Luca Telese è un fiume in piena, racconta, evidenzia, affabula, convoca testimoni, risponde al cellulare, fissa appuntamenti. Gli occhi spiritati e la parlantina logorroica di chi ha fatto il pieno di allucinogeni e invece sta vivendo la vigilia adrenalinica del debutto di un giornale, che solo chi l’ha vissuta può sapere che al mondo non c’è droga più esplosiva
Alle cinque del pomeriggio di mercoledì 5 settembre Lui mi dice al telefono tutto d’un fiato “vieni in redazione alle sei così parliamo e se io tardo beh giri guardi ascolti”. Arrivo alle sei e un quarto (mica mi freghi!) al secondo piano di Lungotevere Mellini 10. La porta è aperta, c’è odore di pittura fresca e di Ikea. L’ingresso sembra un autobus nelle ore di punta, è pieno di gente, questuanti che aspettano di poter essere ammessi al Suo cospetto. Chiedo del Direttore. “Lo aspettiamo anche noi”, mi dicono già con le ragnatele che si allargano. Qualcuno si accascia al suolo, qualcun altro addenta una merendina. Mi dirigo dove sento vociare, una stanza, un’altra, tutte vuote. Uno stanzone che per attraversarlo dovrei chiamare un taxi, questo è riempito da una trentina di persone che con matita e notes pendono dalle labbra di un guru, il quale spiega loro il funzionamento e le magiche virtù del sistema editoriale più fico del mondo. Ma nel mucchio Lui non c’è, non mi pare che ci sia. Avanzo. Trovo una stanza con un tavolo e sei persone che lottano per posarvi il proprio computer. “Cerca Lui?”. “Sì”. “Provi nell’ultima a sinistra”. L’ultima a sinistra è senza mobili, due ragazzi stanno scrivendo furiosamente seduti in terra. “Lui qui non c’è, il suo ufficio è in fondo a destra”.
Esco. Mi sento abbracciare le spalle, “eccomi, eccomi, vieni con me”. È Lui, in maniche di camicia bianca arrotolate, il baffetto sghembo, un mix fra Clark Gable e Topo Gigio (lo conoscete, chissà quante volte l’avete visto in tivù), gli occhi spiritati e la parlantina logorroica di chi ha fatto il pieno di allucinogeni, invece sta vivendo la vigilia adrenalinica del debutto di un giornale, che solo chi l’ha vissuta può sapere che al mondo non c’è droga più esplosiva.
Non molla la presa spingendomi attraverso un girone infernale dove tutti corrono, scrivono, scrivono correndo, bevono, telefonano, telefonano bevendo, spingono, interrogano, rispondono, cliccano. Lui parla con tutti, con tutti perché è un sacco democratico e non ha figli e figliastri, risponde a tutti ma a tutti insieme e così qualche volta si confonde e a B dà risposta alla domanda di A, a C alla domanda di D. Ma non importa, basta saper sfilare dal mazzo quella giusta.
Io devo essergli particolarmente simpatico oppure ci tiene molto che Prima racconti la sua storia e quella della sua nuova creatura, perché lo tsunami nel quale ci muoviamo non lo scolla da me di un centimetro e rimarremo così, avvinghiati in un tàªte-à -tàªte dialettico (sottolineo dialettico) per quasi tre ore. Beh, dialettico non è il termine giusto, Socrate non si sarebbe divertito affatto ad ascoltarci, perché la dialettica presuppone innanzitutto due interlocutori e noi invece eravamo uno: Lui. I miei inserimenti erano rari, volutamente e comodamente rari: cosa c’è di meglio, per un intervistatore, di un intervistato che si fa domande e si dà risposte non marzulliane ma saporite?
Lui è un fiume in piena, racconta, evidenzia, affabula, convoca testimoni, risponde al cellulare, fissa appuntamenti. Se prende fiato l’evento è così straordinario che tutti tacciono e si crea una bolla di silenzio improvvisa e surreale come quando si interrompe la pellicola di un film.
“Li vedi questi ragazzi? Tutti giovani cazzuti di estrazione diversa, vengono dall’Unità dal Fatto da Liberazione dal Riformista dal Manifesto ma anche dal Giornale. Senti Stefania Podda… Stefania, digli perché sei qui”.
“Sono andata via da Liberazione perché dopo Sansonetti c’è stata una stretta politica inaccettabile, o ti adegui o scendi. Io avevo voglia di lavorare in un giornale senza ideologie, come questo”.
Pubblico un giornale senza ideologie: ma sarà vero? Il suo fondatore e direttore arriva a Lungotevere Mellini attraverso un percorso lastricato di ideologia. Alla semplice annotazione, Lui trasale. “La mia storia è chiara adesso te la racconto dall’inizio così capisci”. (Il gruppetto appizza le orecchie). “La famiglia, senti la mia famiglia. Mamma Giovanna insegnante di francese femminista convinta, papà Francesco professore di matematica e fisica di Torre Annunziata otto fratelli infanzia povera e figlio della povertà . Nonno Felicio che doveva chiamarsi Felice ma l’ufficiale dell’anagrafe era un po’ sordo scaricava sacchi di grano in un mulino e siccome era bravo salì di grado diventando assaggiatore sì perché allora la qualità del grano si stabiliva attraverso il giudizio degli assaggiatori. Mio padre andava in giro con le pezze al culo ma non per modo di dire aveva proprio i pantaloni con la toppa di cuoio dov’erano consumati. Comunista fino al midollo che quando andavo alle riunioni della Fgci mi diceva con gli occhi lucidi ‘mi prometti che starai attento?’. Mi iscrissi alla federazione dei giovani comunisti a 14 anni solo perché prima non era consentito. Io figlio unico che cos’altro poteva riservarmi la sorte secondo te? No no aspetta aspetta il seguito. Studio al liceo Visconti a 18 anni nell’88 prendo la tessera del Pci. L’ultima. Perché l’ultima? Perché mio padre era iscritto al Pci che aveva i calzoni corti e Gianni Rodari raccontava le favole ai bambini nelle sezioni e alle Frattocchie si andava per sentire le lezioni di Lucio Villari e di Giancarlo Pajetta magari un po’ bollito ma sempre Pajetta. E poi? Poi è diventato il partito di Occhetto D’Alema e zio Walter. Capito perché si è impantanato il comunismo in Italia? Capito chi sono io?”.
Lo squillo del cellulare lo stoppa. Adesso, mi dico, appena finisce la telefonata gli piazzo queste belle domande: hai preso tutta gente di sinistra, quindi vuoi fare un giornale di sinistra, sono loro i tuoi lettori, no? Ma Repubblica ha fatto il pieno, Il Fatto ha acchiappato gli scontenti, L’Unità i fedelissimi al partito, i gruppuscoli se li dividono Il Manifesto e Liberazione non so dove andrai a pescare e che lenza userai per farlo. Poi gli chiedo…
“Scusa, era mia moglie. Una donna fantastica. Sai come ci siamo conosciuti e come ci siamo messi insieme? Oh, Luca vieni ti presento Franco Recanatesi. Luca Sappino è un esempio di come ho creato questa redazione niente nepotismi niente favori entra chi è bravo chi ha passione chi ha titoli. Racconta a Franco la tua storia che è anche emblematica di quanto dicevo prima racconta”.
“Il 20 gennaio scorso entro in una birreria alla moda di via degli Specchi, il Baladin, e chi ti vedo? Bersani seduto a un tavolino, da solo, con un boccale davanti che stava scrivendo. Occhieggio: scriveva il discorso che di lì a poco avrebbe tenuto di fronte al comitato politico. Di nascosto faccio una foto e la posto su Twitter con la didascalia: ‘Cercasi compagno di birra’. Si scatena il web, non ti dico quanti commenti. Luca l’ha visto e mi ha chiamato”.
“Per forza, uno così è giornalista nato. Ti dicevo di Laura la mia compagna, Laura Berlinguer l’ultima figlia di Enrico, lo stesso nome che abbiamo messo a nostro figlio. Non le chiedono mai se sia la compagna di Telese caso mai se è sorella di Bianca. Certo che è sorella di Bianca e anche di Marco che ora lavora qui con noi. Marco non è un esempio di nepotismo è un esempio di meritocrazia. Questo è il giornale del cambiamento contro la crisi che in cinque mesi ha stravolto il Paese. Vogliamo restituire valore a due qualità dimenticate il merito e il talento. Il nostro sarà il giornale dei primi e degli ultimi. I primi sono il motore del Paese vale a dire gli insegnanti gli infermieri gli operai i dipendenti pubblici che sgobbano e campano con 1.300 euro al mese. I primi sono l’ostetrica di Bagnacavallo che per prima ha praticato il parto in acqua dopo essere andata a studiarlo in Russia a proprie spese e Gianluca Rana figlio del re del tortellino che ha portato l’azienda al primo posto delle vendite alimentari in Spagna. Gli ultimi sono quelli spallati dalla crisi e giuro che una delle prime cose che farò con l’uscita del giornale sono le biografie dei piccoli imprenditori che si sono suicidati nel Veneto. Queste sono le storie che raccontano l’Italia storie di gente comune. Dei soliti noti ci occuperemo ma in maniera per niente agiografica chi merita avrà spazio a chi non merita giù botte. Per esempio Fassino. A Torino ha chiuso dieci asili e li privatizza ma non lo scrive nessuno. Pubblico queste cose le scriverà . E ai politici daremo le pagelle ogni giorno come fanno i giornali sportivi con i calciatori”.
Una solerte segretaria bionda di nome Luana, assunta perché incontrando Lui gli ha detto “te lo spiego io l’articolo 18, sono stata appena licenziata”, lo supplica di concedere qualche minuto a un giovanotto sull’orlo del collasso che aspetta da sei ore e un quarto, Lui si apparta per minuti tre, offrendomi il tempo per elaborare altre domande. Voglio sapere tutto sulla composizione societaria, sul piano economico, sulle previsioni di vendita. E voglio chiedere a Lui quale atteggiamento terrà Pubblico sul governo Monti e anche…
“Eccomi. Era uno dei tanti. Mi ha lasciato il curriculum ne ho altri trecento ma li leggo tutti proprio tutti L’Italia è ridotta così c’è fame di lavoro. Ma il risultato peggiore è che la gente sembra in catalessi. Prepensionamenti, mobilità tagli di stipendio e neanche una manifestazione. Le tagliano il collo e fanno spallucce. E il Pd che fa? Pensa alle primarie. Anzi il vecchio politburo si ricompatta per fare scudo contro la pulce Renzi ma che s’è messo in testa ‘sto ragazzino! Peggio dei tempi di Craxi. Guarda qua questo è il timone del giornale in prima sempre una grande immagine che può essere anche un disegno o una foto elaborata da Manolo Fucecchi che mi ha seguito dal Fatto e che rappresenta la visionarietà del racconto. Fucecchi sarà l’autore di un’altra grande novità di Pubblico una storia a fumetti su un’intera pagina. Te l’ho detto di Cossiga? Ah ecco Mariagrazia questa la devi sentire è troppo bella. Mariagrazia Gerini, ex Unità , senti…
“Era la fine di luglio, il caso Lusi riempiva le pagine dei giornali. Vengo a sapere che il Comune di Genzano farà un sopralluogo nella famosa ma ancora misteriosa villa. Mi confondo nella commissione, nessuno mi nota. Scatto tantissime foto: i bagni con i rubinetti d’oro, il salone, il campo di calcetto termoriscaldato, tutto. Vado da Luca perché ho già deciso di traslocare a Pubblico, gli faccio vedere il reportage e mi dice ‘tienilo in cassaforte, quando il 18 settembre usciamo lo spariamo’. Rispondo no, non è serio, sono ancora all’Unità , le foto devo darle a loro. Gliele porto ma non vengono pubblicate. Poi esce il Corriere della Sera e il servizio è bruciato”.
“Hai sentito Mariagrazia? Ecco cos’è diventata L’Unità non un giornale del Pd ma della sua segreteria. Dopo Concita De Gregorio ha perso 15mila copie. E anche fra quei 15mila andremo a pescare noi. E fra gli incazzati che fuggono dal Fatto dopo l’accostamento del giornale a Grillo più maldestro di quello di Schettino all’isola d’Elba. E fra le decine di migliaia di lettori che stanno prendendo le distanze dai giornali baciapile di Monti e dei suoi guastatori. E fra i precari che se non hanno i soldi per comprarci ci faranno tam-tam su Twitter che è una bella pubblicità . E fra gli under trenta. No non ce l’ho con Il Fatto, è stata una bellissima avventura, tre anni indimenticabili. Ma poi la mission del giornale è finita caduto Berlusconi doveva passare dalla protesta alla proposta e invece si è incartato. La redazione si è chiesta ora cosa facciamo? Niente ha risposto Travaglio che a guerra finita continua a mozzare le teste ai cadaveri e dopo avere speso anni a combattere un imprenditore televisivo decide di mitizzare un comico. Niente?! Altro che niente ora bisogna costruire. Insomma… Sì, scusa… Pronto? Oh, Marco… no, ora sto facendo un’intervista, ti chiamo io più tardi… Ah, Cossiga: è stato lui a farmi mettere con Laura. Collaboravamo tutti e due al programma ‘Cronache marziane’, andammo da Cossiga per convincerlo a intervenire, ci prese in simpatia e un giorno disse a Laura ‘o ti metti con Luca o ti metti col mio medico’. Dovette scegliere me. Accadde nove anni fa. Ho avuto un culo pazzesco. Vuoi che andiamo nel salone a sentire la riunione di redazione? No? Allora guardiamo le prove. Questa è una copertina foto grande e in basso c’è sempre un corsivo satirico di Francesca Fornario. Questa è la rubrica ‘I babbioni del giorno’ c’è Bruno che resiste a ogni tempesta la stiamo mettendo a punto. Faccio un attimo una telefonata”.
Altra bolla di silenzio, si fermano per un attimo anche le dita sulle tastiere. Resetto i pensieri. Cercherò di portare il discorso sul Suo ego extralarge e sulle Sue attese, poiché leggendo alcune interviste ho colto frasi come “Pubblico sarà il centro studi del cambiamento e della costruzione delle idee”, “sarà la voce dei giovani contro la casta dei sessantenni”, “cambierà l’agenda di sinistra”, “ho una discreta considerazione di me”, “il mio talento è stato premiato” e via pavoneggiando. E poi voglio chiedere a Lui come trova il tempo di girare l’Italia per presentare Pubblico, curare il blog del suo sito, scrivere per il sito di Pubblico (da non perdere gli articoli sulle porno-carriere parallele di Sara Tommasi e Silvio Berlusconi e il racconto alla Cederna del 2 giugno nei giardini del Quirinale), postare messaggi e articolini su Twitter, rispondere su Facebook, preparare i numeri zero, dare disposizioni ai redattori assunti, incontrare gli aspiranti redattori, apparecchiare la nuova edizione di ‘In onda’ che comincerà a giorni su La7, presentare e scrivere libri, mangiare, dormire, magari anche… Non faccio in tempo a completare il pensiero che una nuova morsa mi afferra le spalle.
“Ti presento Fabio Luppino lo devi conoscere è il numero due del giornale caporedattore ex Unità laziale… Ah, vi conoscete? Se ti racconto come ci siamo incontrati… Nel 2003 con una recensione al veleno stroncò il mio libro sulla storia di Cofferati ‘La lunga marcia’ lo chiamai al giornale e gli dissi ‘ma come ti permetti?’ da allora siamo diventati amici. Fabio mi passi quelle pagine? Guarda la grafica non è una meraviglia? Pulita, ariosa, moderna”. (In verità è molto bella, così come hanno un grande appeal i disegni e i fumetti di Fucecchi). “L’ha disegnata lo studio Alberto Valeri che recentemente ha rifatto il maquillage al Tempo facendolo sembrare di nuovo un giornale. Bravissimi. Il rombo della testata ricorda Libération è vero anche se il nostro anziché un semplice rombo è una bandiera. Ero a Parigi nel maggio scorso quando per le strade festeggiavano Hollande e i giovani avevano tutti in mano quel giornale. Mi è rimasto negli occhi, poi ci abbiamo scritto sopra Pubblico ma è stata una decisione degli ultimi giorni. In ballottaggio c’erano due testate Il Corsaro e Pubblico. Qualcuno diceva che la prima era troppo sbarazzina qualcun altro che la seconda somigliava troppo a Repubblica. Poi quel disgraziato di Stefano Castellini viene a parlarmi gli dico per ora non scrivere niente ma da buon giornalista mi frega e anticipa tutti sul Messaggero però dando per scontato che il giornale si sarebbe chiamato Pubblico. Decidemmo che fosse la scelta migliore perché riflette la nostra idea che dalla crisi si esce né con lo statalismo né con la privatizzazione ma privilegiando l’interesse comune. Adesso nel salone è in corso la lezione sul nuovo sistema editoriale una bomba si basa sul principio del cloud, nuvola, cioè i dati non sono in casa tua ma in una casella di Internet tutto viene immagazzinato in qualsiasi posto ti trovi puoi aprire il tuo computer e lavorarci su e nulla potrà mai perdersi. Geniale quelli della Gmge di Milano hanno trovato una formula geniale i ragazzi sono quasi pronti lunedì facciamo il primo numero zero”.
Se me ne desse il tempo vorrei esprimere qualche perplessità : questo sembra un appartamento in vendita, ripittato e moquettato ma quasi vuoto. Quel poco di arredamento è, come sospettavo dall’odore, made in Ikea, tutto legno e gambe avvitate, tavoli e tavoloni sono fatti con i ripiani da cucina perché costano di meno. Ah, i costi. Non schiodo da qui se Lui non mi parla dei costi del giornale.
“Sinistra, sinistra… tutti ci aspettano col fucile puntato: sarete uno dei tanti giornali della sinistra. Prima di tutto i giornali di sinistra hanno perduto nell’ultimo anno qualcosa come 40mila copie che qualcosa vorrà pur dire. Quindi o sono fatti male o hanno tradito la causa. In secondo luogo ti ho già detto che la mia storia parte da sinistra ma dopo… E trinariciuto non sono mai stato. E poi non ti ho detto tutto. Dopo essermi svezzato al Messaggero con una borsa di studio e a Sette grazie a santo Andrea Monti e al Corriere della Sera precario con Maria Grazia Cutuli quando ancora il Corriere era un luogo sacro dove c’erano i fattorini orizzontali che non facevano le scale e quelli verticali che invece correvano su e giù per i piani un giorno approdo al Giornale sì il quotidiano di Berlusconi. Belpietro mai conosciuto mi dà appuntamento al Plaza per dirmi che gli sono piaciuti i miei pezzi su Sette e d’accordo con Cervi vorrebbe portarmi nel suo giornale. Gli ricordo che sono comunista e lui ribatte che proprio per questo mi stanno facendo l’offerta ‘noi vogliamo che ci racconti la sinistra e non toccheremo mai un tuo pezzo’. È stato così non ci crederai ma è stato proprio così. Chiesi una sola garanzia non fatemi mai scrivere di Berlusconi. Quando scoppiò il caso Cofferati difensore dei diritti dei lavoratori che faceva il cottimista proposi a Belpietro di fare un bel ritrattone di un uomo di cui sapevo tutto perché avevo fatto anche l’ufficio stampa di Rifondazione da cui fui cacciato a calci nel culo e coperto di insulti dai figli di Cossutta. Belpietro ascolta e fa ‘non un pezzo fammi quattro puntate’. I lettori protestavano scrivevano ‘basta apologia di quel rosso!’. Ma le copie crescevano ne arrivarono 10mila in più. Belpietro si fregava le mani e io giunsi alla trentaduesima puntata. Secondo il ‘Barbiere della sera’ Berlusconi aveva scelto il suo avversario. Boh a me interessava poco io facevo il mio mestiere e basta. Senza ideologie come sempre. Adesso poi… Quando tre anni fa fondammo Il Fatto c’era una ragione, c’era un nemico, ora chi è il nemico? E che cos’è la sinistra? Ci sono due sinistre sbagliate una che non ha capito il denaro l’altra che dal denaro si è fatta comprare. Non hanno raccolto la lezione di Obama che ha vinto con i portoricani. I portoricani d’Italia sono i precari gli esodati gli operai che salgono sulle torri e si barricano nelle miniere. E la sinistra che fa? La sinistra di oggi è composta da ex senza identità . Cosa fanno i politici? Hanno di fronte tre emergenze lavoro diritti precarietà . Non sanno o non vogliono affrontarle. E il governo dei tecnici che dovevano essere il meglio e si stanno rivelando il peggio? Mi si accappona la pelle quando a 350mila persone esodate cioè senza destino il ministro risponde ‘non siamo mica chiamati a distribuire caramelle'”.
Terza bolla di silenzio. È calata la sera, corro a fare pipì ruminando una nuova, inutile strategia. Al ritorno Lui mi precede. “E poi i politici se la prendono con i giornalisti. O con i magistrati. Che se non esistessero loro le inchieste chi le farebbe e le porcate come verrebbero alla luce? Anche se poi qualche giornale tratta Napolitano come fosse Totò Riina e qualche altro anzi quasi tutti esaltano la ‘sobrietà ‘ dei ministri e la santità del governo in loden. Per me il giornalismo è quello che mi hanno insegnato maestri come Merlo e Monti il giornalista è quello che ti obbliga a leggerlo o ad ascoltarlo. Io non posso fare a meno di sentire Bordin su Radio Radicale Santoro pur con tutte le sue gigionate Formigli nostro collaboratore che non è un clone di Santoro come qualcuno crede. Non posso fare a meno di leggere Scalfari nelle sue riflessioni domenicali dove c’è il mondo né Filippo Ceccarelli che ho invitato a tenere un forum con la mia redazione sul valore e la tecnica dell’archivio né Fabio Martini traduttore politico della Stampa né l”Amaca’ di Serra, né Feltri né la cattiveria del Giornale né Stella che scopre il verminaio della spesa pubblica. A proposito di spesa, sai quante copie dobbiamo tirar su per coprire i costi? 10mila. Che faccia fai ti sembrano poche? Ti chiamo Tommaso Tessarolo il nostro ad è l’uomo dei conti… Pronto Tommaso ti passo Recanatesi digli se è vero che con 10mila copie siamo in pari”.
“Buonasera Recanatesi. In realtà ne bastano anche meno di 10mila. Non posso darle le cifre esatte, ma le dico che il giornale costerà 6 milioni l’anno comprese le spese di diffusione: al prezzo di un euro e cinquanta a copia per 361 giorni fanno 5,4 milioni, mezzo milione verrà dalla pubblicità , il resto dagli abbonamenti. Naturalmente il piano economico prevede l’ottimizzazione di tutte le spese, una redazione agile con venti redattori, solo tre centri stampa a Roma, Milano e in Sardegna. In questo la crisi ci ha aiutato”.
“Grazie Tommaso Franco non ci credeva. Partiamo con 750mila euro di capitale quattro quote da 100mila euro tra cui quelle mia e di Tessarolo gli altri 350mila frazionati fra tante persone compresi alcuni redattori che invece di sputtanarsi i 5 o 10mila euro in un bel viaggio hanno preferito investirli nel giornale. Certo dovremo stare attenti a mantenere la linea di galleggiamento programmata per dirne una il budget per le trasferte non dovrà sforare i 50mila euro… Ah, eccolo qua, questo è Marco Zerbino l’ho assunto dopo aver letto il suo curriculum è pure bello… Allora Marco domani parti per Torino raccontami la Festa della Fiom le storie i personaggi dacci dentro. Franco lui è Francesco Corridoni l’ho incontrato al Bambin Gesù gli avevano ricucito per la quarta volta il cuore soffre di malformazioni fin da piccolo mi ha riconosciuto e mi ha confessato che il suo sogno è stato sempre quello di fare il giornalista è di destra votava An ma è una forza della natura l’ho preso e il suo stipendio pesa poco perché per i portatori di handicap c’è un forte sgravio fiscale ma sembra che i giornali questo non lo sanno. Fabio, dobbiamo rivedere il timone per il numero zero di lunedì. Pronto? Carissimo non mi disturbi affatto! Certo che possiamo vederci…”.
Franco Recanatesi