli Stati Uniti da circa 300 ambasciate americane in giro per il mondo tra il 1966 e il 2010. Anche se le notizie rivelate sono state fonte di imbarazzo più che di veri problemi internazionali, a risultare preoccupante è stato l’attacco alla diplomazia americana, il disegno (ancora sconosciuto) che sta dietro alle azioni di Assange, un personaggio che divide profodamente chi lo considera una sorta di Robin Hood di Internet e chi pensa sia un mitomane a caccia di notorietà e guadagni. Dal canto loro gli Stati Uniti hanno duramente condannato la diffusione dei documenti, considerata una minaccia per la sicurezza nazionale, e al contempo hanno cercato di minimizzare le parole dei propri diplomatici: opinioni personali non posizioni ufficiali del Governo, valutazioni di persone che non fanno parte dei servizi segreti, documenti scritti nella convinzione che non avrebbero avuto carattere pubblico, informazioni non complete. Quale che fosse la vera natura dei documenti, è innegabile l’impatto sugli Stati Uniti, la cui immagine risulta appannata dalle accuse di WikiLeaks, secondo cui il Governo americano avrebbe spiato gli alleati e le Nazioni Unite, chiuso un occhio su casi di corruzione e abusi sui diritti umani in Paesi amici, fatto ricorso ad accordi segreti con Stati considerarti neutrali e svolto intensa attività di lobby a favore dei colossi industriali americani. “A ogni studente americano è insegnato che George Washington, il primo presidente, non diceva mai bugie. Se i suoi successori avessero seguito la stessa strada, questi documenti non sarebbero neppure fonte di imbarazzo. Invece, gli Stati Uniti hanno messo in guardia governi, anche i più corrotti, sui possibili problemi causati dall’esposizione”, avevano commentato quelli di WikiLeaks. Cosa dovrebbero fare ora gli Stati Uniti? Secondo qualcuno tanto per cominciare il segretario di Stato Hillary Clinton dovrebbe rassegnare le proprie dimissioni, in particolare per avere chiesto, come il suo predecessore Condoleezza Rice, di “spiare” i diplomatici delle altre nazioni (emerge dai cable che avrebbe chiesto di raccogliere impronte digitali, password, numeri di carte di credito, anche su dipendenti delle Nazioni Unite tra cui lo stesso segretario generale Ban Ki-moon). L’obiezione di chi non è di questa idea è che appunto i diplomatici non sono spie, raccolgono informazioni, interagiscono con la popolazione, il governo e i media del Paese in cui vivono. In generale, il dipartimento di Stato americano dovrà preoccuparsi di ricucire i rapporti con gli altri Paesi e convincerli di essere un alleato affidabile, al di là delle “uscite” dei suoi diplomatici.
A24-Ars
261107 dic 10