Quella ‘gobba’ maledetta
L’istituto di previdenza dei giornalisti è alle prese con un ventennio in cui i contributi rischiano di non bastare per pagare le pensioni. Il presidente dell’Inpgi Andrea Camporese non drammatizza e spiega come il problema sarà affrontato.
“Da circa due anni siamo all’interno di un ciclo economico negativo del mercato che, dal punto di vista dell’istituto previdenziale e da quello del mercato del lavoro è tra i peggiori, se non il peggiore, dal dopoguerra”. Andrea Camporese, dall’aprile 2008 presidente dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) non scansa, va direttamente al centro del problema senza dribblare le preoccupazioni di quanti nelle redazioni di giornali, radio e televisioni, temono sul futuro delle loro pensioni. “Dalla fine del 2009 c’è stato un ricorso ai prepensionamenti che ha interessato oltre 500 giornalisti”, spiega in questa intervista a Prima Comunicazione. “Per dare un’idea, dal 1983, anno di approvazione della legge sugli ammortizzatori sociali, al 2007 il numero di prepensionamenti è stato inferiore a quello registrato tra il 2008 e il 2010″.
Prima – Un colpo terribile alle casse dell’Inpgi.
Andrea Camporese – Per fortuna non in modo diretto. Questi ultimi prepensionamenti non pesano sui conti dell’Inpgi perché abbiamo ottenuto una legge che prevede il ristorno dei loro costi da parte dello Stato. Non si tratta di un aiuto illimitato: lo Stato mette a disposizione 20 milioni di euro l’anno. Per cui, il numero di prepensionamenti che si possono fare è legato ai soldi di questo fondo.
Prima – Anche gli editori mettono dei soldi.
A. Camporese – Sì, si accollano il 30% del costo reale di ogni prepensionamento. Bisogna tener presente che ogni pensionamento anticipato costa l’equivalente di un anno di contributi figurativi, fino a un massimo di cinque, per accompagnare il giornalista alla pensione. È il cosiddetto scivolo. In più ci sono oneri accessori.
Prima – E quanti soldi pubblici sono rimasti nel fondo?
A. Camporese – Il fondo è pressoché esaurito. Bisogna mettere in conto che ogni prepensionamento grava sul fondo in maniera prospettica per gli anni necessari allo scivolo. Quindi, nel caso più sfavorevole, per cinque anni. Comunque, accanto ai prepensionamenti bisogna aggiungere nel breve periodo il forte aumento delle uscite di chi aveva maturato i requisiti per il pensionamento. È questa per l’Inpgi una delle più pesanti conseguenze della congiuntura. Insomma, hanno lasciato le redazioni anche quanti avevano per esempio 62 anni e potevano ancora continuare a lavorare e ad alimentare per un altro triennio l’istituto con i loro contributi. La somma delle due dinamiche, prepensionamenti e maggiore propensione al pensionamento, ha determinato l’uscita dalle redazioni di oltre mille unità . Contestualmente, sul mercato del lavoro sono rari i nuovi ingressi. Le case editrici che hanno dichiarato lo stato di crisi per legge non possono assumere per la durata del provvedimento. Risultato: per la prima volta nel decennio il numero degli iscritti all’istituto è diminuito.
Prima – Di quanto?
A. Camporese – In questo momento sono 280 in meno.
Prima – Con più di mille tra pensionamenti e prepensionamenti, pensavo fossero di più.
A. Camporese – Il decremento degli iscritti non pareggia e nemmeno si avvicina al numero delle uscite perché la crisi interessa soprattutto la carta stampata, quotidiana e periodica. Per fortuna è compensata dalle iscrizioni all’istituto di giornalisti che operano nella pubblica amministrazione, negli uffici stampa delle aziende e nel settore radiotelevisivo locale e nazionale. Grazie a loro si può parlare di calo e non di crollo degli iscritti all’Inpgi. Invece, l’area che fa riferimento alla Fieg, la Federazione italiana editori giornali, ha perso quasi 500 posizioni.
Prima – E il contributo dei new media, del web?
A. Camporese – Siamo nell’ordine di poche decine. Bisognerà capire come si riposizionerà il mercato del lavoro, il settore dell’editoria, al termine di questo ciclo di crisi che, secondo me, durerà ancora un altro anno. Bisognerà capire se ci sarà una spinta a fare nuovi prodotti, a investire sui nuovi media. Se davvero sarà così, probabilmente assisteremo a una crescita dell’occupazione in quei settori. Difficile capire in che misura. La domanda che dobbiamo farci è: quanto questa perdita di occupazione stabile di contratti a tempo indeterminato, potrà essere ancora sopportata? La sfida sta nel cercare di coniugare l’innovazione con i posti di lavoro e, di conseguenza, con l’elemento previdenziale.
Prima – L’uscita massiccia dal mondo del lavoro di giornalisti con retribuzioni medie alte, se non altro per effetto dell’anzianità , ha un doppio effetto sui conti dell’Inpgi.
A. Camporese – Sono usciti professionisti con molti anni di carriera e alte retribuzioni. E i loro eventuali sostituti – che per ora neppure ci sono – sono giovani con una retribuzione pari a meno della metà . È un fenomeno costante del mercato del lavoro. Ma questa volta per l’esodo così massiccio l’impatto è stato davvero forte. Insomma, il danno previdenziale per l’istituto, più che dai prepensionamenti è stato provocato dall’ondata improvvisa di pensionamenti non bilanciata da nuove assunzioni. La preoccupazione è che il mercato del lavoro tenga, ritorni a crescere, compensi le uscite e sia strutturato per una prospettiva di lungo periodo.
Prima – Preoccupazioni che lei ha espresso a Bergamo, al congresso della Federazione nazionale della stampa: ritiene che il messaggio sia stato accolto?
A. Camporese – Nella mia relazione al congresso del sindacato ho spiegato che gli elementi prima descritti si inseriscono in un bilancio attuariale dell’Inpgi, cioè nell’evoluzione dei conti dell’istituto, aggravando la cosiddetta gobba negativa, che si presenterà a breve.
Prima – Traducendo dal gergo sindacal previdenziale, la gobba corrisponde un po’ estremizzando al periodo in cui per effetto del non equilibrio tra entrate e uscite, l’Inpgi avrà grandi difficoltà a pagare le pensioni.
A. Camporese – Sì, ed è un fenomeno previsto già da un decennio e da noi costantemente evidenziato, che si aggrava in virtù delle dinamiche del mercato del lavoro e anche dell’ultimo rinnovo contrattuale che, trasformando gli scatti di anzianità da biennali a triennali, ha ridotto il gettito previdenziale tendenziale. In parole povere, ci sarà un ventennio in cui i contributi non saranno sufficienti a pagare le pensioni. Una fase che partirà all’inizio degli anni Venti e dovrebbe concludersi all’inizio degli anni Quaranta. Un fenomeno da osservare con grande attenzione.
Prima – Immagino la preoccupazione dei giornalisti pensionati o di quelli alla fine della carriera.
A. Camporese – La situazione non è drammatica. Innanzitutto, perché il patrimonio dell’Inpgi – a oggi 2,3 miliardi di euro – è sufficiente a garantire lo squilibrio tra entrate e uscite. Però, non si può rischiare e dobbiamo attenuare la gobba. La legge ce lo impone, obbligandoci ad accantonare sempre cinque annualità di pensioni. Un parametro che in quel ventennio non verrebbe rispettato. Inoltre, c’è un problema di tenuta del nostro sistema pensionistico. Ma non ci sono soltanto notizie negative. Infatti, nel 2040 le casse dell’istituto torneranno a crescere. E questo per merito della riforma realizzata dal mio predecessore, Gabriele Cescutti, che ha reso il sistema in equilibrio per tutti i nuovi ingressi e per i giornalisti che ora hanno un’età sui 40-45 anni. Il meccanismo garantisce che questi colleghi paghino contributi sufficienti a coprire il loro trattamento pensionistico. Insomma, abbiamo un problema serio, ma circoscritto.
Prima – Per cui l’Inpgi non rischia la bancarotta.
A. Camporese – Assolutamente no. Sarebbe ridicolo con 2,3 miliardi da parte e con un avanzo dell’esercizio 2010 che raggiunge i 70 milioni di euro, anche conseguenza di un rendimento del 7,8% del nostro patrimonio finanziario che ci colloca ai più alti livelli tra gli investitori istituzionali. Tutti gli indicatori sul breve periodo sono positivi, ma mi devo preoccupare, come peraltro tutti i responsabili degli enti previdenziali, anche di che cosa accadrà tra 30 e 50 anni.
Prima – Gli anni Venti sono vicini, come intendete affrontare il problema della gobba?
A. Camporese – Sull’argomento non c’è ancora alcuna delibera dell’Inpgi. Il consiglio di amministrazione, però, ha deciso di affrontare la questione entro il 30 giugno. Ci siamo presi sei mesi per il confronto obbligatorio con le parti sociali. Poi, decideremo che fare.
Prima – Alberto Donati, vice presidente dell’Inpgi e consigliere incaricato dei problemi sindacali della Fieg, al congresso della Fnsi ha affermato che gli editori sono disponibili a lavorare alla messa in sicurezza dell’istituto.
A. Camporese – Una dichiarazione non banale. Tenga presente che tra poco partirà la trattativa per il rinnovo biennale della parte economica del contratto.
Prima – È l’occasione nella quale gli editori e il sindacato potrebbero mettere le basi per garantire all’Inpgi di evitare ogni rischio?
A. Camporese – Quella è una partita nella quale non abbiamo alcun ruolo e che riguarda esclusivamente le parti sociali. Comunque, a mio parere ci sono due o tre leve su cui si potrebbe agire. La prima riguarda i contributi a carico degli editori. Oggi, le aziende spendono per un giornalista sette punti percentuali in meno di contributo previdenziale globale rispetto a quanto versano all’Inps per un dipendente non giornalista. Io propongo un aumento graduale prospettico delle aliquote a carico degli editori. Dico in prospettiva, perché non si possono drenare risorse in modo troppo forte con il rischio di deprimere ulteriormente il mercato. Oltre a questa leva puramente economica, si sta valutando di aumentare l’età pensionabile delle donne da 60 a 65 anni. Anche in questo caso è indispensabile la gradualità e sono esclusi i cosiddetti scaloni, cioè passaggi bruschi. L’aumento dell’età pensionabile delle giornaliste e un incremento dei contributi degli editori possono dare una risposta positiva molto rilevante ai problemi di tenuta attuariale dell’istituto.
Prima – Anche perché le giornaliste costituiscono ormai una parte numericamente significativa della categoria.
A. Camporese – Sono circa il 50% della popolazione giornalistica. L’Inpgi è un istituto privatizzato, sottoposto alla vigilanza dei ministeri del Welfare e dell’Economia e della presidenza del Consiglio che costantemente ci sottopongono il confronto con il settore pubblico dove le donne vanno già in pensione a 65 anni. Noi dobbiamo governare la riforma con le nostre regole e secondo le nostre compatibilità . È bene notare che i giornalisti hanno una serie di condizioni previdenziali decisamente vantaggiose: vanno in pensione con 35 anni di anzianità con un rendimento pari ai 40 anni versati all’Inps. Da noi, in caso di stato di crisi, anche se la maggioranza preferirebbe continuare a rimanere in redazione, si va in prepensionamento con cinque anni di scivolo. Inoltre, abbiamo un’indennità di disoccupazione del 30% più alta di quella dell’Inps. Per via contrattuale garantiamo un’assicurazione sugli infortuni decisamente migliore di quanto preveda l’Inail. Senza dimenticare la cosiddetta indennità fissa percepita al momento della pensione e la possibilità di avere mutui e prestiti. Sono istituti che le altre categorie ci invidiano. In questo contesto estremamente positivo, se necessitano delle riforme dobbiamo governarle. Una grande l’abbiamo già fatta nel recente passato, ora si tratta di fare una manutenzione per mettere i conti dell’istituto in definitivo equilibrio per i prossimi 50 anni.
Prima – Resta il problema di un mercato del lavoro molto depresso.
A. Camporese – Stiamo discutendo la possibilità di concedere per un periodo da definire sgravi contributivi a quanti assumono a tempo indeterminato. Sarebbe uno stimolo al mercato del lavoro, un investimento che ritengo l’Inpgi dovrebbe fare insieme alle parti sociali. È necessario stimolare il mercato adesso, in tempo di crisi.
Prima – Sembrano definitivamente alle spalle i tempi, abbastanza recenti, nei quali se solo accennavi all’Inpgi agli editori veniva l’orticaria, tanto che non pongono nemmeno più il problema di una governance dell’istituto, che la Fieg riteneva squilibrata in favore dei giornalisti.
A. Camporese – Il 97% delle delibere sono votate all’unanimità da un Cda dove oltre ai rappresentanti dei giornalisti, siedono quelli degli editori e dei ministeri vigilanti. Abbiamo affrontato tanti problemi in modo concreto, discutendo anche accesamente e assumendo alla fine decisioni condivise. Sì, gli editori si sono ‘calmati’, ma anche in conseguenza di una difficile congiuntura che riguarda pure noi. Il profilo istituzionale dell’Inpgi ha fatto da barriera nella bufera e tutti hanno abbassato i toni.
Prima – Si parla di una possibile nuova ondata di uscite.
A. Camporese – L’ho sentito. Spero non sia così. Sarebbe un colpo difficilmente sostenibile dopo quanto è già successo. Molti editori affermano di stare ancora male. Il sindacato risponde che non è così: a parte qualche eccezione, anche i risultati del 2010 non sono così malvagi. Le aziende non avranno esaurito tutti i problemi, ma si sono tirate un po’ su. Spero ci si concentri sul rilancio e non su altri tagli.
Intervista di Carlo Riva
Andrea Camporese, 42 anni, giornalista della Rai di Venezia, presidente dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani dall’aprile 2008. Da luglio presiede anche l’Adepp (Associazione degli enti previdenziali privati) che riunisce le 20 casse pensionistiche privatizzate di 26 professioni (dai notai, ai commercialisti), con una massa di patrimonio gestito di circa 40 milioni di euro.