Mai dare del tu
“Oramai nelle discussioni dei talk show stenti a riconoscere quali sono i giornalisti e quali i politici” dice Fernando Masullo, vice direttore di Raitre, il papà di ‘Ballarò’. “Molti giornalisti si sono schierati e ci tengono a manifestare la propria appartenenza. O sei con Berlusconi o sei contro di lui”.
“Giovanotto, ma lei pensa che io non sia in grado di fare domande?”. Fernando Masullo rimase di sasso quando, giovane ‘stanziale’ di Montecitorio, si sentì addosso gli occhi e soprattutto la voce stridula di Amintore Fanfani che sporgeva appena dalla scrivania del suo studio.
Gli ‘stanziali’ erano detti, negli anni Settanta come oggi, quei giornalisti che bivaccavano tutto il giorno nei corridoi e nella sala stampa di Palazzo Chigi, girone di dannati per alcuni – ad esempio per me che pregai Scalfari in ginocchio di assegnarmi altri compiti – traguardo agognato per altri colleghi che trovano gratificazione nel solcare il Transatlantico su e giù, gomito a gomito con quei signori in abito scuro che decidono le sorti del Paese.
Masullo non apparteneva né alla prima né alla seconda categoria, così come non si sarebbe mai schierato nella sua vita professionale (“anche se di etichette me ne hanno appiccicate, ma dove lavoro, alla Rai, non puoi non averne”). Era un promettente giornalista del Gr2, distaccato nel Palazzo della politica per volontà del suo direttore Gustavo Selva, futuro senatore di An; ma sì, quello che nel giugno del 2007 finse un malore per farsi portare da un’ambulanza negli studi televisivi di La7, quello che qualcuno – non ricordo chi, se un giornalista o un avversario politico – ribattezzò ‘Gustavo Belva’. Beh, Selva o Belva, dire che il gran capo del Gr2 pendeva a destra era annacquare il suo pensiero, per cui destò meraviglia che per un compito così delicato egli avesse scelto un pivello senza bandiera come Masullo. Gli stava simpatico, lo stimava, mai poteva pensare che nutrisse simpatie progressiste. Quando lo seppe, prima s’infuriò, poi cercò di trarre profitto dalla delusione, eleggendo Masullo ad esempio della propria ‘pluralità ‘ in un’intervista su Prima Comunicazione, anche se in maniera un po’ maldestra: “Ma come”, rispose all’accusa di essere un mangiacomunisti, “proprio io che ho mandato a Montecitorio un comunista che si mangia venti giornalisti democristiani!”. Naturalmente la redazione non fece gran festa.
Lui, Masullo, cercava sostanzialmente di far bene il proprio mestiere, senza infilarsi in tortuosi labirinti mentali. Era capitato lì, alla Rai, a Montecitorio, davanti a Fanfani, quasi per caso, spinto, più che da una vocazione, dal bisogno di trovare un impiego stabile. Oddio, più che dal bisogno, da un legittimo desiderio di imboccare una strada che solcasse la sua vita. Problemi economici, zero. Nato (6 ottobre 1949) e cresciuto a Nola, il papà industriale del vetro, uno dei più grandi d’Italia, 500 dipendenti e fatturati sempre verso l’alto. Un bel derby con la vetreria Cerasuolo, anch’essa di Nola.
Il vetro non era però nei pensieri del giovane Fernando, unico maschio di quattro figli e quindi, nei piani di papà , il naturale successore alla guida dell’azienda. Nei suoi piani c’erano due priorità : primo, via da Nola; secondo, una vita indipendente. Sbarcò a Roma a 17 anni, prese la laurea in legge. Certo, con i soldi di papà , ma il minimo indispensabile. Si iscriveva a qualsiasi concorso, si arrangiava in qualsiasi lavoretto gli procurasse denaro: accompagnava a scuola i bambini, scriveva articoletti per piccole testate cittadine e per l’Icu (Istituto per la cooperazione universitaria).
Cominciò a frequentare Marianella e fu – indipendentemente dal fatto che sarebbe diventata sua moglie – la sua fortuna. Nel palazzo sulla via Cassia dove abitava incontrava spesso Guglielmo Moretti, gentiluomo bolognese, una delle voci più note della Rai, inventore nel 1960, assieme a Sergio Zavoli e Roberto Bortoluzzi, di un programma che la domenica teneva col fiato sospeso mezza Italia: ‘Tutto il calcio minuto per minuto’. Un saluto, una battuta, l’invito a prendere un caffè. “Cerchi lavoro? Sei un ragazzo sveglio. Vienimi a trovare alla Rai”. Andò il giorno dopo. E trovò Moretti, sindacalista, incazzatissimo. Era il 1976, con la Rai fresca di riforma (ripartizione delle testate) il suo direttore Gustavo Selva utilizzava ragazzi senza contratto. “Sai cosa c’è?”, ringhiò verso Masullo, “se lo fa lui lo faccio anch’io!”. Alzò il telefono, chiamò Gilberto Evangelisti, capo dello sport al Gr2, e gli annunciò la visita di “un giovane in gamba che merita di lavorare”. Masullo salì al secondo piano, dove fu accolto dal caporedattore Alberto Bicchielli, il quale gli mise a tracolla un Nagra (enorme registratore che pesava, dieci chili) che lo fece barcollare, gli diede una pacca sulle spalle e gli disse: “Vai di corsa a Tor di Quinto, c’è Chinaglia che minaccia di lasciare la Lazio per andarsene in America: portami un’intervista”.
Avrei potuto incontrarlo, Masullo, quel giorno, poiché allora bazzicavo anch’io nel campo d’allenamento della squadra romana per conto del Corriere dello Sport. La Lazio pazza di Tommaso Maestrelli e di ‘papà ‘ Lenzini, del bomber Chinaglia e dei ‘pistoleri’ Martini e Petrelli, del povero Re Cecconi ucciso per uno stupido scherzo. La Lazio delle fazioni e delle risse, che la domenica trovava miracolosamente l’unione e la forza per battere chiunque.
Questa banda di campioni sciagurati era seduta su una panca fuori dallo spogliatoio, quando il giovane cronista piegato dal Nagra si avvicinò a Chinaglia, scorbutico e ignorante più del solito: “Non me rompe, mo’ me devo allenà “. “Ma io faccio il mio lavoro, perché mi risponde così?”. La replica del calciatore fu un ‘vaffa’ che si perse nella sua corsa verso il campo. Intervenne Pino Wilson, il capitano, che prese da parte il ragazzo, si scusò, lo accompagnò nello spogliatoio dove stava preparandosi Maestrelli, al quale raccontò l’accaduto. “Vieni con me”, lo invitò l’allenatore, il quale, una volta sul campo, avvicinò Chinaglia a brutto muso. Risultato: Chinaglia si sedette accanto a Masullo e fece: “Ok, accendi quell’arnese e cominciamo”.
Poco dopo Maestrelli cedette alla malattia, Chinaglia partì per l’America e Masullo, dopo una gavetta di appena due mesi, sostituendo una giornalista in maternità , Clara Di Meglio, e grazie ai buoni uffici del vice direttore Paolo Orsina, diventò a tutti gli effetti un giornalista della redazione del Gr2. Destinazione: Palazzo Chigi, sala stampa della Rai: lunghi tavoloni di noce, il gracchiare continuo delle macchine da scrivere, nuvole di fumo. Orsina lo presentò a Giorgio Ceccherini, capo ufficio stampa di Andreotti. “E da ora”, gli disse, “muoviti con le tue gambe”.
Con le sue gambe Masullo entrò nella stanza di Amintore Fanfani, presidente del Senato, accompagnato da un tecnico della Rai, Saccani, si sedette e cominciò un dialogo che rappresenta una sintesi perfetta dei rapporti politica-giornalisti dell’epoca.
Fanfani (sorridente) – “Giovanotto, ho pensato di facilitarle il compito”, e così dicendo passò a Masullo due fogli con domande e risposte.
Masullo (sorpreso) – “Presidente, con tutto il rispetto, io sono qui per farle delle domande”.
Fanfani (seccato) – “Giovanotto, ma lei pensa che io non sia in grado di fare domande?”.
Masullo (perplesso) – “No, ma…”.
Fanfani (spazientito) – “Lei prenda queste domande, ne parli col suo direttore e poi, se è il caso, ritorni”.
Masullo lasciò quei fogli sulla scrivania e disse secco: “Saccani, andiamo”. Ettore Tito, capo ufficio stampa di Fanfani, allibito balbettò qualcosa di incomprensibile. Masullo stava per varcare la porta.
Fanfani – “Giovanotto, suvvia, fra uomini ci si intende”.
Masullo – “Allora parliamo, presidente?”.
Fanfani – “Si sieda”.
Saccani avviò il Nagra, l’intervista sulle riforme istituzionali scorse fluida, ogni domanda una risposta, senza alcuna reticenza. Alla fine Fanfani tese la mano al giornalista e fece: “Mi sa che abbiamo scandalizzato il suo tecnico”. Un timore espresso in codice. E in codice Masullo replicò: “Ma no, presidente, Saccani è uomo di mondo”.
Dieci anni da ‘stanziale’ a Montecitorio prima di una parentesi americana altrettanto lunga (’88-’98), la vice direzione dei Gr, l’approdo a Raitre con la stessa qualifica al seguito di Paolo Ruffini e la guida di ‘Ballarò’.
Da dove cominciamo per vangare lo spinoso rapporto fra noi giornalisti e ‘loro’, i politici? Naturalmente dalla morale che l’episodio appena raccontato dell’intervista a Fanfani può suggerire.
Franco Recanatesi – È evidente che Fanfani aveva già sperimentato con successo quella ‘tecnica’. È evidente che qualche nostro collega l’aveva accettata. La commistione politici-giornalisti non è rara e assai scivolosa. Personalmente l’ho annusata, più volte mi è passata sotto il naso. Ma tu che hai passeggiato per dieci anni nel Transatlantico e vissuto l’intera carriera all’interno della Rai, cioè della lottizzazione, che cosa mi dici?
Fernando Masullo – Che, Rai o non Rai, fra persone che tutti i giorni stanno nello stesso posto gomito a gomito, è facile che si crei una certa familiarità , che però non avvantaggia il nostro lavoro. Occorre schivarla. Io ho sempre usato un accorgimento: non dare mai del tu ai miei interlocutori politici. E non accettare mai non dico il metodo Fanfani, ma neanche altre forme di sopraffazione. Ai miei tempi giravano per Montecitorio colleghi come Paolo Mieli, Ezio Mauro, Fernando Proietti; Passarini, un giovanissimo Lucio Caracciolo. Erano loro la nuova generazione dei giornalisti politici, quelli da cui prendere esempio. Stai sicuro che ognuno di loro le due cartelle a Fanfani gliele avrebbero fatte ingoiare.
F. Recanatesi – Giampaolo Pansa dava del tu a parecchi inquilini di Palazzo Chigi.
F. Masullo – Non mi toccare Pansa, un mio mito. Anche se poi…
F. Recanatesi – Figurati, a me lo dici! Mi ha insegnato cosa vuol dire fare davvero il cronista, il valore del ‘sacrificio sul pezzo’, come ‘fotografare’ l’evento. Ogni servizio che svolgevo con lui per Repubblica era una lezione di giornalismo. Corremmo insieme, in una luminosa giornata del febbraio 1980, all’università di Roma dove le Br avevano appena freddato Vittorio Bachelet. Il corpo insanguinato del giurista era ai piedi di una scala dietro una porta a vetri smerigliati sbarrata ai giornalisti. Quando la porta si aprì per far passare un magistrato, scorgemmo all’interno soltanto lui, Giampaolo Pansa, col suo taccuino.
F. Masullo – Pansa è un esempio: sempre il primo a entrare e l’ultimo a uscire. L’uomo della Balena Bianca.
F. Recanatesi – A proposito di Balena Bianca: il tuo decennio in Parlamento è quello della Dc, del delitto Moro, del craxismo: del lento e drammatico passaggio dalla monocrazia democristiana all’alternanza di governo. Parliamo degli inquilini del Palazzo di allora: se penso a una fase simile oggi, con i politici che abbiamo, mi viene la pelle d’oca.
F. Masullo – Indubbiamente quella classe politica aveva una qualità media superiore. C’erano politici di professione, veri statisti come Moro, Andreotti, Berlinguer. Lo stesso Almirante, che ho intervistato più volte, aveva un suo spessore. Persino peones come Ugo Spagnoli. Anche se talvolta le loro capacità venivano offuscate dalla sete di potere e dall’arroganza. Ho citato l’esempio di Fanfani, te ne racconto un altro. Vado a intervistare Craxi all’hotel Raphaà«#l, mi riceve come al solito, assistito dal capo ufficio stampa Pasquale Guadagnolo, nella sala da pranzo al pian terreno, a quell’ora deserta. Io mi ero preparato su un foglio alcune domande che stendo sul tavolo prima di cominciare. “Può farmele vedere?”, mi chiede Craxi tendendo il braccio. A malincuore, ma acconsento. Lui legge, poi si toglie gli occhiali e con un’asticella fra le labbra scandisce: “Si vede l’impronta di Botteghe Oscure”. Gli rispondo: “Lei è male informato”. Il giorno dopo, incontrandomi a Montecitorio, mi mette amichevolmente una mano sulla spalla. Lo stesso codice fanfaniano per dire “va tutto bene, incidente chiuso”.
F. Recanatesi – Sgombriamo il campo: ma sei o non sei un comunista? Voi di Raitre lo siete tutti, no?
F. Masullo – Macché comunista. Mio padre votò prima per la monarchia e poi per la Dc. Schierato con il Pci era mio zio Aldo, filosofo. Io mi definisco un progressista. E poi oggi ci sono ancora i comunisti? Ho votato per il Pci, all’epoca, poi per alcuni anni non ho più votato. Non ho mai partecipato a una riunione di partito. Nella mia professione credo di essere stato sempre equidistante da ogni appartenenza politica.
F. Recanatesi – Nella Rai? Scusa, ma stento a crederlo. Saresti una mosca bianca. In quota a quale partito sei entrato e sei stato nominato vice direttore?
F. Masullo – Come ti ho raccontato ho compiuto i primi passi della mia carriera grazie a Moretti, Orsina e Selva: tre uomini di destra. Pensa che dopo l’intervista di Selva a Prima che hai citato, Luca Pavolini, responsabile della comunicazione del Pci, mi disse sorpreso: “Ma sei uno dei nostri?”. Anche la corrispondenza dagli Stati Uniti la devo a Orsina, mi diede il posto di Gastone Ortona che tornava in Italia. Sai quale fu la mia credenziale? Ero stato l’unico a terminare il corso d’inglese per i giornalisti del Gr2.
F. Recanatesi – Non ci credo. So che anche nelle nomine per le sedi estere ci vuole il placet politico.
F. Masullo – È probabile che prima di procedere alla nomina i miei superiori abbiano fatto il giro delle sette chiese. Ma il fatto che nessuno abbia obiettato sul mio nome mi inorgoglisce: vuol dire che tutti mi giudicavano imparziale.
F. Recanatesi – Adesso non mi negare anche la lottizzazione alla Rai, altrimenti chiudiamo qui e non scrivo una riga.
F. Masullo – La lottizzazione esiste ed è sempre esistita. E la cosa grave è che viene ritenuta dalle forze politiche come una forma di pluralismo, uno strumento per allargare la partecipazione e la gestione. Da tutte, tengo a sottolineare, le forze politiche, di destra e di sinistra. Oggi è ancora peggio. La proposta di Butti di alternare i conduttori dei talk show politici è allucinante: vuol dire codificare l’appartenenza politica dei giornalisti, imprimere sulla loro pelle un marchio di fabbrica, bollarli per sempre.
F. Recanatesi – “Un’umiliazione per noi giornalisti”, ha scritto giustamente Beppe Severgnini su Sette. Anche per Giovanni Floris, il ‘tuo’ Floris. E anche per te che hai partorito ‘Ballarò’ e lo hai curato per otto anni.
F. Masullo – Floris lo abbiamo voluto fortemente Ruffini e io, e quando lo definiscono un ‘sovversivo’, lui come Fazio o la Dandini, mi viene proprio da ridere. Se c’è un moderato e anti ideologico questi è Giovanni. Il successo di ‘Ballarò’, partito al 5% e oggi stabile sul 18%, poggia su queste travi: imparzialità , educazione e dialogo a 360 gradi. Oggi è difficile svolgere il ruolo di giornalista politico, in assoluto ma soprattutto in tivù.
F. Recanatesi – Dove Berlusconi tiranneggia. Hai letto i dati di Vidierre delle sue presenze nei tg? Il triplo, il quadruplo rispetto a tutti gli altri politici. Ma la colpa, caro Masullo, è anche dei giornalisti. E in particolare di voi giornalisti televisivi.
F. Masullo – È vero, ma non solo dei televisivi. Oramai nelle discussioni dei talk show stenti a riconoscere quali sono i giornalisti e quali i politici. Voglio dire che molti dei nostri colleghi si sono schierati e ci tengono a manifestare la propria appartenenza. O sei con Berlusconi o sei contro di lui. E chi vorrebbe essere neutrale e cerca la moderazione e l’educazione vien fatto passare per un moralista e un ipocrita. Questo accade in tutti i settori della vita pubblica e privata. Sono passati i messaggi ‘in casa mia faccio quello che voglio’, ‘devi accettarmi per quello che sono’. Le buone maniere e il senso del pudore sono virtù obsolete. Si è persa la differenza fra uomo selvaggio e uomo civile.
F. Recanatesi – Siamo al basso impero, al lato B della storia italiana. E la tua Rai, mi spiace dirlo, al bassissimo impero.
F. Masullo – È una lotta continua, una guerra di logoramento. Burocrazia, veti, fiumi di circolari: pensare e mandare in onda un buon prodotto è diventata una missione impossibile. È un rischio per ogni dirigente chiamato a firmare un mare di carte: ci siamo dovuti assicurare contro eventuali risarcimenti. E l’avvento di Masi alla direzione generale ha aggravato sensibilmente questa situazione. Io che sono fondamentalmente un aziendalista e un entusiasta, a volte penso che mi piacerebbe tornare in America, vicino a mia figlia Daria, a pizzicare la mia chitarra.
Intervista di Franco Recanatesi
Fernando Masullo, vice direttore di Raitre dove si occupa di programmi giornalistici. In Rai dal 1976 ha lavorato come giornalista politico al Gr2, per poi diventare corrispondente dagli Stati Uniti. A fine ’96 è vice direttore del Giornale Radio a fianco del direttore Paolo Ruffini con cui nell’aprile del 2002 trasloca alla terza rete dove si inventa ‘Ballarò’ che cura fino al 2009 quando decide di occuparsi di altri programmi della rete: ‘Parla con me’ della Dandini, ‘Presadiretta’ di Jacona; recente il lancio di ‘Cosmo’, programma settimanale su come l’innovazione cambia la nostra vita, condotto da Barbara Serra, giornalista di Al Jazeera English, mentre a giugno partirà ‘Hotel Patria’ con in studio il direttore della Stampa, Mario Calabresi.