Io non ci sto – Intervista a Fabrizio Chiarini, titolare dell’agenzia fotografica Olycom (Prima n. 403, febbraio 2010)

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Io non ci sto
“Anche noi riceviamo telefonate del tipo: potremmo organizzare un servizietto con quella velina per incastrare il tal politico…”, dice Fabrizio Chiarini, titolare dell’agenzia fotografica Olycom, “ma un conto è documentare una cosa reale. Altro è prefabbricare, costruire trappole”.
È figlio d’arte. Il padre, Walfrido Chiarini, è stato tra i fondatori di Olympia Fotocronache, una delle più importanti agenzie italiane di fotoreportage. Figlio d’arte svezzato alla dura bottega degli appostamenti, delle imboscate ai vip, dell’immagine rubata alla cantante e all’attore mentre cede la spallina e spunta la tettina o sfugge un bacio rapinoso all’uscita del ristorante. Ma Fabrizio Chiarini è anche e soprattutto professionista e manager dell’era della fotografia digitale, con una laurea in economia aziendale conseguita alla Cattolica, e l’incarico di amministratore unico di Olycom, un’azienda da 8 milioni di fatturato annuo, che ha la rappresentanza di 200 fotografi, con un archivio di immagini fatto di 10 milioni di scatti che documenta la storia d’Italia del dopoguerra: dal costume alla cultura, alla politica.
L’agenzia di Chiarini, che anni fa ha rilevato l’intero archivio storico di Publifoto e gestisce anche il brand Franca Speranza, leader nelle immagini di interior design, è una delle poche a stare a galla con una certa sicurezza in un mercato dove i grandi nomi crollano come castelli di sabbia. Grazia Neri costretta a chiudere, il gigante americano Magnum in crisi perenne e sull’orlo del crack. La giovane e aggressiva agenzia francese Oeil Public che ai primi di gennaio ha gettato la spugna. Un intero mondo che sta cambiando alla velocità  della luce, travolto dalla crisi dell’editoria e dalla rivoluzione digitale. “È un momento difficilissimo”, dice Chiarini, “quando ha chiuso Grazia Neri è come se mi avessero tolto un pezzo della mia vita. Con mio padre sono cresciuto nel mito della sfida a Grazia Neri, che per noi è sempre stata un punto di riferimento, prima che un concorrente”.
Fabrizio Chiarini sta a galla fra il vecchio e il nuovo della fotografia, è stato fra i primi a puntar tutto sul digitale ma in un salone grande come una piazza conserva ancora migliaia di scatti in cartaceo, nelle buste gialle. E se deve pensare al suo tesoro indica quello.
Fabrizio Chiarini è tutto questo, ma ai primi di gennaio 2010 è soprattutto un uomo incazzato e preoccupato per il futuro del suo mestiere e della sua azienda per altri motivi. Dalla fine dell’anno è partita a Milano l’inchiesta Vallettopoli 2. La magistratura milanese indaga di nuovo su fotoricatti e servizi comprati e spariti. Torna ancora una volta il nome di Lapo Elkann, per via di un doppio servizio fotografico a Parigi e a Milano, in viale Monza, che documenta la sua continua frequentazione di transessuali. Un doppio servizio che sarebbe stato ritirato dal mercato dietro il pagamento di 300mila euro. Vittime di fotoricatto sarebbero anche il costruttore Stefano Ricucci, Simona Ventura, il regista Leonardo Pieraccioni e la compagna di Pier Silvio Berlusconi, Silvia Toffanin.
Spunta anche il nome del direttore di Chi e Sorrisi e Canzoni Alfonso Signorini, che due paparazzi come Max Scarfone e ‘Bicio’ Pensa (collaboratore di Corona) indicano come il dominus di questo negozio di immagini. Soprattutto nella parte di imboscatore di servizi comprati e mai pubblicati.
E di nuovo finisce sotto i riflettori Fabrizio Corona, stavolta nella parte del vendicatore e del pubblico accusatore del direttore di Chi e Sorrisi. All’indomani della sentenza del Tribunale di Milano che lo aveva riconosciuto colpevole e condannato a tre anni e otto mesi di galera per estorsione e truffa ai danni di Lapo Elkann e del calciatore Adriano, Corona era sbottato, chiedendo a voce alta perché non finissero sotto processo altre agenzie fotografiche, come PhotoMasi ad esempio, coinvolte nell’allucinante vicenda di trans e ricatti, costata il posto al governatore del Lazio Piero Marrazzo. In un’intervista a Oggi della fine di gennaio, Corona attacca a testa bassa: “Ci sono direttori di giornali, come per esempio Alfonso Signorini: il loro lavoro imporrebbe un’alternativa secca, pubblicare o non pubblicare certe immagini. Invece c’è chi le trattiene, le usa per rafforzare il suo potere e fare un favore agli amici”.
Nel tritacarne della nuova inchiesta finisce ancora l’intera categoria dei fotografi e delle agenzie che commercializzano i servizi. Il pubblico ministero Frank Di Maio interroga e mette sotto indagine Carmen Masi e Max Scarfone di PhotoMasi e Maurizio Sorge dell’agenzia Spy One. Sotto la lente d’ingrandimento finiscono anche i rapporti fra Signorini e l’agenzia UnoPress di Milano, fornitrice abituale di scoop a Chi, venditrice del servizio su Lapo e i trans a Parigi e al centro del tentativo di costruire una trappola ai danni dell’ex giornalista dell’Espresso Marco Lillo, al quale viene proposto un incontro con una presunta amante di Berlusconi che, nel maggio del 2009, cerca di vendere la propria storia (fasulla) per 50mila euro. E che viene sbugiardata, perché Lillo rifiuta e registra tutto.
“Questo è il quadro e purtroppo temo che col tempo peggiorerà “, commenta Chiarini. “Per questo mi pare indispensabile spiegare che noi, come del resto la stragrande maggioranza delle agenzie e dei fotogiornalisti italiani, facciamo un lavoro serio, che con lo squallore e il degrado di queste vicende non c’entra nulla. Anche se facciamo gossip”.
Prima – Questi nuovi barbari del fotogiornalismo da dove escono?
Fabrizio Chiarini – Sono frutto del costume televisivo degli ultimi dieci anni. E naturalmente sono figli dei reality e del digitale, ovvero di una tecnologia che rispetto al passato permette l’impensabile. Prima per fare il professionista ci volevano tecnica e apprendistato. Oggi è tutto molto più facile e a portata di mano. Quando iniziò a fare il fotoreporter, mio padre Walfrido riceveva dall’agenzia un rullino con dodici scatti da caricare sulla Rolleiflex: quello gli doveva bastare per il servizio. Oggi arrivano 850 scatti per servizio.
Prima – Ma i reality cosa c’entrano?
F. Chiarini – Uno che partecipa a un reality, che non è nessuno, non ha fatto ancora nulla nella vita, non ha meriti né talenti, viene sparato in tivù e in un attimo diventa notissimo. La stessa pochezza di questi non personaggi si riverbera sul contorno. Compresi i fotografi.
Prima – Beh, non che nell’epoca prereality i fotografi di gossip fossero delle mammolette. I servizi concordati si sono sempre fatti. E si sono anche ritirati servizi sgraditi, con qualche scambio borderline. Non è vero?
F. Chiarini – Guardi che c’è modo e modo di fare gossip. Anch’io ricevo telefonate del tipo: potremmo organizzare un servizietto con quella velina per incastrare il tal politico… Ecco, io a queste cose non ci sto. Un conto è beccare lo scatto dopo un appostamento, scoprire un altarino, documentare una cosa reale. Altro è prefabbricare, costruire trappole. Fare bene questo mestiere significa sapere qual è il limite. O perlomeno chiederselo ogni volta.
Prima – Stando alle deposizioni di qualche fotografo, ad esempio questo Bicio che lavorava per Corona, il fotoricatto è diventato una specie di genere. E se il ricatto è un genere, c’è da chiedersi se ci sono anche degli impresari del genere.
F. Chiarini – Non credo ci siano regie occulte o regie politiche. Ed è vero che anche negli anni Cinquanta e Sessanta ci sono stati servizi fatti e mai pubblicati. Ma la differenza è trasformare questa cosa in core business. Capisce, questi fanno le foto non per pubblicarle ma per venderle al prezzo più alto ai soggetti che hanno fotografato. Io non mi presto a rovinare la vita di una persona, di un politico, contribuendo a organizzare una trappola. Se ci sono delle foto pubblicabili, le commercializzo, ma non organizzo apposta un incidente, una sceneggiata o un agguato. Per me c’è un limite e, guardi, visto quello che sta succedendo, ci sono anche cose che non rifarei.
Prima – Per esempio?
F. Chiarini – Dieci anni fa, quando ci fu il divorzio fra la Hunziker e Ramazzotti, pescammo Eros mentre comprava riviste hard in edicola. Ecco, oggi quelle foto non le venderei: troppo intrusive, avrebbero potuto incidere su una causa di separazione che coinvolgeva una minore.
Prima – Peccato venialissimo, se pure è un peccato, visto quel che c’è in giro, non crede?
F. Chiarini – Allude ai trans? Alle disavventure di Marrazzo, Sircana e Lapo? Guardi, io sono convinto che questo clima intossicato, queste storie di estorsioni, ricatti e commerci torbidi abbia origine proprio anche dall’ambiente trans. Probabilmente anche lì la sete di denaro ha travolto qualsiasi barriera. Oggi chi offre vizi privati contro moneta non rispetta più il silenzio. Siamo finiti in un circuito infernale fra personaggi del nulla, sete di denaro, industrializzazione del ricatto e voyeurismo di massa.
Prima – L’ex poliziotto Gioacchino Genchi, consulente dell’ex pm Luigi De Magistris e di altre procure, dice che dietro i fotoricatti ci sono i servizi segreti.
F. Chiarini – Non ci credo. Le foto sono manifestazioni di notizie che escono dal giro della prostituzione, dai trans, dai pusher e da un certo mondo legato alla droga. Non credo a una regia politica e tanto meno a qualche grande burattinaio dei servizi. Il fatto è che è sceso molto in basso il mondo della politica e insieme anche l’editoria e quello che ci gira intorno. Pensi alla vicenda Marrazzo: come si fa a pensare di comprare un video girato in una casa privata, da due poliziotti che te lo vendono a migliaia di euro? Questo è orribile, non è gossip!
Prima – È senz’altro orribile, ma resta il fatto che quel video è girato per mesi fra redazioni e agenzie fotografiche. E, francamente, non è sembrato che lo scandalo maggiore fosse il comportamento di PhotoMasi, l’agenzia che cercava di venderlo.
F. Chiarini – Guardi, quando parlo di gossip intendo anche notizie forti: tradimenti, documentazione di scelte sentimentali di rottura, lati nascosti o segreti nella vita di un personaggio. E certamente non stiamo a chiedere il permesso per certe foto. Ogni estate noi facciamo una specie di piano di ‘guerra’ per seguire i personaggi: mandiamo reporter e affittiamo case a Capri, a Formentera, in Costa Smeralda, in Versilia, sull’Argentario, alle Eolie. Ad esempio, con la pazienza e gli appostamenti e un pizzico di fortuna siamo riusciti a riprendere le prime foto della Ventura con la figlia in affido. E, se vuole, aggiungo che il buon fotografo di gossip dev’essere un po’ carogna, un buon osservatore e soprattutto uno dotato di grandissima resistenza psicofisica. Non deve mollare mai. Se molli, la partita è perduta. Questo è gossip. Il video di un politico in mutande, ripreso da due poliziotti infedeli, a casa di un trans è tutt’altra cosa. E poi, mi scusi, bisogna distinguere tra agenzie e agenzie.
Prima – E cosa c’è da distinguere?
F. Chiarini – Alcune hanno un solo dipendente, altri tutti Co.co.pro. Noi abbiamo decine di persone contrattualizzate, con i contributi, una gestione trasparente e un bilancio fatto del nostro valore di mercato, dell’affidabilità  e dell’autorevolezza costruite in anni di lavoro. I soldi facili, qui a Olycom, non li fa nessuno e men che meno io che ne sono l’amministratore. Noi ci ostiniamo a fare della fotografia, altri si dedicano all’after market dell’accanimento. L’asticella dello schifo si è alzata di settimana in settimana. Il fenomeno Corona, la sua paradossale e assurda mitizzazione ha portato gente che lavora per lo Stato a pensare di far soldi facili vendendo informazioni. Quando gente che guadagna 1.500 euro al mese sente parlare di 20, 40, 100mila euro per far sparire dalla circolazione immagini che scottano, per qualcuno diventa una tentazione irresistibile. Ribadisco il concetto: per me gossip sono le foto in bikini di Veronica Lario, che ci sono costate settimane di lavoro. Faccio questo mestiere da 17 anni, rischio, sgobbo come un matto e non ho conti in Svizzera.
Prima – Corona e i suoi epigoni faranno pure spavento, però, ripeto, non ci può raccontare che il vostro è un mondo di educande.
F. Chiarini – Non lo è, va bene. Nell’editoria trattamenti di favore ci sono sempre stati. Ad esempio, per importanti imprenditori italiani, nomi che contano nel mondo della moda, grandi inserzionisti pubblicitari. Anche politici, in qualche caso. Ma, come dire, è il sistema che in qualche modo si autotutela, non è la pianificazione del ricatto. Si fanno foto per pubblicarle, non per nasconderle a pagamento. Un’agenzia può chiedersi se quello scatto, quell’immagine ha un valore informativo o ha passato il limite della privacy. Un giornale può ragionare sulle proprie convenienze. Ma sia l’agenzia che il giornale non possono fare da mediatori in un sistema estorsivo. E poi, mi scusi, ma chi sta in un’impresa, come me, ha il dovere di difendersi e di mantenere la reputazione. Io non posso andare in banca e vedermi guardare come un soggetto pericoloso e inaffidabile perché sono un’agenzia fotografica. I giornali li leggono tutti e l’idea che si è formata è che lavoriamo al confine fra lecito e illecito, che prima o poi ci beccherà  la magistratura.
Prima – Fra chi ha goduto di trattamenti di favore ha citato anche politici. Chi gode ancora di questo status, visto che sport nazionale sembra essere lo sputtanamento del politico?
F. Chiarini – Ci è capitato, un paio di anni fa, un servizio in cui Gianfranco Fini e la sua compagna Elisabetta Tulliani erano stati sorpresi in una situazione, diciamo, sconveniente. Abbiamo pensato che quelle foto ledevano la dignità  delle persone e la loro privacy. E ho deciso che non avremmo partecipato alla vendita di quelle immagini. Non nascondo che in questa decisione ha anche pesato il calcolo di quanto ci sarebbe costata un’eventuale causa per violazione della privacy. Recentemente mi ha chiamato l’avvocato di Fini: si è complimentato con noi per la scelta. Noi vendiamo credibilità  e attendibilità : sono fattori che creano valore economico e competitivo. Ma il complimento di cui vado più fiero me l’ha fatto un direttore per via di un errore.
Prima – Dica e faccia nomi e cognomi.
F. Chiarini – È stato il direttore di Oggi Umberto Brindani, ai tempi in cui era il direttore di Chi. Gli avevo venduto un servizio in cui un noto editore era in compagnia di una donna, della quale, ahimè, avevamo sbagliato completamente nome e cognome. Quando ho chiamato per scusarmi, Brindani mi ha detto: “Avrei dovuto far controllare le foto ma di te mi fido”. Capisce cosa intendo quando parlo di affidabilità ?
Prima – Ma chi era il noto editore?
F. Chiarini – Paolo Berlusconi, fratello del Cavaliere e zio di Marina, presidente della Mondadori, l’editrice di Chi. Brindani è sempre stato un signore, non le pare?

Intervista di Ivan Berni