‘Myself’ ha fatto centro in edicola raccontando con tono positivo e coinvolgente la vita di donne superimpegnate tra lavoro e famiglia ma anche decise a prendersi cura di sé.
Preceduto da una mega ricerca, annunciato come il femminile che ancora non c’era, un giornale per donne adulte, dai 35 anni su su fino ai 50 e passa, sostenuto da una campagna di comunicazione da 8 milioni di euro, lo scorso 25 ottobre Myself ha spento la prima candelina. E dire che alla Condé Nast sono soddisfatti è un eufemismo. “Dopo l’uscita del quarto numero abbiamo fatto una ricerca per capire quanto piacesse alle lettrici. La risposta è stata al di là di ogni aspettativa: consenso praticamente su tutta la linea”, racconta Roberta Battocchio, vice president group marketing director. Eppure il successo non era così scontato e qualcuno aveva giudicato un azzardo la decisione dell’amministratore delegato di Condé Nast, Giampaolo Grandi, di anticipare all’ottobre 2011 l’uscita di Myself (inizialmente prevista per il 2012) per non perdere quel momento e quel target magico tratteggiato dalla ricerca di Eurisko: circa 5 milioni di donne dai 30 ai 54 anni in cerca di un femminile di riferimento, donne appartenenti alla classe medio-alta e con un’istruzione superiore, capaci di giostrarsi tra lavoro e famiglia e sanamente decise a tenersi un po’ di tempo per sé e per i propri piaceri, dotate di autostima, tendenti a un rapporto di coppia evoluto anche con un pizzico di salutare autoironia, munite di buon portafoglio e veri decisori delle spese (e dei risparmi) propri, della coppia o della famiglia.
Adesso i risultati gli danno ragione: tra i mensili femminili generalisti Myself è al secondo posto e tallona Glamour (sempre di Condé Nast) con una diffusione Ads che, per il mese di agosto, indica 258.422 copie (+9% su luglio), di cui 35mila in abbonamento e 2.465 distribuite gratuitamente a vario titolo. Non c’è dubbio che anche la campagna di lancio, intensa e ben articolata fra tivù e punto vendita, stampa e web, abbia fatto la sua parte. “Quando un giornale ha tanti aspetti di novità come Myself non basta comunicare tanto e bene, è necessario metterlo nelle mani delle sue potenziali lettrici perché se ne rendano conto in prima persona. E il prezzo di copertina a 1,50 euro è stato utilizzato come strumento di fidelizzazione”, spiega Battocchio. “Myself ha dato risultati interessanti anche nella grande distribuzione dove vende il 15% delle copie; mentre il 20% del venduto è nel formato pocket”.
Un anno di vita, soprattutto un anno durissimo per la raccolta pubblicitaria come il 2012, è già sufficiente per fare un bilancio sull’attrattiva che Myself esercita sugli investitori. “Molti inserzionisti hanno subito percepito gli aspetti innovativi di Myself, a partire dal target e dalla scelta di dare uguale peso a tutte le sezioni”, sottolinea Battocchio. “Samsung, cioè un’azienda tecnologica, categoria solitamente abbastanza lontana dai femminili, è il terzo inserzionista dopo Chanel e Max Mara. Con il mondo del beauty l’intesa è stata immediata, abbiamo realizzato partnership importanti e continueremo a farlo. Anche l’arredo, che pure è in un momento di riduzione degli investimenti, è presente con brand molto qualificati. Il mondo della moda all’inizio è stato a guardare, però adesso sta salendo a bordo: a fine 2012 contribuirà al fatturato per il 40%, percentuale destinata a crescere il prossimo anno. Complessivamente Myself ha superato di circa il 30% il budget previsto per il primo anno e per il 2013 pensiamo a un aumento di fatturato del 15%”.
Raccontato così, con quella mole di ricerche e quella imponente campagna promozionale, Myself potrebbe sembrare un giornale concepito in vitro. Insorge il direttore Valeria Corbetta: “La ricerca è stata fondamentale per capire a che punto erano le donne. Poi, come sempre, per fare un giornale ci vogliono talento e pancia”.
Prima – Lei aveva già progettato e diretto due mensili femminili, Glamour nel 1994 e Flair nel 2001. Poi, tornata in Condé Nast nel marzo 2007 come direttore dello sviluppo editoriale e in seguito anche direttore di Traveller, si è presa una pausa. Che panorama si è trovata di fronte quando ha cominciato a lavorare a Myself?
Valeria Corbetta – È stata una pausa rigenerante e molto utile, mi ha permesso di guardare ai femminili da un punto di vista diverso e anche di accogliere in modo meno narcisistico alcune indicazioni che venivano dall’esterno e dall’editore. In realtà quando ho cominciato a progettare Myself, all’inizio del 2011, in edicola ho trovato un panorama sostanzialmente immutato per i mensili e con un’unica novità , Tu Style, nei settimanali.
Prima – È stato un bene o un male?
V. Corbetta – Né l’uno né l’altro. L’esperienza di Myself è stata diversa da tutte le altre. La grande ricerca che è alla base del giornale, una ricerca intelligente e approfondita, ci ha aiutati a comprendere come stanno cambiando le donne, cosa pensano e cosa vogliono, cosa le diverte e cosa non sopportano più. Naturalmente era solo il punto di partenza, ma è stato un modo per ridare una totale centralità alla lettrice. Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, ai miei primi anni nei femminili quando si aveva un’idea precisa delle donne a cui si parlava.
Prima – Vuol dire che poi questa idea la si è persa per strada? Gli editori mica hanno smesso di fare ricerche.
V. Corbetta – Dico, con un po’ di polemica, che spesso nelle ricerche e nei focus group le donne esprimono dei pareri, danno dei giudizi, manifestano delle emozioni di cui poi non si tiene conto. Nel caso di Myself questo errore non è stato fatto.
Prima – Parlava anche di talento e pancia indispensabili per fare un giornale.
V. Corbetta – Prima di progettare Myself ho letto libri, sfogliato femminili di tutto il mondo, guardato trasmissioni in tivù, discusso con il resto del gruppo di lavoro. Quello che ne è uscito è la parte viva, calda, del giornale, che poi ho razionalizzato in una lista dei valori che volevo ci fossero assolutamente.
Prima – Prego, elenchi.
V. Corbetta – Al primo posto c’è l’empowerment, che è qualcosa di più della valorizzazione: è il riconoscere il valore sociale delle donne, la loro capacità di stare e fare su più piani. È un tema di cui in redazione abbiamo parlato moltissimo, in tutti i suoi risvolti. Ad esempio uno dei leitmotiv del giornale è: siamo stufe di essere perfette. A un certo punto ci siamo chieste se fosse un approccio vecchio, superato. Invece non è così, è uno dei temi che più interessano. Nella lista poi ci sono: piacevolezza, meno stress, humour. Quando prepariamo un servizio tutti questi elementi devono sempre essere presenti.
Prima – Il Myself italiano è uscito cinque anni dopo quello tedesco, che è un femminile di grande successo. Le è stato d’ispirazione?
V. Corbetta – Dell’edizione tedesca ho mantenuto il peso uguale dato alle singole sezioni, che sono sette, perché mi sembrava un’ottima idea. Poi in comune abbiamo quello che già dicevo: la centralità della lettrice.
Prima – E anche un taglio pragmatico e degli aspetti che abitualmente si definiscono di servizio.
V. Corbetta – Attenzione: Myself non è un giornale pratico o di servizio! In Italia si ragiona sempre in termini contrapposti d’immagine e di servizio. Myself, vivaddio, è uscito da questa gabbia. Ha un’immagine estremamente curata, belle foto, ottimi fotografi e contemporaneamente molta concretezza.
Prima – In copertina, sopra la testata, c’è scritto: ‘Il giornale che parla di te. Con te’. È la vostra dichiarazione d’intenti, come la mettete in pratica?
V. Corbetta – Affrontiamo i temi di attualità partendo da storie personali; diamo valore a tutte le dimensioni della vita delle donne, con molto spazio per quella professionale; usiamo l’ironia e l’autoironia; sulla moda facciamo un lavoro giornalistico importante: fotografiamo solo capi che si trovano davvero nei negozi e hanno un ottimo rapporto qualità prezzo, perché parliamo a donne che magari si concedono un capriccio e anche un lusso ma hanno la responsabilità dei consumi della famiglia; nella bellezza diamo le informazioni che interessano davvero sui prodotti, e pure sulle tendenze perché tutte ci divertiamo a scoprire cosa c’è di nuovo; facciamo una cucina molto sexy, ma con ricette veloci, bilanciate e con ingredienti di qualità .
Prima – Parlate parecchio anche di uomini.
V. Corbetta – Eccome. Lo facciamo nella sezione Passioni, più chiaro di così… Agli uomini ogni tanto diamo anche la parola, vengono fuori cose interessanti. Per dire, abbiamo fatto un servizio sul ‘matrimonio diesel’, cioè su quegli aspetti di continuità e di tenacia nella relazione di cui non si parla mai. È un modo eccentrico di parlare di uomini e di donne, e ci piace farlo.
Prima – Condé Nast ha uno standard di prodotto molto alto, però Myself è nato in un momento in cui tutti gli editori avevano già stretto i cordoni della borsa. C’è qualcosa a cui ha dovuto rinunciare sul prodotto o sulla redazione?
V. Corbetta – Sul prodotto sono stati fatti tutti gli investimenti necessari. E continuano: ad esempio c’è un percorso di crescita nella scelta dei fotografi, che per noi sono molto importanti perché vogliamo produrre i servizi, e anche le copertine, con il nostro stile. In quanto alla redazione, in questi ultimi anni non c’è nuovo giornale che non abbia dovuto fare i conti con una sostenibilità dei costi diversa da prima. Le redazioni sono più piccole e non ci si può permettere di sbagliare la scelta delle persone. A Myself siamo in tredici, più la segretaria di redazione, cinque collaboratori a contratto e l’art director Ian Knowles come consulente. E ho un ottimo gruppo di vertice: il vice direttore Rossella Venturi, con cui avevo già lavorato a Marie Claire, è espertissima di femminili e ha un occhio molto acuto sull’attualità ; con il caporedattore centrale Chiara Alpago-Novello lavoro da una vita; la fashion director Pina Gandolfi invece non la conoscevo, me l’hanno segnalata ed è stato colpo di fulmine; il caporedattore bellezza, Paola Gervasio, l’ho scelta perché trovavo interessante il lavoro che aveva fatto a D di Repubblica.
Prima – Mi sbaglio o sul web Myself ha ancora una presenza ridotta?
V. Corbetta – Myself ha un canale all’interno di Style.it e sì, è vero, sul web c’è ancora molto da fare. Negli ultimi mesi ci abbiamo ragionato parecchio, ora lo sviluppo lo faremo assieme a Marco Formento, che è appena arrivato in Condé Nast proprio per occuparsi a 360 gradi dei nostri brand.
Intervista di Dina Bara