Sul mercato televisivo mondiale stanno per piombare i canali verticali di YouTube. Marco Ferrari, ceo di Zodiak Active, casa di produzione internazionale specializzata in prodotti digitali multipiattaforma e branded content, è intenzionato a giocarsi la partita con Google e ci aiuta a tracciare le linee di tendenza del sempre più dinamico mondo dei contenuti
“Non c’è solo l’ipotesi dei canali originali. YouTube sarà un partner sempre più importante per ogni produttore di contenuto e stiamo puntando molto su questa piattaforma anche per nuovi canali legati alle nostre produzioni televisive che lanceremo in Uk nei prossimi mesi”. Impossibile strappare una parola di più al presidente e ceo di Zodiak Active sulla consultazione in corso in Europa.
Pur non potendoci svelare i contenuti e la tipologia dei prodotti su cui Google sta ragionando per dovere di riservatezza, Ferrari può aiutarci a capire come si stia muovendo Google per sviluppare il business su YouTube. Non solo. È anche possibile tracciare le linee di tendenza delle strategie del sempre più dinamico mondo dei produttori di contenuti multipiattaforma che agiscono su mercati evoluti come quello nordamericano e quello inglese, su cui Zodiak Active sta maturando esperienze e buoni fatturati che si uniscono a quelli che derivano dalle sue linee di business più legate alla pubblicità .
Zodiak Active, che nel 2011 ha registrato ricavi per oltre 30 milioni, fa parte di Zodiak Media Group (il 70% fa capo a De Agostini, il 20% ai manager, il 10% a Cyrte Investments, il fondo di John de Mol, fondatore di Endemol), un gigante globale composto da 45 società di produzione in 18 Paesi, con un giro d’affari superiore agli 800 milioni all’anno. Nata formalmente il 1° gennaio 2011, gioca il ruolo di punta dell’innovazione del gruppo ed è il frutto dell’integrazione dell’italiana Neo Network (fondata nel 2000 da Ferrari con un piccolo gruppo di giovani internettiani) con l’inglese Rdf Contact. Un matrimonio che pare funzioni e anche bene. Rimessi in sesto i conti in Uk, Zodiak Active è diventata competitiva sui mercati internazionali, primo fra tutto quello inglese che, come dice Ferrari, “ha le stesse complessità di quello americano dove vengono elaborati modelli che in Italia o non esistono o sono ancora embrionali”.
Per Zodiak Active diventare partner di Google nella produzione di canali per YouTube sarebbe una grande opportunità per misurarsi con un interlocutore che è ormai un gigante della comunicazione. Quel che ci si chiede è quale sia l’obiettivo di questa iniziativa di Google a cui non sembrano bastare i milioni di utenti che già frequentano YouTube.
“YouTube è una gigantesca macchina da traffico con numeri impressionanti e un pubblico che è 4-5 volte superiore al primo network degli Usa. Basti pensare che ogni minuto vengono caricate circa 50 ore di video. Dal punto di vista pubblicitario, tuttavia, è difficile monetizzare il business perché i centri media che gestiscono le brand hanno bisogno di controllo del contenuto”, spiega Ferrari. “All’investitore interessa raggiungere target specifici su contenuti coerenti mentre spesso i video caricati dagli utenti su YouTube, pur realizzando milioni di contatti, si rivolgono a un target indifferenziato o hanno contenuti a cui le aziende non gradiscono associare il proprio marchio”.
E i risultati della nuova strategia di YouTube iniziano a vedersi. Un report uscito a metà giugno dall’analista di Citigroup, Mark Mahaney, sostiene che YouTube genererà più di 3,6 miliardi di dollari di ricavi da tutte le forme di advertising (video, banner e display) collegate ai suoi video. Una crescita impressionante rispetto ai numeri del 2011 che Citi e Barclays stimavano in circa 1,3 miliardi di dollari (tradizionalmente Google non rilascia informazioni di dettaglio finanziario su YouTube). Questo significa che YouTube nel 2012 girerà ai suoi partner una cifra tra 1,5 e 2 miliardi di dollari. Numeri in crescita impressionante, che giustificano il rinnovato interesse di produttori ed editori alla collaborazione con il colosso Usa.
Prima – Tradizionalmente su YouTube c’era poca pubblicità e a basso costo. Così Google ha deciso di selezionare partner professionali per arricchire la sua offerta video.
Marco Ferrari – Google è consapevole delle potenzialità che un certo tipo di contenuto video può avere e ha iniziato a cercare, prima negli Usa, ora in Europa, produttori di contenuti video per realizzare canali super verticali, mirati cioè a target precisi che possono interessare l’utenza pubblicitaria. In sostanza ha deciso di trasformare YouTube nel più grande broadcaster del mondo mettendo sul piatto un investimento di oltre cento milioni di dollari a livello globale.
Prima – In cambio di cosa esattamente?
M. Ferrari – A YouTube interessano contenuti che garantiscano target certi e consumi costanti. È necessario quindi riuscire a tenere l’utente il più possibile all’interno del canale. La permanenza media è di circa 3 minuti e loro vogliono aumentarla. Un risultato che non si ottiene facendo digerire formati più lunghi ma migliorando la ‘content curation’.
Prima – In parole povere?
M. Ferrari – Riuscendo a far vedere non uno ma tre o quattro video di seguito correlati tra loro. Diciamo che se riesci a tenere un utente per 15 minuti sul tuo canale puoi considerare la missione compiuta.
Prima – Quali sono i contenuti con queste caratteristiche?
M. Ferrari – Difficile dirlo. Senz’altro quelli che si prestano meglio a essere condivisi. Possono anche essere contenuti discutibili dal punto di vista estetico, ma devono essere curiosi, sorprendenti e capaci di attivare meccanismi virali. Un canale per funzionare deve avere una forte identità di nicchia senza barriere linguistiche e geografiche.
Prima – Come fanno a YouTube a capire se un canale funzionerà o meno?
M. Ferrari – L’elemento più sorprendente di questa operazione è che oggi non c’è nessun mezzo tradizionale – broadcaster o publisher – che possa permettersi di sbagliare un investimento mentre Google può farlo senza battere ciglio. Ed è questa sua straordinaria posizione di forza che genera il timore che nel mercato dei video possa accadere quello che, ad esempio, è successo con l’arrivo di Apple per la musica. Un mercato storicamente dominato da quattro major dove Apple con iTunes, fino a pochi anni prima totalmente assente dal segmento, è diventata la realtà più imponente, mettendo in crisi gli altri player.
Prima – Potrebbe succedere la stessa cosa nel broadcast?
M. Ferrari – Penso di sì. Si va verso una concentrazione del mercato nelle mani di gruppi fortemente concorrenziali e guidati da soggetti che producono un contenuto per monetizzarlo subito. In uno scenario del genere le dimensioni contano. Il mercato delle app è un buon esempio per capire quali siano i valori sul mercato digitale internazionale: per essere tra le prime 20 applicazioni italiane devi avere circa 400-500 download al giorno, in Gran Bretagna ne servono 1.200 e negli Stati Uniti 6-7mila. Sono le dimensioni del mercato su cui lavori che fanno la differenza. È un po’ come se qualcuno volesse paragonare i numeri dell’Huffington Post americano con quello francese: impossibile.
Prima – Sta consigliando agli editori italiani di assumere una dimensione internazionale?
M. Ferrari – La visione globale di un’iniziativa editoriale oggi è fondamentale. Ci sono asset italiani molto creativi, come arte, cultura e cibo, che contengono un enorme potenziale a livello internazionale. Se fossi il manager di una casa editrice di testate italiane e volessi fare soldi con il digitale punterei in questa direzione cercando di realizzare contenuti verticali da portare dove il traffico Internet già c’è.
Prima – Mi pare di capire che lei consideri la strategia globale di Zodiak Active un elemento strategico.
M. Ferrari – La nostra dimensione internazionale si è sviluppata grazie alle scelte del gruppo che ha visto lontano. Per noi è stato importante poter utilizzare il know how di Rdf Media, diventata Zodiak Active Uk con a capo Robert Marsh, arrivato da Fremantle Media, dove ha contribuito allo sviluppo digitale di prodotti come ‘Britain’s Got Talent’, ‘X Factor’ e ‘The Apprentice’.
Prima – Ci faccia un esempio di una case history significativa del lavoro sviluppato da Zodiak Active in Inghilterra.
M. Ferrari – Di grande interesse e impatto è stato il lavoro fatto per Bbc3 per creare un’engaging experience intorno alla loro serie ‘Being Human’. Abbiamo realizzato il progetto Becoming Human basato su quattro prequel e otto sequel trasmessi sul sito del canale, in vod con 2 milioni di utenti, su social games e social network. Uno degli episodi realizzati per il web ha avuto un boom di visite tale che hanno deciso di mandarlo in onda anche sul canale tivù realizzando 1,5 milioni di spettatori. E grazie a Becoming Human abbiamo vinto l’Oscar per il migliore on line drama and website al Creative summit di Zodiak Media, la prima riunione in cui i rappresentanti di tutto il gruppo si sono ritrovati per conoscersi e scambiarsi idee e progetti. Un evento per iniziare ad avere una cittadinanza comune.
Prima – Vorrei capire meglio come vi muovete nel mondo dei media.
M. Ferrari – È un’attività che vale circa il 35% delle nostre entrate e abbiamo clienti come Sky, Mtv, Real Time, Italia 1, Deejay Tv e Bbc. In Italia siamo particolarmente forti nella realizzazione di prodotti ‘young’ e siamo pionieri in quell’area grigia che sta tra la televisione e gli YouTuber. Scoviamo sul web personaggi che poi proponiamo per le televisioni. Un esempio? Clio, una ragazza dall’enorme successo con videoclip di consigli per il trucco che abbiamo proposto al canale Real Time perché perfetta per il loro target.
Prima – Il vostro grande successo in Italia è però arrivato con ‘I soliti idioti’. Ve l’aspettavate?
M. Ferrari – Non immaginavamo che sarebbe diventato un culto. È una nostra produzione al 100%, arrivata alla quarta edizione. È un prodotto a cavallo tra tivù e Rete, studiato come una serie di ritratti snack da quattro, cinque minuti, quindi perfetto per essere veicolato su YouTube, che infatti ha avuto un ruolo fondamentale nell’affermazione del programma e della property. La serie è stata poi trasformata in un film di grande successo, che abbiamo declinato su YouTube stimolandone la rielaborazione da parte dei fan. Il risultato è stato sorprendente! Le 20 clip più viste hanno avuto oltre 10 milioni di viewer.
Prima – Come cambia il lavoro di produzione di contenuti da spalmare sulle varie piattaforme multimediali?
M. Ferrari – Diciamo che occorre articolare parecchio la produzione. In Zodiak Active, ad esempio, abbiamo suddiviso l’attività in due filoni: quella che chiamiamo ‘cross-platform programming’, cioè la produzione di programmi pensati per andare su diverse piattaforme (come tivù, vod, web, social media e social games), e il lavoro di produzione ‘branded content’, contenuti cioè che nascono con il supporto di uno sponsor. Un esempio perfetto di branded content è un docushow interamente finanziato dalla compagnia aerea Emirates, diffuso in televisione, in Rete e sul mobile, in cui dodici creativi internazionali uniscono le forze per realizzare un progetto comune.
Prima – Quanto vale nel fatturato di Zodiak Active il lavoro di brand content?
M. Ferrari – Rappresenta circa il 31% dei nostri ricavi. Un altro esempio di come si possa andare oltre il classico spot con un’operazione dall’investimento contenuto intorno al mezzo milione di euro è ‘Jack on Tour’, un talent prodotto per Jack Daniel’s, studiato per rinforzare il posizionamento del brand. È un progetto che parte dal tour negli Usa di alcune rock band molto popolari in Italia, tra cui i Negrita e gli Afterhours. Il racconto dell’avventura americana è stato declinato in dodici puntate in onda su Deejay Tv, in una serie di eventi on line (il casting e alcuni inediti), un cd allegato al magazine musicale del Gruppo L’Espresso e con alcuni concerti.
Prima – Come si inserisce in questo quadro l’attività più strettamente dedicata alla pubblicità ?
M. Ferrari – La linea ‘Audience & advertising’ di Zodiak Active vale il 34% dei ricavi e conta clienti come Vodafone, Tim, Microsoft, Yahoo!, GroupM, Aegis Media e Criteo. Su questo fronte lavoriamo sviluppando ‘engagement project for brands’, attività con cui gestiamo la presenza di un brand o di un prodotto su web e sui social media. Per Ferrero, ad esempio, ci siamo occupati della strategia digitale per riposizionare Nutella come prodotto adatto alla prima colazione. Abbiamo puntato su un blog con notizie e sull’interazione con i tre milioni di fan della pagina Facebook ufficiale.
Prima – Le aziende hanno percezione del valore di questi contatti?
M. Ferrari – Tre anni fa Procter & Gamble ha reagito alla crisi aumentando l’investimento televisivo, mentre cinque mesi fa ha dichiarato che nel 2012 avrebbe fatto meno tivù a beneficio dei mezzi digitali. All’estero sono un po’ più evoluti ma anche da noi le cose sono cambiate. Il dibattito non è più se utilizzare l’on line ma come utilizzarlo, perché la campagna tivù rafforza l’efficacia della campagna web. In Rete noi operiamo attraverso la piattaforma A-Plus che permette di pianificare le campagne di display advertising attraverso un meccanismo d’asta. Siamo i primi in Italia e tra i primi in Europa ad aver lanciato un software che valorizza il cosiddetto long tail dei contenuti e dei brand on line. Per capire come funziona basta pensare alla differenza tra Gazzetta.it e le decine di migliaia di siti che parlano di calcio: presi da soli questi siti non valgono niente mentre insieme raggiungono audience potenziali enormi. Non a caso il mercato on line in Gran Bretagna e negli Usa è fondato sul concetto di syndication e il business di A-Plus sta andando molto bene. A giugno abbiamo chiuso il primo anno di attività con 5 milioni di euro in un settore dove contiamo di crescere del 15-20%. In Italia è un business non ancora completamente sviluppato soprattutto a causa delle dimensioni ancora ridotte del mercato, quattro volte più piccolo di quello britannico. Ma può scommetterci che cresceremo.
Intervista di Roberto Borghi