Molto è già cambiato
Cominciata in sordina ed esplosa con le manifestazioni del 13 febbraio, la ribellione contro l’uso degradante e caricaturale del corpo delle donne è un tema caldo di scontro politico e sociale che rimbalza dai media ai blog al mondo della pubblicità . Ne abbiamo parlato con il direttore di Elle Danda Santini, che attraverso il suo giornale ha condotto una grande ricerca sulle donne in Italia e spiega perché dopo anni di volgarità sull’immagine femminile il vento sta girando.
A Elle sapevano già tutto. E non solo per l’intuito, o per il punto di osservazione privilegiato che un femminile offre a chi ci lavora, ma perché in sei mesi di intenso lavoro sul sito, e grazie a un’inchiesta dell’Istituto Piepoli su un campione di 1.500 donne dai 20 ai 50 anni e un approfondimento su 100 studentesse universitarie tra i 20 e i 25, si erano accorti prima degli altri che la storia dell’immagine (dalla pubblicità delle mutande alle ragazze seminude anche sui giornali ‘seri’, dalle veline alle escort) stava al secondo posto tra i problemi ritenuti più gravi. Subito dopo il lavoro che non c’è, o che si rischia di perdere. Il progetto lanciato da Elle si chiama ‘SorElle d’Italia’, e dopo le analisi si è tradotto in 15 proposte concrete, tra le quali “una campagna e un osservatorio contro gli stereotipi di genere sui media, per una corretta immagine femminile”.
È questa la prima buona ragione per chiedere a Danda Santini, direttore dell’edizione italiana del mensile di Hachette dal 2004 e da 16 anni impegnata sul fronte dei femminili, cosa ne pensa della protesta e della polemica sull’immagine della donna. Nel frattempo, è successo di tutto. Antonio Ricci, ideatore di ‘Striscia la notizia’ (e recidivo, visto che fu proprio lui, nel lontano 1983, a inventarsi quel ‘Drive in’ al quale molti e molte fanno risalire l’inizio del degrado etico-televisivo del Paese), ha lanciato un sondaggio-provocazione chiedendo alle giornaliste italiane che ne pensano della tetta scoperta che dilaga anche sulle testate più autorevoli, schierate in prima fila nella difesa della dignità femminile. Come era facile immaginare, poche hanno risposto (25 su 1.217), molte in compenso si sono indignate per il contorno aggressivo e un po’ volgare dell’iniziativa.
La seconda ragione è che, secondo Santini, tutto sta per cambiare: le immagini, la pubblicità , i media, la moda. Anzi, molto è già successo, come spiega in questa intervista.
Ma molte domande restano: come si concilia la ferma, sacrosanta esasperazione delle donne verso quella che appare come una triste caricatura del rapporto tra i sessi e verso un uso indiscriminato del corpo femminile che attraversa un po’ tutto, dalle campagne pubblicitarie dei grandi marchi alla cronaca del Rubygate? Come si fa a fare un giornale serio e divertente, attento ai problemi reali e senza censure? E come si mantiene un rapporto equilibrato con inserzionisti che, specialmente nei magazine femminili, sono indispensabili alla sopravvivenza? Lo abbiamo chiesto a Santini.
Prima – Quando avete cominciato a capire che il tema ‘dignità femminile’ sarebbe diventato così importante?
Danda Santini – Nel 2010, a mano a mano che lavoravamo con Piepoli al sondaggio e parallelamente alla raccolta di voci e opinioni sul sito. Le giovani donne che studiano ci interessavano particolarmente, così abbiamo chiesto un approfondimento su di loro. Risultato: l’89% ritiene “svilente”, “fastidioso” o “frustrante” il tipo di immagine femminile che prevale in Italia, dalla tivù alla carta stampata alle affissioni. È un dato altissimo, che ha sorpreso me per prima: sapevo che il problema esisteva, ma non pensavo che fosse sentito fino a questo punto e che fosse percepito come ‘personale’, qualcosa che danneggia tutte e che peggiora la vita di tutte le donne italiane. Ed è, probabilmente, il risultato di un silenzio durato troppo a lungo, come se ci fosse stato sempre qualcos’altro di più urgente a cui pensare e quindi, tutti insieme, avessimo lasciato correre. Immaginavo che anche il sondaggio avrebbe rispecchiato questo, mettendo in evidenza la paura e la rabbia su temi come lavoro, discriminazione, molestie, violenza. Invece, il ‘tappo’ stava saltando, soprattutto tra le più giovani. Che sono anche quelle su cui sappiamo di meno.
Prima – Quindi quando centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza il 13 febbraio “per la dignità delle donne” (a queste manifestazioni Elle ha dato grande copertura sul sito: ndr) voi eravate preparati?
D. Santini – Sì, anche se non del tutto. Certamente quella giornata ha segnato lo spartiacque oltre il quale il problema non potrà più essere ignorato, il passaggio dal silenzio alla reazione. Prima, anche le mail che arrivavano in redazione erano diverse, le lettrici si lamentavano soprattutto di due cose: le modelle troppo magre e i vestiti troppo cari. Dopo, la musica è cambiata, il ragionamento si è fatto più forte e sofisticato. Se dovessi riassumerlo in una parola, quello che si chiede è rispetto per il corpo delle donne, in tutti i campi. E quindi immagini, pubblicitarie o giornalistiche che siano, che non alludano sessualmente. Il che è del tutto nuovo.
Prima – Non la preoccupa l’idea di un’onda moralista, più o meno ipocrita, che potrebbe attraversare l’Italia?
D. Santini – Non mi pare che ci sia questo pericolo. Io non credo nella censura, in nessuna forma, e soprattutto non credo che possa funzionare. Semplicemente per tanto tempo non ci siamo accorti che il tema del corpo delle donne stava cambiando: da un lato in negativo, esasperando certi modelli e calpestando certi valori. Io sono nata negli anni Sessanta, e nel mio immaginario faccio coincidere certe immagini trasgressive in tivù con l’esordio di ‘Drive in’ che però, allora, a molti appariva come una parodia divertente e un po’ fumettistica. Era anche, per certi versi, la fine di un certo rigorismo femminista che aveva percorso gli anni Settanta e l’inizio di una nuova epoca del disincanto e di un edonismo un po’ leggero. Così, ridendo e scherzando, si è arrivati a qualcosa di ben diverso, che ha degenerato e che ha preso una piega differente anche rispetto agli altri Paesi europei. Lo dico anche pensando a Elle francese.
Prima – Perché tutto questo accade ora?
D. Santini – È un risveglio un po’ brutale che non è scollegato dal clima politico. Penso che le più motivate siano le madri con figlie, come sono anch’io, che si sentono ormai ‘vaccinate’ ma non vogliono che alle loro bambine e ragazze tocchi di crescere in un clima del genere. Una forma di tutela e protezione verso le generazioni dopo di noi.
Prima – Provocazioni a parte, lei crede che le giornaliste di tutte le redazioni, dai quotidiani ai femminili, possano esercitare un ruolo in grado di far cambiare l’immagine della donna sui media?
D. Santini – No. Credo che tocchi a tutti, non alle giornaliste in particolare. Soprattutto, credo che questo stia già avvenendo, e ce ne possiamo accorgere già ora, dopo le ultime sfilate a Milano e Parigi e guardando le ultime campagne pubblicitarie. La sensibilità sta cambiando e non è certo negli interessi di chi acquista spazi sui giornali disturbare le lettrici o i lettori. Da tempo i creativi riflettono su ciò che le donne vogliono effettivamente vedere, così come fanno gli stilisti che, infatti, propongono oggi una femminilità molto diversa da quella di cinque o dieci anni fa. Resteranno, magari, i calendari con le ragazze poco vestite. Ma io dico: pazienza. Quello che mi interessa è che certe immagini non finiscano in tivù nelle fasce protette e che in generale si proponga un linguaggio più rispettoso, meno aggressivo. E questo, lo ripeto, avviene spontaneamente e testimonia il cambiamento meglio di qualunque appello o polemica. La volgarità sta scomparendo dalla moda e dalle campagne, che percepiscono lo spirito del tempo.
Intervista di Vera Schiavazzi