Sperimentiamo! – Intervista a Roberto Serafini, direttore generale della divisione Luxe Italia dell’Oréal (Prima n. 429, giugno 2012)

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“Alcune leggono i femminili, altre amano solo il web: oggi per raggiungere le donne bisogna usare tutti i media e la chiave del successo è individuare ogni volta il mix giusto”, dice Roberto Serafini, capo della divisione Luxe dell’Oréal
Davanti a sé ha un’immensa platea di donne di ogni età , dalle teenager alle signore che con termine cortese vengono definite molto mature, ovvero le over sessanta a cui il mondo della cosmetica guarda con crescente interesse. E con gli editori ha un obiettivo comune: comunicare con loro con tutti i mezzi e gli strumenti possibili. Dunque è un interlocutore prezioso Roberto Serafini, che a soli 47 anni può essere già  considerato un veterano dell’Oréal: da poco meno di due anni è direttore generale della divisione Luxe Italia (che raggruppa i prodotti venduti in profumeria e brand prestigiosi come Lancà´me, Biotherm, Helena Rubinstein, Shu Uemura, Ysl Beauté, i profumi Giorgio Armani e Ralph Lauren), ma al gruppo L’Oréal è entrato nel 1993 alla divisione Cosmetique Active (brand come Vichy e La Roche Posay venduti in farmacia) che poi, dal 2001, ha diretto in Francia, nell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente e infine in Italia.
Fanno vent’anni di esperienza in uno dei settori industriali più floridi e innovativi e dove la comunicazione è regina: grandi investimenti (L’Oréal è sempre ai primissimi posti nella classifica degli investitori, anche in Italia), molta creatività  dispiegata sui vari brand, strategie ad ampio raggio per comunicare anche il valore della ricerca scientifica e l’impegno etico e sociale del gruppo. E fanno soprattutto vent’anni di contatto con il mondo femminile in quel delicato punto d’incrocio tra consumo ed emozioni, perché i cosmetici rintrano nell’uso quotidiano ma sono anche un grande piacere, perché nel make up le suggestioni e l’aspetto ludico sono la molla per invogliare alle novità  e nel profumo l’evocazione è (quasi) tutto.
Uno come Serafini – e questo è un altro punto di contatto con il mondo dell’editoria – macina ricerche su ricerche per scoprire, verificare, sollecitare le motivazioni e i trend di consumo delle donne. “Sappiamo che oggi il 30% delle donne italiane non legge i periodici. Però guardano la tivù, s’informano su Internet”, osserva. “Molte altre invece leggono la carta stampata e hanno scarsa familiarità  con il web, quindi per comunicare è necessario usare i vari mezzi. La chiave è individuare ogni volta il mix giusto in base al momento di lancio, al prodotto, al brand, al target. E io non sono per le grandi rivoluzioni ma per le sperimentazioni”.
Prima – Sperimentazione uguale digitale, giusto?
Roberto Serafini – Non esattamente. Si può e si deve sperimentare, ad esempio, anche sul mix dei mezzi. Quello che vediamo dalle ricerche è che nella fruizione i mezzi si aggiungono uno all’altro, quindi le persone vengono raggiunte da molti più messaggi e sono più distratte. Oggi per farsi comprare è necessario emergere, senza sorpresa un brand non colpisce. Abbiamo bisogno di comunicare con i consumatori in tanti ‘touch point’, in tanti momenti diversi della giornata. E ogni momento ha il mezzo più adatto. In quanto al digitale, ha specificità  che permettono delle sinergie fantastiche. Prenda i profumi: la televisione è e rimane il mezzo principe, ma dietro ogni profumo c’è una storia che è difficile raccontare nei tempi di uno spot, mentre la si racconta benissimo in un video di sessanta secondi sul web. Per noi ormai è abituale amplificare in questo modo l’effetto della campagna televisiva.
Prima – Ma una campagna solo digitale l’ha mai sperimentata?
R. Serafini – L’ho fatto per la prima volta quattro anni fa, quando dirigevo ancora la divisione Cosmetique active. Dovevamo lanciare una linea di creme per le giovanissime, Skinset di Vichy, e abbiamo deciso d’investire quasi l’intero budget, 300mila euro, nel digitale. Tenendo conto che allora Facebook era in embrione e YouTube non esisteva, abbiamo utilizzato tutto ciò che la Rete metteva a disposizione: forum, Google, i portali femminili. Ma i risultati della campagna non sono stati all’altezza: forse siamo arrivati troppo presto e abbiamo scelto un prodotto, le creme, che per le teenager non è di primario interesse. Comunque è stata un’ottima lezione.
Prima – Quanto investite sul digitale?
R. Serafini – Una percentuale quasi a doppia cifra sul totale degli investimenti, con incrementi nell’ordine del 50% ogni anno. Ma non dimentichi il discorso di partenza: oggi è il mix che conta. A febbraio abbiamo fatto un lancio di grande successo, i rossetti Rouge in love di Lancà´me, con il budget equamente diviso tra stampa e web. Il colore, che nel rossetto è l’elemento centrale, si presta a essere magnificato sul web; la testimonial, Emma Watson, era perfetta; il prezzo giusto per quel target; il packaging indovinato. Risultato: nel mese di lancio Lancà´me è diventato numero uno nei rossetti, prodotto in cui non ha una grande tradizione.
Prima – L’Oréal è sempre stato un grande investitore sui femminili e in tivù, quanto sono ancora efficaci questi mezzi?
R. Serafini – Io non li considero soltanto efficaci, ma indispensabili. Il femminile, soprattutto nella cosmetica di alta gamma, ha un peso importante quando parla di un prodotto. La stampa è fondamentale sia perché ha sempre dimostrato di muovere bene i consumi sia per la costruzione dell’immagine delle marche; e lo è anche perché ci dà  la possibilità  di far arrivare alle consumatrici i campioni di profumi, creme, fondotinta. La televisione per certe fasce di età  e certi prodotti è ancora il mezzo di eccellenza, dà  dei picchi di consumo che gli altri mezzi non provocano. Per i profumi nel periodo di Natale la tivù è d’obbligo, ed è importante anche per le creme.
Prima – Pensando ai femminili, voi come grandi investitori siete utenti ma anche attori del mercato editoriale. L’editoria periodica è in grande trasformazione sotto la spinta del digitale e soffre per il calo degli investimenti pubblicitari, dal suo punto di vista gli editori cosa dovrebbero fare per trarre profitto da questo cambiamento?
R. Serafini – La situazione è complessa per tutti. In un mercato maturo come l’Italia, noi dobbiamo fare i conti con un mercato della profumeria che non cresce più, anzi nel 2012 dopo due anni stabili registra una contrazione del 4%. La crisi dei consumi impone riflessioni diverse, più attenzione nella scelta dei mezzi su cui investire. Dal canto loro, gli editori hanno capito benissimo, chi più rapidamente chi meno, che la via d’uscita è l’integrazione con i nuovi media digitali. Dal mio punto di vista l’importante è che abbiano dei bravi giornalisti e dei buoni contenuti, il veicolo su cui li diffondono non conta più di tanto. Ma oggi gli editori devono rispondere a un paio di domande cruciali: un veicolo diverso dalla carta raccoglie la stessa pubblicità ? E per i lettori vale la stessa quantità  di soldi?
Prima – Le risposte le conosce da solo: no alla prima e no alla seconda. Quindi ripeto: in nome del comune obiettivo, comunicare in modo efficace con le consumatrici e i consumatori, cosa chiederebbe agli editori?
R. Serafini – Guardi che il confronto è frequente e continuo. Noi, ad esempio, invitiamo due volte all’anno nella nostra sede tutti gli editori, gli spieghiamo quali sono le nostre priorità  per i sei mesi successivi e gli chiediamo di realizzare dei progetti di comunicazione usando i media che hanno a disposizione. Poi una giuria interna premia le iniziative più interessanti in base a tre categorie: innovazione stampa, innovazione web, innovazione a 360°. Ma ci sono anche altre occasioni d’incontro e di collaborazione. Non molto tempo fa sono stato invitato, con altri due manager dell’industria, a una convention di Rcs Pubblicità  e ci hanno fatto una domanda precisa: cosa chiedete in termini di comunicazione alla stampa?
Prima – Lei cosa ha detto?
R. Serafini – Tre cose: la prima, che sui femminili alla bellezza venga riconosciuto più peso e più spazio perché dalle nostre ricerche emerge che lo vogliono le lettrici; poi che nella parte redazionale ci sia più racconto, scegliendo meno prodotti, se necessario, ma con un maggiore approfondimento; terzo, che si possano allegare campioni di prodotti anche ai quotidiani, che oggi sono un mezzo importante anche per i progressi che hanno fatto dal punto di vista tecnico sull’immagine.
Prima – Ma come si fa a mettere i campioncini su un quotidiano? Bisognerebbe cellophanarlo, s’immagini i costi.
R. Serafini – Mica vero, c’è un sistema per incollare il campione all’interno. Esiste una colla che non rovina la carta da quotidiano. L’ho sperimentato in Francia, per un prodotto di Vichy Homme, con Le Monde: limitato alla tiratura dell’Isle de France, che comunque è il 30% di quella totale. In Italia è una battaglia che sto facendo da anni, ma mi dicono che la domanda è ancora bassa.
Prima – Capisco che i campioni sono un ottimo sistema per far conoscere un prodotto. Per il fondotinta funzionano a meraviglia, ma i profumi risultano un po’ alterati e con una quantità  di crema che serve per un paio di applicazioni come verifico l’efficacia?
R. Serafini – Sui profumi ha ragione, però adesso c’è un nuovo sistema che lascia la fragranza integra. Sulla crema invece si sbaglia: il campione serve per far provare la texture e sentire il profumo. Tutte le indagini dicono che le persone vogliono provare prima di acquistare, tanto più con una crema che magari costa 80 euro.
Prima – Voi le chiamate le ‘altoconsumanti’: sono le donne dai 35 ai 45 anni che divorano make up e cosmetici di tutti i tipi. Poi la curva di consumo scende e il calo si accentua dopo i 55-60 anni. A vederla dall’esterno è strano: aumentano le rughe, la tenuta della pelle peggiora un bel po’ e non riuscite a convincere le signore mature a comprare i cosmetici?
R. Serafini – Sa perché le creme per le pelli molto mature non sono state un successo? Perché per consumare cosmetici una donna deve essere ancorata a un cambiamento fisiologico ben visibile. La comparsa delle prime rughe è un fatto traumatico, a cui una donna reagisce subito. In questo campo l’industria è già  molto avanti, mentre sta ancora lavorando per dare delle risposte specifiche ai cambiamenti che intervengono dopo i 50 e i 60 anni e oltre. Aggiunga che la percezione delle donne di quell’età  è meno acuta e capirà  che anche la nostra comunicazione deve essere diversa: il cambiamento fisiologico e il rimedio che offriamo vanno spiegati da un esperto, dermatologo, ricercatore o medico che sia. Oggi nessuno parla delle settantenni e delle ottantenni, che hanno bisogno di cosmetici specifici e che sempre più saranno una fascia di età  che consuma perché ha acquisito negli anni precedenti l’abitudine a farlo. Creda a me, sarà  la nuova frontiera della bellezza!
Intervista di Dina Bara