L’uomo della Silicon Valley
Dalla California a Cagliari per lanciare Paperlit, una società che aiuta gli editori a portare giornali e riviste sulle nuove piattaforme digitali.
Tra le imprese che si sono lanciate nel nuovo mercato delle piattaforme per la diffusione di giornali e riviste in formato digitale, una delle più dinamiche in Italia si sta dimostrando Paperlit, che in pochi mesi si è assicurata oltre duecento contratti con altrettante testate, tra cui La Repubblica (da poco Paperlit ha lanciato la versione per Android del quotidiano), i giornali locali del Gruppo L’Espresso, Il Foglio, Il Tempo, Il Giornale, Internazionale, Visto, Novella 2000, Il Mondo e altri periodici del gruppo Rcs, gli sfogliatori web per i siti Internet di Vogue e Wired del gruppo Condé Nast e numerose testate estere, tra cui il New York Magazine.
Non si tratta di una delle solite multinazionali americane delle tecnologie, ma di una start up italiana. Paperlit è stata fondata infatti da Gionata Mettifogo, un quarantenne originario di Verona, senza una laurea in informatica né un master in business administration, ma con una grande passione per le tecnologie digitali e soprattutto un notevole spirito di iniziativa: ha vissuto e lavorato diversi anni negli Stati Uniti, in quella fucina di nuove idee e di nuove imprese che è la Silicon Valley e, una volta tornato in Italia, ha messo in piedi Paperlit con il sostegno di due venture capitalist, Mario Mariani (già amministratore delegato di Tiscali) e Massimiliano Magrini (ex country manager di Google Italia). Una storia, la sua, che merita di essere raccontata, anche perché sfata diversi luoghi comuni; ad esempio, che in Italia non si possa fare innovazione e che una piccola start up, nata in un Paese alla periferia dell’impero come il nostro, non possa competere con i colossi del mondo digitale.
La carriera imprenditoriale di Mettifogo comincia addirittura quando era ancora alle scuole superiori: “Andavo abbastanza bene in informatica e quindi mi lasciavano fare quel che volevo in laboratorio”, racconta. “La prima cosa che ho realizzato è stato un programma per produrre etichette adesive, quelle che si mettono sulle vetrine dei negozi”. Un anno dopo – era il 1989 – da questo programma nasce una srl, costituita dal diciannovenne Mettifogo assieme a un socio, e portata avanti mentre frequentava l’università : informatica alla Statale di Milano, mollata al terzo anno per fare l’imprenditore a tempo pieno. “Era un software per Mac e funzionava molto bene, anche dal punto di vista del business”, ricorda. “Apple ci aveva preso in simpatia e ci sosteneva molto. Appena usciva un nuovo prodotto, noi lo provavamo e ne parlavamo in giro. In cambio la Apple ci presentava come i superesperti del loro sistema”.
Un altro software prodotto in quel periodo da Mettifogo serviva per fare ricami. “Per imparare le tecniche di ricamo sono andato a San Gallo in Svizzera. C’è un aspetto matematico da considerare, un aspetto industriale (come usare meno filo) e ovviamente anche un aspetto estetico. L’applicazione riscosse interesse alla Apple, anche perché era decisamente insolita. La vendevamo anche negli Stati Uniti e paradossalmente andava meglio là che in Italia. Così ho cominciato a entrare in contatto con diverse persone di Cupertino, il quartier generale della società di Steve Jobs”.
È il primo rapporto di Mettifogo con il mondo della Silicon Valley, dove si trasferisce, chiamato proprio dalla Apple, nel ’95, a 25 anni. “Sono entrato a far parte di un gruppo di una quindicina di persone che in Apple lavorava alla tivù digitale. A un certo punto la società interruppe la ricerca (la Apple Tv sarebbe diventata una realtà solo dieci anni dopo); decidemmo allora di portare avanti il progetto autonomamente; il nostro gruppo si staccò dalla Apple e costituì una start up indipendente, Power Tv; la sede era sempre a Cupertino, nell’edificio dove era stato prodotto il primo Mac. Lì mettemmo a punto il primo sistema operativo per vedere la tivù digitale. Poi decidemmo di dedicarci al video on demand; il nostro primo video server occupava un quarto di container, poteva gestire solo dieci video stream e costava più di un milione di dollari; l’idea era che nei due anni necessari a mettere a punto il software i prezzi serebbero scesi e le performance sarebbero aumentate. Invece era decisamente troppo presto e la cosa non decollò. Il vod partì solo cinque anni dopo. Power Tv è finita poi dentro Scientific Atlantic, in seguito acquisita da Cisco. È stata comunque un’esperienza molto bella che mi ha fatto venire la passione per le start up negli Stati Uniti”.
Galvanizzato da questa prima esperienza americana, Mettifogo decide di costituire una sua impresa negli Usa, Connect Soft, specializzata nel linguaggio di programmazione Java, che stava partendo proprio in quel periodo. “È andata molto bene, c’era una forte domanda di applicazioni per Java e ho corso per due anni, poi ho ceduto la società a Web Logic (oggi parte del gruppo Oracle). Nel mondo delle tecnologie informatiche, acquisizioni e fusioni sono all’ordine del giorno: due concorrenti hanno ognuno un pezzo di software, se si mettono insieme viene fuori un incastro che ha un senso per entrambi e anche per i clienti”.
A questo punto Mettifogo decide di prendersi un anno sabbatico: compra una vecchia casa vittoriana a San Francisco – una delle poche che si erano salvate dal grande incendio che nel 1906 distrusse gran parte della città – e in nove mesi la restaura completamente, facendo tutto da solo: il carpentiere, l’imbianchino, il muratore, l’arredatore, eccetera.
In quel periodo anche Microsoft comincia a interessarsi alla tivù digitale, acquisisce una società specializzata, Web Tv, e decide di sviluppare un browser per i canali diffusi sul cavo ad alta velocità . “All’epoca ero uno dei pochi in grado di programmare un sistema operativo per la tivù digitale, così mi chiamano e mi rimetto al lavoro”, racconta Mettifogo. “Parlando con loro ho scoperto che il primo ufficio di Web Tv era proprio nel seminterrato della casa che avevo appena restaurato. La ‘web tv for digital cable’ di Microsoft fu poi lanciata in Canada: un browser per il set box digitale, un precursore dell’attuale iptv”.
Nel frattempo a Mettifogo stava scadendo il visto e non era riuscito a ottenere la green card, il documento che consente la residenza permanente negli Stati Uniti. “Per ottenerla bisogna lavorare per un certo numero di anni nella stessa azienda”, spiega. “Ma nella Silicon Valley c’è la cultura della mobilità ; è meglio provare a fare delle cose e sbagliare piuttosto che non fare nulla. Potevo restare negli Usa solo fino alla fine del 2000. Ho trovato un gruppetto di italiani che stavano anche loro per tornare in Italia, ci siamo messi insieme e abbiamo costruito un’altra start up, Voce Viva, che produceva software per i portali vocali e abbiamo aperto un ufficio anche a Milano”.
In quegli anni – era l’epoca del boom di Internet – c’erano vari gruppi che facevano da incubatore per le nuove attività e Mettifogo cerca qualche opportunità interessante. “Siamo andati a parlare con Mario Mariani di Tiscali, che oggi è diventato mio socio, e lui ci ha portati da Renato Soru, il fondatore del gruppo di telecomunicazioni sardo. Soru ci ha detto che avrebbe acquistato la società se fossimo stati disposti a trasferirci a Cagliari e lavorare per Tiscali. Non ero mai stato a Cagliari e mi sono subito innamorato del posto. Quel giorno stesso abbiamo accettato la proposta. Sono rimasto a Cagliari quattro anni, lavorando a una serie di nuovi prodotti con Mariani: un periodo molto intenso e divertente”.
Ma la Silicon Valley è come un magnete per le persone come Mettifogo: “Lì le cose succedono prima che altrove e puoi farle tu. Così nel 2005 sono tornato negli Stati Uniti per lavorare all’iptv”. Microsoft stava concludendo il suo progetto di tivù via Adsl e per due anni Mettifogo fa parte del gruppo che si occupa dell’interfaccia utente. “Ogni cosa che producevamo la facevamo provare a diverse persone per osservare le loro reazioni. È l’unico modo per scoprire cosa funziona, cosa è in grado di soddisfare le esigenze dei consumatori. La vera arte, nelle tecnologie digitali, è saper realizzare cose facili, usabili, eliminando tutto ciò che complica inutilmente la vita al cliente”.
Tra il 2007 e il 2008 Mettifogo lavora in un altro settore, sempre nel gruppo di Bill Gates: la telefonia. “L’iPhone di Apple cominciava a impensierire molto i vertici di Microsoft. L’idea era di realizzare una sorta di Facebook Phone, un telefono per i giovani che frequentano i social network. Abbiamo iniziato a lavorare al progetto nella sede che Microsoft ha nella Silicon Valley, a pochi passi dal quartier generale di Google. Nel giro di un anno eravamo diventati 500, un gruppo di lavoro gigantesco, ingestibile”.
Mettifogo lascia Microsoft e decide di tornare ancora una volta in Italia. In mente ha una nuova idea: una start up per aiutare gli editori a trasferire giornali e riviste dalla carta al digitale. Paperlit appunto. “Ne avevo parlato con Mariani, che nel frattempo aveva lasciato Tiscali per costituire un suo incubatore di imprese. Abbiamo cominciato a lavorare al progetto nell’estate del 2009″. Mariani sviluppa il business plan e Mettifogo la parte tecnologica. Anche Magrini crede nel progetto e offre a Paperlit il sostegno della sua Annapurna Ventures.
“Siamo partiti in Italia, con l’idea di affrontare subito dopo anche il mercato americano”, spiega Mettifogo. “Ma abbiamo dovuto rinviare questo secondo step, perché il successo nel nostro Paese è stato superiore alle previsioni, tanto che non riusciamo a stare dietro agli ordini. Abbiamo già un centinaio di clienti e altri se ne stanno aggiungendo di giorno in giorno. Allo stesso tempo stiamo ampliando le funzionalità di Paperlit, dalla gestione dei contenuti alla pubblicità , al sistema di billing. E poi è arrivato l’iPad e ci ha posto una nuova sfida: sviluppare il sistema anche per il tablet pc della Apple, che è uno strumento ideale per i media digitali”.
Ritratto di Claudio Cazzola