Gente pratica
‘La redditività è alla base della nostra azione sul mercato. Non i volumi, non i fatturati, non le quote di mercato’, dicono a Media Italia, il centro media del gruppo Armando Testa, che chiude il 2010 con ottimi risultati grazie anche al ritorno di un importante cliente come Reckitt Benckiser solo dopo sei mesi che li aveva lasciati.
Sono diversi da quasi tutti i principali concorrenti. Perché lavorano per una centrale italiana e perché non hanno paura di apparire conservatori. Non parlano il ‘networkese’ – un misto di linguaggio tecnico e inglese – e dichiarano con orgoglio che hanno sempre puntato molto sulla televisione e lo faranno ancora di più nei prossimi mesi. Non sono per nulla diplomatici quando sostengono apertamente che “la carta stampata è inevitabilmente destinata a ricevere una fetta sempre più ridotta della torta pubblicitaria” o quando ribadiscono che almeno due delle ‘audi’, Audipress in primis e Audiradio a ruota, sollecitano riserve pesanti da parte degli utilizzatori professionali e vanno riformate.
Completa il quadro delle cose che rendono diversi dagli altri i manager di Media Italia un discreto e ritegnoso pudore a usare per sé medesimi gli effetti speciali del marketing: nessuno slogan fantasmagorico per definire creativamente un posizionamento differenziante. Valentino Cagnetta, l’amministratore delegato, ed Eugenio Bona, il presidente e fondatore, ci tengono soprattutto a ricordare che Media Italia è il centro media del gruppo Armando Testa e che condividono con la più importante agenzia di pubblicità italiana la stessa ossessiva fissazione per i valori della professionalità e dell’esperienza. E sottolineano che devono essere soprattutto le ricerche, la capacità di esprimere nuovi e più originali orientamenti strategici ma anche un’estrema e misurabile efficacia, a qualificare e rendere diversi l’uno dall’altro i centri media del nostro Paese. Una coppia ai vertici bene assortita. Bona, il capo storico della centrale, ha voluto con sé Cagnetta alcuni anni fa e ha vinto una scommessa delicata: il manager proveniente da Aegis è riuscito a sintonizzarsi sulla ‘torinesità ‘ del contesto e a entrare bene nei meccanismi che rendono il gruppo guidato da Marco Testa una realtà di successo unica nel suo genere, ma anche un ambiente particolare, in cui i nuovi arrivati non sempre riescono ad ambientarsi. La prova del nove, se mai ci fosse stato ancora qualcosa da dimostrare, i manager al vertice di Media Italia l’hanno superata negli ultimi dodici mesi. Poco meno di un anno fa era arrivata la doccia fredda. Un cliente importante, Reckitt Benckiser (tra i marchi Air Wick, Calgon, Cillit Bang, Woolite, Veet, Ava, Lip, Napisan) aveva mollato la centrale dopo un pitch (scontro) che per la sua ferocia è rimasto impresso nella memoria di tutti gli addetti ai lavori. Nell’autunno del 2009 la multinazionale inglese lanciava una gara che portava fino alle estreme conseguenze la voglia (abbastanza diffusa tra gli utenti in quel periodo) di sfruttare al massimo la crisi per cercare di fare risparmi record sui costi dei media. Reckitt, in particolare, avviava un contest che prevedeva il meccanismo dell’asta on line al ribasso e in Italia vinceva il confronto Mpg.
Perso il cliente, Media Italia non si abbatteva e reagiva bene, riuscendo a fare un’aggressiva campagna di new business che riportava in poco tempo in cascina più o meno la stessa quantità di fieno persa. Ciliegina sulla torta, il ripensamento di Reckitt: sei mesi bastavano a verificare che le promesse fatte in gara da Mpg non si stavano avverando e il cliente decideva di tornare con il vecchio e sperimentato partner.
Prima – La marcia indietro ha riguardato solo l’Italia. Ma qual è stato, se c’è stato, l’equivoco di fondo di tutta la vicenda?
Valentino Cagnetta – Forse la mancata presa in considerazione del fatto che da noi non sono le centrali a disporre degli spazi, visto che non è ammessa la possibilità di comprarli, stoccarli e funzionare da broker. Gli sconti li possono decidere solo le concessionarie. Senza contare che le aspettative di risparmio di un cliente come Reckitt, sostanzialmente televisivo, si sono di fatto scontrate con la risposta del mezzo che qui da noi può attuare una più rigida politica dei prezzi, non fosse altro che per il numero ridotto di player significativi presenti nel nostro scenario.
Prima – In quel periodo cercare di fare ‘saving’ su tutti i mezzi era la regola. Il clima è cambiato da allora?
V. Cagnetta – Il momento peggiore della crisi in Italia è stato tra la fine del 2008 e i primi mesi del 2009. Per chi avesse voluto approfittare della situazione, era quella la fase in cui si poteva provare a ‘spremere’ tutti i propri interlocutori per vedere di ottenere condizioni eccezionali e vantaggi irripetibili. In autunno invece le cose stavano già mutando. La paura che crollasse il mondo e che le economie andassero in tilt era per fortuna già finita e tutti guardavano alla situazione contingente con altri occhi. Piuttosto che continuare ad abbassare i prezzi, i mezzi cercavano già di avviare un percorso di recupero della redditività delle tariffe. Adesso? Gare con focus esasperato sul saving se ne vedono sempre meno e c’è un filo di stabilità in più nelle relazioni tra clienti e consulenti.
Prima – E tra le centrali?
V. Cagnetta – Tra di noi del comparto è oramai sempre più chiaro che le gare sono un meccanismo di acquisizione dei clienti molto oneroso e che alla fine di ogni consultazione ogni rinnovo sancisce spesso un ribasso del valore della consulenza, ma non delle aspettative di servizio. In molti casi questa contraddizione ha portato alcune centrali ad acquisire budget che però non assicuravano alcuna redditività .
Prima – È cambiato qualcosa sul fronte dei diritti di negoziazione?
V. Cagnetta – Il mercato si è totalmente autoregolamentato. I passaggi e le transazioni sono trasparenti. Se vogliono, i clienti possono sapere quanti diritti di negoziazione percepiamo e da chi, e decidere con noi, in ragione del fee concordato, se lasciarceli, farseli restituire per intero o per una parte.
Prima – Avete fatto profitti anche negli ultimi due durissimi anni?
Eugenio Bona – Assolutamente sì. Nel 2009 la nostra redditività è scesa, ma siamo rimasti profittevoli. Ma se dopo aver perso Benckiser non avessimo reagito come abbiamo reagito, avremmo certamente avuto un 2010 molto difficile. La redditività è alla base della nostra azione sul mercato. Non i volumi, non i fatturati, non le quote di mercato.
Prima – Acquisire volumi, diventare più grandi e potenti. È anche quella una strada percorribile.
E. Bona – Non è quello che ci chiede l’azionista e siamo convinti che sia una strategia che non paga, specie in Italia, dove, non esistendo il brokeraggio, disporre di più volumi non si traduce linearmente nell’avere più peso e forza contrattuale. Un’azienda sana non può prescindere da un costante ancoraggio alla redditività .
Prima – Sotto una certa soglia di amministrato, trecento milioni o giù di lì, si rischia però di non venire presi in considerazione.
V. Cagnetta – È vero solo in parte. C’è un valore minimo, un livello critico, che devi raggiungere perché sotto quella cifra diventa improbabile che tu possa dotarti di tutti gli strumenti e le professionalità che ti servono per essere pienamente competitivo dal punto di vista del servizio. Ma è inferiore ai 300 milioni citati.
Prima – Torniamo alla sconfitta nella gara. Sul momento vi siete rimproverati qualcosa?
V. Cagnetta – Ci siamo rimasti male, ma non ci siamo rimproverati nulla. Ci siamo detti che avevamo le qualità per recuperare i 60 milioni che non avremmo più avuto da gestire. E per fortuna è successo che nel giro di poco abbiamo portato a casa 16 clienti nuovi. Seat, Dialogo, Pokerstars.it, Stonefly, Nostromo, Lesieur, Nital, Confcommercio, l’on line di Martini, per citare alcuni dei budget più importanti. In otto-dieci mesi quasi 50 milioni erano già rientrati. Alla fine, la riconquista di Reckitt ci garantisce una chiusura 2010 molto buona, vicina ai 420 milioni di amministrato, e ci proietta verso un risultato del 2011 ancora migliore.
Prima – Come avete costruito la rimonta?
V. Cagnetta – Siamo una struttura a cui il mercato riconosce serietà e affidabilità , capacità di garantire risultati tangibili e servizio. Questa caratteristica di base è diventata ancora più pesante, probabilmente in un momento in cui molti dei nostri grandi competitor – in primis i grandi network internazionali – sono stati costretti a effettuare tagli e operazioni pesanti di contenimento dei costi. In qualche caso si riesce a riorganizzare bene le strutture, ma è inevitabile pure, ringiovanendo troppo i quadri, recidere rami portanti, dovere rinunciare a professionalità significative. E alla fine i tuoi interlocutori cominciano legittimamente a pensare che forse non sei più in grado di offrirgli quello che gli avevi sempre dato.
E. Bona – E poi c’è da dire che quando le difficoltà aumentano si torna all’essenza della relazione tra cliente e agenzia. Vale per l’adv come per il media: succede quasi invariabilmente che quando c’è una crisi le società del gruppo Armando Testa vadano meglio. Probabilmente perché i clienti tornano a badare al sodo: alla creatività , all’efficienza e soprattutto all’efficacia.
Prima – Con la crisi poi è tornata in voga la tivù e voi passate per essere tra gli alfieri di questo mezzo da alcuni considerato ‘vintage’.
V. Cagnetta – Diciamo la verità , spesso si va dietro alle mode invece di attenersi alla realtà dei fatti. Che la tivù sia ‘vecchia’ è un luogo comune in larga misura superato, anzi negli ultimi anni ha dimostrato di essere uno tra i media con maggiori capacità di rinnovamento. E non è finita, nei prossimi anni assisteremo alla convergenza tra tivù e on line. Ma è vero che anche tra molti miei colleghi e competitor c’è chi ha maturato tanti pregiudizi sull’attualità e la forza del media tivù.
E. Bona – Abbiamo sempre puntato molto sulla tivù, nei nostri investimenti complessivi finisce per avere uno share del 70% circa. Adesso che l’offerta di canali si sta diversificando e gli ascolti si stanno frammentando, ne seguiamo attentamente gli sviluppi a forza di ricerche e approfondimenti. Del resto produrre know how originale, proprietario, specializzazioni marcate ed esclusive, è il sale del nostro mestiere. Va bene la capacità di garantire saving e fare efficacemente il buying, ma niente ti caratterizza di più sul mercato dei tuoi approcci strategici, degli strumenti particolari che sei capace di mettere in gioco al servizio dei clienti.
Prima – Come siete organizzati, la squadra è sempre la stessa?
V. Cagnetta – La nostra squadra è rimasta sostanzialmente la stessa, ma non siamo rimasti immobili. E dopo la televisione è l’on line il mezzo in cui crediamo e su cui investiamo di più; quest’anno dedicheremo alla Rete una cifra doppia rispetto all’anno passato. Se si parla di Internet, gioventù non è sinonimo d’inesperienza. Ci siamo dotati di una struttura robusta; il capo, Andrea Marcolin, ha 32 anni e guida una squadra di dodici persone con un’età media sotto i 25 anni. Marcolin ha pure la responsabilità della pubblicità esterna, visto che abbiamo sviluppato alcuni strumenti avanzatissimi di analisi che usiamo su entrambi questi media.
Prima – Credete nella tivù, avete raddoppiato gli investimenti su Internet, di recente avete proposto una ricerca che celebra la memorabilità della pubblicità al cinema. Sembrate meno entusiasti delle performance di radio e stampa.
V. Cagnetta – Per dirla tutta, crediamo nell”all in two’. Siamo convinti che la maggior parte delle nostre fruizioni mediatiche si concentrerà di fronte a due schermi. Il primo, che siamo abituati a chiamare tivù, ma che ospiterà sempre di più anche on line, giochi, video on demand; il secondo, che ancora chiamiamo cellulare, ma che in realtà vorrà dire mobile, radio, social e tanto altro ancora. Ma parliamo della radio e della stampa. Per quanto riguarda la radio, siamo tutt’altro che scettici sulla sua efficienza, mentre qualche dubbio in più l’abbiamo sull’efficacia.
È vero invece che pensiamo che la carta stampata non attraversi affatto un buon momento e che questo si traduca automaticamente in un ruolo più ridotto di questo mezzo nelle pianificazioni. È però improprio fare previsioni che valgano per tutto un settore così vasto e variegato. Direi che ci sono nicchie che non dovrebbero soffrire molto, soggetti che invece stanno affrontando un cambiamento di pelle radicale. Siamo onesti, l’avvento di nuove tecnologie non potrà essere per tutti indolore e continuerà a trasformare il settore. Pensiamo all’iPad: solo tre mesi fa (almeno in Italia) non avevamo idea di cosa sarebbe stato e potevamo prevedere solo un traghettamento verso il web. Ora si palesano delle opportunità per gli editori, per i giornalisti così come per gli investitori. Certo siamo all’inizio di un percorso, ma concordo con chi dice che per nostra natura siamo portati a sopravvalutare i fenomeni a un anno e sottovalutare quelli a dieci.
Prima – Siete stati molto critici nei confronti del sistema di ricerche ufficiale, e avete messo in discussione soprattutto Audipress e Audiradio, finendo per essere molto più severi dei vostri colleghi di altri centri media.
V. Cagnetta – Ci siamo limitati a dire che all’interno di un sistema di ricerche sui mezzi complessivamente da rivedere, ci sono alcune cose palesemente criticabili (soprattutto Audipress, ma anche Audiradio), e altre che funzionano un po’ meglio (Auditel innanzitutto). Quanto alle posizioni percepite come ‘diverse’ di altri centri media, penso di poter assicurare che se nella forma i giudizi dei colleghi, su Audipress specialmente, sono stati forse espressi con toni più morbidi dei nostri, nella sostanza la bocciatura è unanime e profonda. Non è un caso che AssoComunicazione si sia ufficialmente espressa negli stessi termini e che adesso sempre all’interno dell’associazione si sia messa al lavoro una commissione che si sta occupando in profondità proprio di questi problemi.
Prima – La riforma delle ‘audi’ passa pure per una ridefinizione del carico e della distribuzione dei costi? Cosa pensate del meter portatile?
E. Bona – Le ricerche le pagano soprattutto i mezzi. Punto. Non ci sono le condizioni per pensare a equilibri diversi, ogni altra impostazione della questione rischia di essere velleitaria e di non portare da nessuna parte. L’approccio ‘consumer centrico’, la cosiddetta ‘auditutto’ e il lavoro fin qui condotto da Eurisko con i propri media monitor? Apprezzabile, interessante, ma insufficiente. Al momento non ci pare che la soluzione finale al problema possa arrivare da lì, almeno in tempi brevi. Rimangono insoluti a nostro parere alcuni problemi tecnologici.
Il vero nodo da sciogliere di tutta la querelle è quello del costo complessivo del sistema. Bisogna riuscire a mettere a punto indagini più affidabili di quelle attuali a un prezzo accettabile, più conveniente di quello attuale. Sono convinto che su questo tema le centrali, più ancora degli istituti di ricerca, possano giocare un ruolo guida. La leadership concettuale non può che essere espressa dai centri media, visto che siamo noi che le utilizziamo e ne conosciamo fino in fondo pregi e difetti e già adesso siamo capaci di operare integrazioni e correzioni che ci avvicinano a una lettura reale dei fenomeni.
Intervista di Emanuele Bruno