Il diavolo e l’acqua santa

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Il gossip e i diritti civili, la politica e il rossetto, il reportage di guerra e l’intervista alla star di Hollywood: tenere insieme gli opposti con serietà e ironia è il modo di Vanity Fair di guardare al mondo. “Per un giornale è importante avere un dna forte, solo così trova un pubblico molto identificato e identitario che lo segue anche nella dimensione multimediale”, dice il direttore Luca Dini.

Luca Dini (foto Mattia Zoppellaro)
Luca Dini (foto Mattia Zoppellaro)

La cosa può stupire visto che ha fama di tipo pacato e per quanto possibile schivo, però c’è stato un momento, un paio di mesi fa, in cui Luca Dini si è davvero arrabbiato. Poco prima, l’8 maggio, era uscita la nuova versione di Vanity Fair, il settimanale che dirige. Un giornale diverso a cominciare dalla grafica e soprattutto dallo sfoglio iniziale, con la nuova sezione ‘Social Vanity’ che si prende un bel po’ di spazio e caccia più in là le pagine degli opinionisti che tradizionalmente aprivano il giornale con firme come Enrico Mentana, Gad Lerner, Daria Bignardi, Pino Corrias, Barbara Palombelli.
Fatto sta che nel suo blog ‘Caro direttore’ su Vanityfair.it Dini reagisce mandando senza perifrasi a quel paese quanti nell’ambiente giornalistico da qualche tempo strologavano sul perché e il per come di questi cambiamenti, etichettandoli come una virata verso il femminile classico infiocchettato con un po’ di gossip. Che Dini stia sotto i riflettori è comprensibile, visto che da sette anni sta seduto sulla poltrona di direttore del giornale fenomeno degli ultimi dieci anni, quello che ha aperto una nuova strada nel campo dei femminili, si è piazzato in testa alla classifica dei ricavi pubblicitari e non intende mollare la presa. Ma la vicenda non sarebbe degna di nota se Vanity Fair non fosse protagonista della più importante evoluzione multimediale a cui Condé Nast si sta dedicando, come raccontiamo nelle due pagine seguenti.

L’articolo integrale è sul mensile ‘Prima Comunicazione’ n. 441 – Agosto 2013