Per noi questo è l’anno della verità  – Intervista a Giampaolo Grandi, presidente e amministratore delegPer noi questo è l’anno della verità  – Intervista a Giampaolo Grandi, presidente e amministratore delegato di Condé Nast Italia (Prima n. 412, dicembre 2010)

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Per noi questo è l’anno della verità 
Ti infili in una serie d’incontri alla Condé Nast per capire cosa stanno combinando nel digitale, in un anno che ha visto un parziale cambio di strategia (la nascita dei siti di testata accanto al portale Style.it) e un rapido avvicendamento di alcune delle figure chiave che del digitale si occupano (l’uscita di Laura Penitenti e Simona Zanette, l’arrivo di Marco Pratellesi e Anna Matteo), e per prima cosa ti parlano di quanto magnificamente stiano andando i loro periodici in edicola, con performance che spaziano dal più 27,5% di Vogue in settembre e ottobre, alle 12mila copie guadagnate da Glamour da luglio a novembre, al 20% d’incremento di Gq da inizio anno fino al più 10,5% di Vanity Fair da settembre a novembre.
“Non credevo che nel 2010 fosse possibile aumentare le vendite in questa misura”, osserva Giampaolo Grandi. E allora cos’è successo? “È successo che essere presenti sul web, ed esserlo in un certo modo, sta facendo molto bene ai nostri giornali”, spiega il presidente e amministratore delegato di Condé Nast Italia. “Ha in mente il settimanale americano People? Vende tre milioni e mezzo di copie e ha 35 milioni di utenti unici. È una proporzione che con i nostri brand editoriali possiamo raggiungere. Non c’è niente di magico: bisogna fare del buon giornalismo combinato con una profonda conoscenza della tecnologia, perché nel digitale traffico e fedeltà  nascono anche dagli aspetti tecnologici”.
Racconta Grandi che l’anno scorso ha avuto piena consapevolezza di quanto fosse urgente rispondere a una domanda montante d’informazione di qualità , non importa su quale mezzo e non importa su quale argomento. Ne ha discusso con il suo ‘capo’, Jonathan Newhouse, presidente di Condé Nast International, che di fronte agli investimenti prospettati ha buttato sul piatto della bilancia l’arretratezza dell’Italia in campo digitale come probabile ostacolo alla riuscita di un progetto di sviluppo così impegnativo. “Io però ero molto convinto, e ho insistito”, dice Grandi. “Per noi il 2010 è l’anno della verità : faremo il 100% d’incremento di fatturato pubblicitario nel digitale, in un mercato che cresce del 15%, e per il 2011 ci siamo impegnati per un ulteriore 50% in più. Vogue.it in dieci mesi ha fatturato più di 2 milioni, il 10% del fatturato del mensile. Style.it sfiora i 4 milioni. Quando voglio essere provocatorio dico che in cinque anni il 50% dei profitti deve venire dal digitale”. Intanto Condé Nast chiude il 2010 con un profitto prima delle imposte a doppia cifra, percentuale che Grandi non rivela ma definisce “il miglior risultato mai raggiunto nelle diverse filiali di Condé Nast”.
Inizio febbraio 2010, Jonathan Newhouse annuncia il ritorno di Carlo Verdelli in Condé Nast dal 1° marzo con il ruolo di executive vice president editorial; 24 febbraio, lancio di Vogue.it, primo sito di testata; inizio aprile, arrivo di Anna Matteo come director of digital business development and technology (promossa vice president a metà  ottobre); inizio maggio, arrivo di Marco Pratellesi come direttore sviluppo editoriale digital; 28 giugno, il portale per l’uomo Menstyle.it cambia nome in Gq.com, che sarà  on line in una nuova versione a fine dicembre; 8 ottobre, lancio del nuovo Wired.it; 13 dicembre, lancio di Vanityfair.it. Ecco le tappe del percorso digitale che Condé Nast Italia ha fatto quest’anno.
Un percorso che l’amministratore delegato rivendica anche come una scelta culturale, ricordando che anche per questo si è molto speso per riavere al suo fianco Carlo Verdelli. E poi ha messo in piedi una nuova squadra di vertice in cui sono presenti tutte le figure necessarie per garantire uno sviluppo a tutto tondo dell’azienda: nel digitale naturalmente, ma anche sul tradizionale terreno dei periodici visto che in Condé Nast sono in fase avanzata di studio due nuove testate, un settimanale e un mensile.
“Là  fuori c’è una realtà  che va portata dentro l’azienda, che deve permearne la cultura facendo in modo che chi fa il nostro mestiere maturi individualmente una conoscenza e una consapevolezza di come tutto stia cambiando rapidissimamente”, ragiona Grandi. “Noi ci siamo incamminati su questa strada da molti anni, nessun’altro gruppo editoriale di periodici in Italia ha investito tanto e con tanto anticipo nel digitale. Abbiamo anche fatto degli errori e buttato via dei soldi, ma adesso siamo attrezzati per giocare tutte le partite”.
Ma perché la casa editrice quest’anno ha modificato la sua strategia affiancando i siti di testata a Style.it, il portale per le donne da cui sono fuoriusciti Vogue e Vanity Fair? “Perché vogliamo essere leader sui posizionamenti qualitativi, allargando i confini dei nostri brand anche attraverso il digitale. Però contemporaneamente vogliamo diventare un editore importante per numero di utenti raggiunti, con prodotti digitali che offrano una user experience allo stesso livello di qualità  di quella dei nostri periodici”, spiega Grandi. I numeri alti sono compito di Style.it   (2 milioni di utenti unici a novembre) che ha già  cominciato ad arricchire l’offerta, ad esempio con il nuovo canale Viaggi, e il prossimo anno sarà  on line in una versione rinnovata e adeguata a uno scenario competitivo decisamente più vivace di quello attuale, con il leader Alfemminile.com in fase di rilancio e i maggiori gruppi editoriali italiani, Mondadori e Rcs, impegnati in investimenti sui rispettivi portali femminili, Donnamoderna.com e Leiweb.
L’impronta del lavoro di Carlo Verdelli è visibile innanzitutto sui brand: da un lato l’aggiustamento dei contenuti di alcuni periodici e la revisione delle copertine; dall’altro lo studio su come il sito deve interpretare lo spirito della testata per allargarne i confini e avviare quel circolo virtuoso di crescita delle vendite in edicola.
Verdelli, che ha lavorato a lungo al Corriere della Sera, di cui è stato vice direttore, ha diretto Vanity Fair e poi La Gazzetta dello Sport, sa quanto la selezione e la freschezza delle notizie abbiano peso nella buona riuscita e nel successo di qualsiasi giornale. “La bussola per capire se stai facendo un buon giornale, giusto per quel momento, è se in edicola vendi di più o di meno. Altro non c’蔝, sostiene. L’irruzione del digitale non ha affatto scalfito questo principio, ma ha enormemente ampliato le prospettive sia del business editoriale sia del lavoro giornalistico. “La caratteristica più importante di Internet”, continua Verdelli, “è che è uno strumento che legittima il desiderio di partecipazione delle persone. Internet ci ha obbligati a prendere atto che una lunghissima stagione gloriosa è finita, che il giornale che si mette in cattedra e recita la sua lezione non esiste più perché la gente vuole interagire, dire la sua, e ora ha un modo per farlo. Ecco perché la scommessa deve essere sul brand e non più semplicemente sul giornale”.
Quell’integrazione tra carta e web che la casa editrice ha avviato con tanta decisione secondo Grandi deve però rispettare delle regole precise. “Essere convinti che a livello giornalistico sia indispensabile misurarsi con lo stesso impegno su questi due terreni non vuol dire mescolare in modo dissennato due menu che devono rimanere diversi”, sottolinea l’amministratore delegato di Condé Nast. “Quando esiste un sito di testata, la nostra scelta è di avere due redazioni collegate ma separate, con un unico direttore, che ha la responsabilità  del brand a 360 gradi, e un responsabile del sito. Bisogna continuare a fare i giornali secondo le loro regole, ovviamente in modo consapevole rispetto a come è cambiato il mondo. E bisogna dotarsi di una struttura che sia in grado di entrare in gioco nel mondo digitale. Partiamo dalla certezza che oggi ci sono davvero tante persone interessate all’informazione, su carta e on line. Adesso vogliamo vedere fino a che punto ci possiamo spingere”.
A un’architettura aziendale in sintonia con l’integrazione Grandi lavora da tempo, arricchendo l’organigramma di vertice con tutte le figure professionali che ritiene necessarie. L’ultima riorganizzazione è freschissima, dello scorso 10 dicembre, motivata, spiega Grandi, “dal moltiplicarsi delle opzioni disponibili con il digitale, dal diverso modo di fruizione dei media da parte dei consumatori e dalla richiesta delle aziende di business solutions adeguate ai tempi”. Nel nuovo organigramma Carlo Verdelli diventa executive vice president editorial e communication; Domenico Nocco è confermato executive vice president finance e operations; Romano Ruosi assume l’incarico di vice president advertising senior con la responsabilità  delle strategie e della vendita della pubblicità  offline e on line: a lui rispondono il direttore centrale pubblicità  Giuliano Cipriani, arrivato a novembre da Publikompass, Biagio Stasi come senior director delle strategie pubblicitarie e Luca Librenti nel nuovo ruolo di direttore generale business solution; Roberta Battocchio diventa vice president group publisher e a lei ora fanno capo anche il licensing e la divisione trade & bridal di cui è direttore generale Paola Castelli; Anna Matteo è confermata vice president digital e technology. Completa la squadra Alessandro Araimo, arrivato in Condé Nast il 19 novembre con un incarico inedito: vice president business development. Araimo, che ha lasciato Value Partners dove dal 2001 (e dal 2007 dalla sede di Londra) era consulente per tivù, radio e media digitali, ha infatti un ruolo di frontiera: sviluppare attività  tradizionali, da abbonamenti e diffusione a consumer marketing, e contemporaneamente ideare iniziative di business che facendo leva sui brand editoriali producano nuove e differenziate fonti di ricavi così da ridurre l’incidenza dell’advertising tradizionale sulla redditività  della casa editrice.