I giornali fanno troppo poco sul mobile? Vento (Dshare) risponde a Benton (Nieman Lab)

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Gli editori di giornali non si impegnano abbastanza sul mobile, in particolare sugli smartphone, che sono il vero mezzo del futuro. Lo sostiene Joshua Benton, fondatore e direttore del Nieman Lab dell’Università di Harvard, uno dei più accreditati progetti di ricerca americani sul futuro del giornalismo, in un’intervista pubblicata da Next, il magazine del quotidiano francese Liberation (si può leggere la traduzione italiana su Lsdi).

“Non c’ è una reale innovazione in termini di applicazioni, di design dei siti, di segnalazione delle notizie, non ci sono buoni mezzi per gerarchizzare gli articoli, non è emersa nessuna grammatica nuova”, dice Benton, riferendosi in particolare alla realtà americana. “È il settore principale in cui i giornali dovrebbero innovare, ma nessuno se ne interessa, o almeno non in maniera convicente. Si potrebbe paragonare tutto ciò all’epoca dei primi siti web: i giornali vedevano il loro sito web come una cosa complementare, mentre la carta restava il ‘vero’ prodotto. Oggi il mobile è visto come un complemento e il sito web come il vero prodotto. I siti mobili di alcuni giornali sono una vera vergogna”.

Joshua Benton, fondatore e direttore del Nieman Lab dell’Università di Harvard

Una critica fondata o una lettura troppo pessimistica della situazione? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Vento, che con la sua Dshare produce applicazioni per tablet e smartphone per molti editori di quotidiani sia in Italia che negli Stati Uniti.

“In linea generale Benton ha ragione quando dice che gli editori dovrebbero credere di più nel mobile, negli Stati Uniti come in Europa”, risponde Vento. “Lo dimostra l’evoluzione prospettica del mercato dei dispositivi in mobilità: le stime del Cisco Visual Networking Index parlano di un tasso di crescita annuale del 70% fino al 2017, quando il traffico dati verso mobile sarà dieci volte maggiore che nel 2012. E traffico dati significa fruizione delle app, dei servizi e dei contenuti per mobile. Ci vogliono quindi nuove idee, nuovi modelli di fruizione, in discontinuità con il paradigma tradizionale della pubblicazione di contenuti con gerarchie prestabilite. Lo dice sempre Benton, che però mi delude perché da una parte è molto severo con gli editori che accusa di scarsa lungimiranza, dall’altra è lui stesso a non suggerire paradigmi innovativi. E dal direttore di uno dei più importanti centri mondiali di innovazione nei media mi sarei aspettato qualche nuovo scenario di evoluzione, accanto alle critiche e alla semplice cronaca dei casi di successo di testate come il New York Times.

Alessandro Vento, amministratore delegato di Dshare

Secondo Vento, il direttore del Nieman Lab generalizza troppo raccontando uno scenario in cui nessuno – eccezion fatta per pochi player di grandi dimensioni – sta provando a trovare formule nuove. “Inoltre Benton tralascia due aspetti fondamentali”, prosegue Vento. “Il primo è che la bassa velocità di reazione degli editori ai cambiamenti del mercato è oggi – diversamente dal passato in cui probabilmente il problema era di effettiva visione prospettica – più legata ai problemi del momento, con il pavimento che sprofonda sotto ai piedi e la necessità di concentrare buona parte delle energie sulle soluzioni a breve anziché su quelle a medio-lungo termine. Dunque ci sono dei motivi concreti che vanno ben al di là della vision. Il secondo è che non è vero che non ci stanno provando. Benton ad esempio non cita casi che, proprio negli Stati Uniti, vengono dai ‘city newspapers’ che stanno puntando con decisione sulle app con servizi per vivere la città, per raccontare gli eventi e le notizie del lifestyle, offrendo un prodotto che coniuga la loro forte aderenza al territorio con la necessità di proporre contenuti e servizi più in target con gli utilizzatori del mobile e dunque con un paradigma più spostato sull’entertainment che sulle news tradizionali. Non cita, ancora, il progressivo impegno nel riposizionamento dai contenuti testuali a quelli multimediali che, anche in Europa, vede i publisher più attivi dei broadcaster nella creazione di nuovi prodotti digitali. Questo perché c’è l’idea che gli utenti del futuro saranno meno ‘lettori’ e più ‘spettatori’ e che video, immagini, infografica e audio conteranno sempre di più”.

“Da osservatore europeo posso senza dubbio affermare”, conclude il ceo di Dshare, “che per ogni editore americano che tarda a prendere l’onda ce n’è un altro che sperimenta, innova, spesso con risultati apprezzabili. Che ovviamente non hanno volumi di ricavo paragonabili a quelli degli anni d’oro della carta stampata. Ma con questo dovremo tutti comunque fare i conti. In definitiva sono meno pessimista di Benton” (C.C.)