Con la loro agenzia ‘China Files’ Simone Pieranni e un gruppo di altri giovani giornalisti appassionati di culture orientali scrivono reportage da Pechino per diversi giornali italiani. “La lingua ci mette al riparo dalla censura”, dice Pieranni. “Al potere interessa che siano i cinesi a non accedere a certe informazioni”.
Per la Cina ufficiale l’anno appena congedato è contraddistinto dal segno ‘Meng’ che corrisponde alla parola ‘sogno’. Per la Cina del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, studioso e poeta condannato a undici anni di carcere per sovversione, la parola più vicina al 2012 e agli anni precedenti è probabilmente ‘incubo’. Nel tumultuoso ribollire politico di quello che una volta, con malcelato razzismo, veniva denominato ‘continente giallo’, la questione delle libertà fondamentali della persona diventa sempre più assillante e ineludibile. Tant’è che proprio durante la prima decade di questo mese una pattuglia di temerari giornalisti cantonesi, redattori del Nanfang Zhoumo (Settimanale del Sud), ha scioperato per “la libertà di stampa” e “il rispetto della Costituzione e la democrazia” minacciate dal severo e potente ras locale, Tuo Zhen, che non permette venga messo in discussione il potere del partito sotto la fresca guida di Xi Jinping, salutato dai media e dagli osservatori internazionali come leader moderato e moderno.
L’articolo integrale è sul mensile ‘Prima Comunicazione’ n. 435 – Gennaio 2013