Monopolisti della cultura – Intervista a Marino Sinibaldi, direttore di Radio3 Rai (Prima n. 408, luglio/agosto 2010)

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Monopolisti della cultura
Marino Sinibaldi il 3 agosto festeggia un anno alla guida di Radio3. Non teme la missione pedagogica della sua emittente colta e a chi lo accusa di dirigere una stazione in via di estinzione risponde: ‘Abbiamo pochi competitor e saremo gli ultimi a scomparire’.
Romano di 56 anni, prima di essere assunto in Rai ha lavorato per ventidue anni alla Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma e se gli si chiede di descrivere la sua carriera risponde che in primo luogo è un ascoltatore. Ma in realtà  il suo è un curriculum quasi tutto all’interno di Radio Rai: collaboratore già  negli anni Ottanta, nei primi anni   Novanta ha inventato e condotto alcune delle trasmissioni culturali più innovative della terza emittente: da ‘Antologia’, chiacchierata di quattro ore per cinque settimane con i maggiori intellettuali del momento (come Natalia Ginzburg e Vittorio Foa), a ‘Fine secolo’, approfondimento mattutino in diretta intorno alle parole chiave che ancora descrivono l’attualità  come globalizzazione, immigrati, solidarietà  o razzismo. Fino alle trasmissioni culturali come ‘Lampi’ dal 1995 al 1999 e poi ‘Fahrenheit’ dal 1999 a oggi.
Vice direttore programmi di Radio Rai nel 1999, Sinibaldi dal 3 agosto 2009 ha preso il posto di Sergio Valzania al vertice di Radio3, canale dove ogni giorno si consuma un rito seguito da quasi tre milioni di persone. Una nicchia colta, talvolta un po’ autoreferenziale e snob, ma fedelissima a una programmazione dove la musica classica e l’opera si alternano a programmi eruditi che il direttore sta cercando di rendere sempre più aperti e divulgativi.
Prima – Dopo quasi dieci anni intorno ai 2 milioni di ascoltatori al giorno, l’ultima rilevazione Audiradio ha registrato un boom dell’audience di Radio3 del 60% portandovi a quasi 3 milioni. Un’esplosione che – insieme a quella di altre emittenti con un target maturo e femminile – ha suscitato grandi discussioni sui metodi di rilevazione che Audiradio ha appena modificato. Al di là  delle polemiche, Radio3 resta una radio di nicchia o sta diventando pop?
Marino Sinibaldi – Non mi piace il termine ‘di nicchia’, ma sì, di fatto Radio3 in parte lo è. Il servizio pubblico però non può non preoccuparsi di parlare a tutti. Non siamo indifferenti ai dati Audiradio ed è mio obiettivo aumentare gli ascolti, rivolgendomi anche ai giovani. Non ho numeri in mente. Da una parte vorrei che l’ascoltassero tutti, dall’altra non voglio perdere i nostri tratti originali per inseguire l’audience.
Prima – Radio colta e di qualità  per chi la ama, minoritaria per i detrattori. Da dove viene la differenza di Radio3?
M. Sinibaldi – Dal suo statuto, che il prossimo 1° ottobre festeggia sessant’anni. Radio3 venne concepita come rete ‘differenziata’, che si rivolgesse a un pubblico alto, ma soprattutto che parlasse di teatro, musica e cultura in un’Italia appena uscita dalla seconda guerra mondiale. È incredibile come negli anni Cinquanta, in un Paese in cui mancava il pane, si pensasse alle rose.
Prima – Perché ha intitolato il suo piano editoriale ‘Sempre nuova Radio3’?
M. Sinibaldi – Voglio tener fede alla vocazione della radio attraverso quelli che io definisco i tre punti cardinali: bellezza, intelligenza e contemporaneità . Abbiamo la fortuna di avere il compito di occuparci di cose belle, come la musica e l’arte. Dobbiamo farlo senza voltare la testa nei confronti dei conflitti che esistono nella società . Questa è l’intelligenza: riconoscere l’importanza del conflitto senza averne paura, comprenderlo sfuggendo così a una funzione troppo consolatoria della cultura. Infine la contemporaneità : non vogliamo parlare di bellezza senza tempo, ma piuttosto di quella calata nel mondo in cui viviamo. Ogni volta che affrontiamo un nuovo tema ci chiediamo dove sono questi tre elementi.
Prima – Nelle sue trasmissioni ha sempre riservato il posto d’onore agli ascoltatori, instaurando un dialogo diretto con loro. Com’è il pubblico di Radio3?
M. Sinibaldi – Ha una passione per la cultura e una competenza superiore alla media. Non ho sondaggi alla mano, ma lo conosco troppo bene: sono ascoltatori colti, esigenti, a volte diffidenti verso il nuovo ma sempre molto curiosi. È una ricchezza dell’azienda che ho deciso di sfruttare. Esemplare la trasmissione di informazione del mattino ‘Tutta la città  ne parla’: l’argomento lo suggerisce il pubblico durante la rassegna stampa. In un’ora organizziamo un approfondimento su un tema di attualità  con un taglio diverso rispetto a quello proposto da giornali e tivù. E non mancano i casi in cui la discussione verte su temi totalmente ignorati dai media.
Prima – Un pubblico legatissimo al canale.
M. Sinibaldi – Con questo aspetto abbiamo scherzato con la ‘Dichiarazione di dipendenza da Radio3’, scritta dall’attore Alessandro Bergonzoni che ne è anche il primo firmatario (“Dichiaro la mia dipendenza da questo numero perfetto, libero di essere succube delle sue narrazioni, e dichiaro a sua Eminenza terza grande disposizione all’ascolto, usando il terzo orecchio quello che sente l’inaudito, e da diversamente udente dichiaro il mio sano condizionamento nei confronti vostri che parlate altro, suonate oltre”, eccetera: ndr). Ripeto: secondo me creare una sorta di unica comunità  con il pubblico è un valore di Radio3. Certo rende più difficile e impegnativo il cambiamento.
Prima – Data ‘la dipendenza del pubblico’ viene da chiedersi se sia così necessario cambiare.
M. Sinibaldi – Sì, lo è. Bisogna trasformare la radio. Ci sono nuove sfide. Un tempo c’erano pochi modi per accedere alla cultura e la radio era un veicolo fondamentale. Oggi no. Ci sono molti più spettacoli e concerti dal vivo, partecipati, ci sono collane musicali in vendita a due lire, c’è Internet dove si possono avere le anteprime delle novità  editoriali e musicali quasi gratuitamente… La radio ha molti più concorrenti, deve dunque crearsi un suo spazio, parallelo, in cui offrire qualcosa in più e di diverso che non è possibile trovare altrove.
Prima – Nella pratica quali sono le novità ?
M. Sinibaldi – Abbiamo proposto giornate di rottura come il 14 giugno in cui tutta la programmazione è stata condotta da stranieri, creando un’attenzione degli altri media come mai prima. Oppure portiamo la radio sempre di più fuori dagli studi di registrazione, organizzando incontri diretti con il pubblico. È il caso di Radio3 in festival a Cervia o della partecipazione ai Radioincontri di Riva del Garda. Ma anche di giornate organizzate in alcune città  d’Italia: siamo stati all’Aquila. In autunno vorrei portare la radio per un giorno in una città  del Sud meta di immigrazione.
Prima – E nel palinsesto?
M. Sinibaldi – Oltre all’approfondimento del mattino ‘Tutta la città  ne parla’, abbiamo inventato ‘Chiodo fisso’, un programma di dieci minuti che affronta lo stesso tema per un mese sfuggendo alla stretta sul presente che gli altri media sono costretti ad avere. Abbiamo parlato di Costituzione, di Africa, di bici. Poi c’è stata l’esperienza del ‘Cantiere’ realizzato con il contributo di giovani, studenti o amatori, per rinnovare il linguaggio della radio. In più abbiamo prodotto materiali disponibili solo su Internet.
Prima – Qual è il rapporto con la musica classica e d’opera, che occupa ancora quasi un terzo della programmazione? Non è rischioso puntare su generi così di nicchia?
M. Sinibaldi – Sicuramente è avventuroso, ma non rinnego la missione anche pedagogica di Radio3. Non so dire la proporzione aritmetica tra musica e parole, anche perché non li considero linguaggi separati. Radio3 ha inventato un doppio standard fatto di grandi trasmissioni musicali e di collegamenti con prestigiosi concerti dal vivo che spezzano il palinsesto. Non abbiamo paura di dedicare interi pomeriggi all’opera di Wagner o ai festival internazionali che nessun altro trasmette. È un nostro marchio di qualità  che ho intenzione di difendere, senza però rinunciare ai nuovi territori musicali, come la musica etnica, popolare, jazz fino all’elettronica. Tra le nuove trasmissioni c’è ‘Sei gradi’, che applica alla musica la teoria dei sei gradi di separazione: si passa così da Bach ai Radiohead attraverso un percorso magari bizzarro ma sicuramente inesplorato e attuale.
Prima – Ci sono programmi con un format identico da anni. Penso a ‘La barcaccia’, approfondimento colto sull’opera lirica. Non rischiano, questi ‘intoccabili’, di ostacolare il cambiamento?
M. Sinibaldi – Per me ora tutti i programmi di Radio3 sono ‘intoccabili’. Sono come i miei figli: certo vedo chi corre e chi traballa un po’. Ma sento anch’io l’affezione che prova il pubblico che, anche se non ascolta tutti i programmi, è contento che ci sia una radio così, libera dalle mode e dalle ondate commerciali, che lascia lo spazio per approfondire ogni ambito della cultura.
Prima – Lunghe interviste, letture alla radio, programmi teatrali che somigliano ai vecchi sceneggiati. Non crede si debba intervenire un po’ sul linguaggio?
M. Sinibaldi – Non è detto che le lunghe interviste o i pensieri lunghi debbano scomparire, anzi adesso stanno tornando anche in tivù e sui quotidiani: Fabio Fazio a ‘Che tempo che fa’ intervista per venti minuti i suoi ospiti, il Corriere della Sera e Repubblica sono tornati a dedicare intere paginate a personaggi o temi culturali. Certo noi dobbiamo rinnovare il linguaggio di Radio3, ma ponendo la diversità  come norma, sperimentando nuovi punti di vista sia in ambito sonoro, artistico o, perché no, politico e mettendo al centro la competenza.
Prima – Come coinvolge i conduttori storici al cambiamento e quali sono le sue persone di fiducia?
M. Sinibaldi – Facciamo molte riunioni, ci confrontiamo su tutto. Circa ogni due settimane invito tutti nel mio ufficio, circa una settantina di persone, per dirci cosa stiamo facendo. Poi incontro spesso i responsabili della programmazione: Michele Dall’Ongaro per la parte musicale, Rossella Panarese, Monica Nonno, Silvia Toso e Chiara Galli. Queste ultime andranno in pensione a breve, ho già  in mente chi nominare ma non posso dirlo ora.
Prima – Ha mandato via qualcuno o imposto qualche veto?
M. Sinibaldi – Mandato via qualcuno io? Figuriamoci… al massimo il problema è che tutti vogliono venire a Radio3. Io ho imposto solo qualche veto nel linguaggio, ad esempio ho bandito l’espressione ‘come tutti sanno’ rivolta a un pubblico erudito: chi non lo sa si sente escluso e cambia radio. Oppure dire di un personaggio che ‘non ha bisogno di presentazioni’, che poi peraltro, anche a Radio3, è spesso un modo per non dover spiegare chi è la persona di turno.
Prima – Insomma, Radio3 è un’isola felice?
M. Sinibaldi – Mi piace più l’idea di penisola, attaccata al continente. Si pensa sempre che un’informazione culturale sia destinata a essere minoritaria. Io rispondo: non è detto. Né sì né no. Certo in parte lo è, ma siamo ormai pieni di esempi, anche in tivù, di programmi culturali con ottimi ascolti. In più ci vuole più coraggio negli investimenti: ci si preoccupa troppo dei possibili flop di trasmissioni culturali, poi si buttano via i soldi in produzioni di fiction che non ottengono i risultati sperati.
Prima – C’è chi dice che Radio3 è una radio in via di estinzione.
M. Sinibaldi – Come tutti i media. Internet spazzerà  via i giornali, avremo l’iPad e magari una fibra ottica nel padiglione auricolare per ascoltare musica. Ma noi saremo gli ultimi a scomparire. Proprio per la nostra particolarità  abbiamo pochi competitor e il quasi monopolio dell’informazione culturale.

Intervista di Eleonora De Bernardi