Scoop senza fretta
Attraverso le testimonianze di un pentito Gianluigi Nuzzi e Claudio Antonelli raccontano in un libro, ‘Metastasi’, storie di criminalità e di collusione con la politica e l’economia che promettono sviluppi giudiziari. E fanno il botto.
Julian Assange e il suo Wikileaks tengono banco da settimane sui media di tutto il mondo e si moltiplicano i convegni in cui si discute di quanto il web ormai abbia sconvolto e destrutturalizzato la comunicazione. Eppure in Italia due giornalisti, l’inviato di Libero Gianluigi Nuzzi e Claudio Antonelli, responsabile dell’economia del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, si affidano allo strumento più tradizionale e ‘lento’, il libro, per fare con ‘Metastasi’, dei veri e propri scoop sulla presenza della ‘ndrangheta al Nord e sugli intrecci tra criminalità , economia e politica. E fanno un gran botto con rivelazioni e retroscena inediti, tra i quali l’appoggio di un boss alla carriera di un politico leghista con incarichi di governo e sul rapporto che la ‘ndrangheta avrebbe avuto con Gianni Versace. Ma del merito va dato anche a un’abile regia che ha previsto in occasione del lancio, il 2 dicembre, la consegna della prima copia alla magistratura, mentre nelle edicole usciva in esclusiva Sette, il magazine del Corriere della Sera, con un servizio – lanciato la sera prima dal Tg La7 di Enrico Mentana – con le anticipazioni del libro e in copertina la foto di Giuseppe Di Bella, collaboratore di giustizia sulle cui dichiarazioni è basato il lavoro di Nuzzi e Antonelli.
“È vero”, commenta Nuzzi, “in genere per i giornalisti un libro non contiene mai notizie nuove. Ha tempi di lavorazione talmente lunghi che sono incompatibili con la necessità di ‘tenere coperta un’esclusiva’. Ma il libro ha un grande fascino per l’autore, è il punto più alto e simbolico per un giornalista. Inoltre, se ben costruito ha un’eco ancora più grande di altri media. Nel mio primo libro, ‘Vaticano spa’ per alimentare il dubbio su una finanza insindacabile come quella della Chiesa sono ricorso ai documenti inediti sullo Ior dell’archivio segreto di monsignor Renato Dardozzi. In ‘Metastasi’, invece, abbiamo delle voci narranti, dirompenti, a porre il dubbio sulla florida Brianza, sulla ricca Lombardia che così immuni alle organizzazioni criminali non sono. Abbiamo racconti di personaggi ritenuti assolutamente credibili, perché il secondo pentito che nel libro sostiene quanto raccontato da Di Bella è Antonino Barreca, il Buscetta della ‘ndrangheta. La sua credibilità è attestata da un magistrato come Nicola Gratteri, uno dei maggiori esperti sulla criminalità organizzata”.
Prima – Non accade spesso che la prima copia di un libro venga consegnata alla magistratura che, se mai, in passato qualche volta libri ne ha sequestrati.
Gianluigi Nuzzi – Infatti, credo sia la prima volta. L’abbiamo consegnata, insieme al resto del materiale, come le registrazioni dei colloqui con Di Bella, al procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Giancarlo Capaldo, che indaga anche sulla P3 e su Finmeccanica, perché pensiamo sia compito della magistratura fare la valutazione investigativa sui nuovi fatti raccontati in ‘Metastasi’. Noi non abbiamo alcun pregiudizio nei confronti degli argomenti affrontati in ‘Metastasi’, dei politici o degli imprenditori coinvolti. Personalmente non ho atteggiamenti precostituiti verso la Lega Nord, Versace, i sindacati o i partigiani. Mi piace cercare di approfondire le cose. E non è la prima volta che ho portato notizie di reato alla magistratura. E credo che magistrati come Saverio Borrelli e Sandro Raimondi ne abbiano memoria. Feci uno scoop su un’inchiesta sulle false fatturazioni nel mondo militare, partita da una mia segnalazione alla Procura. Ci sono occasioni in cui penso che un giornalista possa aspettare una settimana o anche un mese prima di dare una notizia, permettendo agli investigatori di fare delle verifiche.
Prima – Con ‘Metastasi’ c’è un’inversione di tendenza: colpi giornalistici che non partono da carte giudiziarie.
G. Nuzzi – Infatti, con Antonelli abbiamo evitato la ricostruzione attraverso documenti giudiziari solitamente seguita dagli autori di libri e inchieste sulle mafie, anche molto importanti. Con un processo inverso abbiamo proposto ai cittadini notizie di vicende assolutamente nuove. Trovarmi con il documento giudiziario inedito da sparare al momento giusto sul giornale è un modo di lavorare che non mi gratifica più. Lì l’abilità non sta nel trovare notizie, decodificarle e proporle, ma spesso solo nell’individuare il magistrato, il cancelliere, l’investigatore e l’avvocato che mostri simpatia nei tuoi confronti. Ciò ha ben poco a che fare con il giornalismo investigativo. Bisogna invece trovare il fatto, fare i sopralluoghi necessari; andare – come abbiamo fatto – al porto di Amburgo a verificare l’ingresso della cocaina. Inoltre, visitare i paesini della Locride e cercare di capirne la mentalità . Vedere i presidi che stanno a guardare senza far nulla ragazzini che escono da scuola fumando alle 11 e dichiarare che a loro basta che la ‘ndrangheta non sia all’interno dell’istituto. Parlare con la sorella di un pentito, vestita a lutto da quando il fratello collabora. Lo fa per difendere se stessa, per non essere ammazzata. Non so se in condizioni analoghe mi comporterei diversamente. La conoscenza attenua il giudizio.
Prima – Giudizi evitate proprio di darli?
G. Nuzzi – Più che un giudizio facciamo una provocazione. Lavorando a questo libro ci siamo accorti di quanta demagogia ci sia sulla mafia. Quando succede qualche cosa lo Stato risponde mandando in Calabria l’esercito. Così noi diciamo: è vero che la ‘ndrangheta gestisce una massa enorme di denaro, fattura 44 miliardi di euro, inquinando con questi soldi l’economia sana con cui viene a contatto. Altera i rapporti di libero scambio e insieme altera la salute pubblica, visto che la ‘ndrangheta è la prima importatrice di cocaina in Europa. E attacca anche la mentalità di un sistema. Quindi, a nostro avviso non deve essere affrontata come un’organizzazione criminale, ma come una vera e propria organizzazione terroristica che attacca la democrazia. E le va data una risposta come dopo l’11 settembre, ricorrendo a strategie giudiziarie, militari, finanziarie, culturali e mediatiche coordinate a livello internazionale. Non bastano gli sforzi della Boccassini o di Gratteri.
Prima – La scelta di coprire i nomi di alcuni personaggi coinvolti con lettere dell’alfabeto greco a non pochi è sembrata la pecetta che copriva i capezzoli nei rotocalchi degli anni Cinquanta.
G. Nuzzi – Una volta tanto che qualcuno fa delle scelte garantiste gli arrivano anche delle critiche. Lo abbiamo deciso perché si tratta di persone che non sono state coinvolte in un’indagine giudiziaria. Se mai quei nomi bisogna chiederli al collaboratore di giustizia che, è bene ricordarlo, è consapevole di rischiare di ritornare in carcere. In ogni caso, coprire i nomi non toglie nulla rispetto al quadro impressionante di un sistema bulimico criminale inserito nella società e nell’economia di un territorio, che emerge da ‘Metastasi’. La cosa più mortificante di questa vicenda è constatare come si possa essere bersaglio del pregiudizio. Ho letto le dichiarazioni di Roberto Castelli su Repubblica. Sosteneva che il libro è un attacco alla Lega proprio nel momento in cui si stanno per approvare le riforme. Un giudizio che assolutamente non corrisponde agli obiettivi di chi, come Antonelli e il sottoscritto, ha lavorato ventre a terra per un anno intero, senza sognarsi di programmare la nostra attività , sintonizzandola con l’agenda politica italiana. Certo, sappiamo del voto sulla fiducia del 14 dicembre, come gran parte degli italiani. Per il resto… Non è neppure gradevole l’attenzione di tanti giornalisti che hanno subito concentrato la loro attenzione su Gamma, il personaggio della Lega legato alla ‘ndrangheta. Magari ‘Metastasi’ è un libro che ha tante altre anime, molte storie diverse.
Prima – Quanto ci avete lavorato?
G. Nuzzi – Un anno. Continuando a lavorare per Libero. Per fortuna eravamo in due, Claudio Antonelli mi ha dato un contributo importante, occupandosi del Lecchese. Io mi sono particolarmente concentrato sulla vicenda Versace. I compiti di scrittura ce li siamo divisi.
Prima – Dove avete trovato le maggiori difficoltà ?
G. Nuzzi – Nella logistica. Siamo entrati in un mondo di fantasmi come quello dei collaboratori di giustizia, costretti a vivere tra mille precauzioni. E non è stato semplice, anche se molto affascinante, entrare nella mentalità di uomini del genere. Gratteri ha detto che siamo andati nel retrobottega della ‘ndrangheta e siamo riusciti a descriverlo. Non è stato facile neppure conquistare la fiducia di Di Bella. Come racconta il libro, l’incontro è iniziato in un bar. A un certo punto pensavamo si trattasse di un agguato. Poi, me lo sono trovato davanti in questa sala da tè. Nel tavolo accanto, seduto di spalle, un bambino, il figlio che non sapeva a chi affidare. Mi ha fatto un po’ paura anche questo. Alla fine ho conquistato la fiducia del bambino e di Di Bella che ha un dolore interiore enorme. Non era sposato con una donna della ‘ndrangheta, ma con la figlia di commercianti lombardi, la quale è stata capace di fargli cambiare vita, di fargli fare delle scelte anche dolorose. È morta in pochi mesi e ciò lo ha spinto a liberarsi da quella schiavitù omertosa che ancora gli rimaneva dentro.
Prima – Mai pensato che alcune rivelazioni fossero un po’ caricate?
G. Nuzzi – No. Anche recentemente, dopo l’uscita del libro, magistrati come Alberto Cisterna della Procura nazionale antimafia e Galileo Proietto, della Procura di Milano hanno attestato il contributo fondamentale che Di Bella ha dato alle indagini.
Intervista di Carlo Riva
Gianluigi Nuzzi, inviato di Libero, autore con Claudio Antonelli di ‘Metastasi’ in libreria dal 2 dicembre per Chiarelettere. Nuzzi, 41 anni, milanese, ha iniziato giovanissimo collaborando con Topolino, poi ha lavorato, sempre come collaboratore, a Espansione, CorrierEconomia e, durante Tangentopoli (nel corso della quale è autore di molti scoop), al Giornale, L’Europeo e Gente Money. Nel ’94, con la prima direzione di Vittorio Feltri, viene assunto dal Giornale dove rimane fino all’ottobre 2007, quando segue Maurizio Belpietro a Panorama. Nell’agosto 2009 è sempre con Belpietro a Libero. Nuzzi è autore di ‘Vaticano spa’, uscito nel 2009 per Chiarelettere. Nella foto in basso la copertina di Sette in edicola il 2 dicembre con la foto di Giuseppe Di Bella, diventato collaboratore di giustizia dopo 25 anni al fianco di Franco Coco Trovato, boss della ‘ndrangheta del Nord Italia.