Ieri 22 ottobre, in un articolo apparso sulla Stampa, Gianni Riotta ha raccontato gli sviluppi più recenti del Datagate: il governo francese chiede ora chiarimenti per le 70 mila intercettazioni fatte dall’Nsa sul suo territorio. L’argomentazione di Riotta poi si estende ai due protagonisti dello scoop che ha reso nota al mondo la sorveglianza di massa operata dagli Stati Uniti: Edward Snowden e Glenn Greenwald.

Offriamo una ricostruzione dell’intera vicenda. Ecco i passaggi dell’articolo di Riotta, intitolato ‘Trasparenza contro il Far West’ che hanno dato vita alla polemica:
La campagna di Edward Snowden, ora rifugiato nella Russia di Putin a gestire la cassaforte di dati trafugata in Nsa, non è finita. L’ex giornalista del Guardian Glenn Greenwald è stato assunto dal miliardario Pierre Omidyar, fondatore della catena di aste online eBay, e il duo intende lanciare nuovi documenti, senza le precauzioni giornalistiche «old media» dei quotidiani, considerate obsolete. La filosofia di Greenwald e Snowden, condivisa dall’ex agente Kgb Putin e ora corroborata dalla ricchezza e diffusione digitale di Omidyar, è opposta a quella del giornalismo professionale, senza controllo delle fonti, ricerca dei motivi per cui certi documenti vengono diffusi, analisi delle conseguenze che la pubblicazione comporta, per esempio sull’antiterrorismo.
Nsa e Dgse negano di ascoltare il contenuto delle telefonate, o di leggere il contenuto delle e-mail sottoposte ad esame. Piuttosto disegnano la rete dei contatti, esaminano «chi chiama e chi scrive a chi e quanto spesso». Quando un numero o un’utenza mail infittiscono i contatti con centrali terroristiche, conosciute o sospettate, vengono pedinati online. Lo Stato, in America come in Europa, utilizza gli stessi algoritmi che i motori del web usano ogni giorno su di noi (paradossalmente eBay, che assume Greenwald come paladino della trasparenza, è pioniera di queste tecniche informatiche…). Ma quel che i cittadini perdonano a Google, Amazon, Facebook, Twitter, studiare e raccogliere i nostri gusti online, perdoneranno anche allo Stato? Secondo gli attivisti digitali, da Assange e Manning del caso Wikileaks, a Snowden e Greenwald del caso Nsa, no: Greenwald non ha obiezioni a lavorare per eBay ma combatte la sicurezza di Washington.
Hanno ragione i guerriglieri del web? Solo fino a un certo punto. Come ha detto il capo dei servizi segreti inglesi MI5, Andrew Parker, l’impresa di Snowden «è un regalo immenso ai terroristi». La rete del fondamentalismo, attiva dall’Africa, al Medio Oriente, gli Usa e l’Europa, utilizza gli stessi modelli analitici della polizia e, una volta dedotto l’algoritmo usato per snidarli, può con facilità eluderlo e confonderlo. I Big Data sono arma letale a doppio taglio, chiunque può impugnarli.
A questo articolo Greenwald ha reagito su Twitter:

Philip di Salvo ha raccontato su Wired.it il retroterra dello scontro, con il merito di confrontare e documentare le opinioni di Gianni Riotta con alcuni precedenti storici, come le accuse di Richard Nixon al ‘New York Times’ e al ‘Washington Post’ per aver rivelato i lati oscuri della guerra in Vietnam e il caso più recente legato a Wikileaks:
L’attacco di Riotta, come ha fatto notare su Twitter anche Stefania Maurizi, giornalista de L’Espresso che ha lavorato alle rivelazioni di WikiLeaks sin dal 2009, è infondato. Riotta ha anche definito, in termini poco lusinghieri “groupie” (e, di traslato, tutti i difensori di Greenwald) Maurizi per la sua difesa dell’operato dell’ex giornalista del Guardian, poi intervenuto personalmente, accusando Riotta, anche lui senza troppi giri di parola, di mentire. Secondo Riotta, la visione del giornalismo di Glenn Greenwald sarebbe la medesima di Vladimir Putin, argomentazione poco chiara che non tiene conto di diversi livelli di coinvolgimento della questione: Snowden è la fonte, Greenwald, come il Washington Post e decine di altre testate di tutto il mondo, il giornalista che ha lavorato alla pubblicazione dei documenti. Quale sia il ruolo di Putin in questo processo non è chiaro. E se fosse come Riotta dice, tutti i media che hanno ripreso le rivelazioni dell’ex analista dell’Nsa non lavorerebbero con sufficiente cura? Più tardi, Gianni Riotta ha anche twittato di essere in possesso di informazioni per dimostrare la sua posizione. Nel suo editoriale mancano, si attende fiduciosi.
Tornando alla questione da un piano più generale, l’attacco di Riotta ricorda quello recente di Chris Blackhurst, uscito sull’Independent, articolo che lo stesso Greenwald ha definito come “epitaffio perfetto per il giornalismo investigativo”. Secondo Riotta, le rivelazioni relative al Datagate sarebbero pericolose perché andrebbero, ad esempio, a interferire con l’operato dell’ antiterrorismo. Come è stato scritto in tutte le possibili sedi, ed è stato confermato anche dalle stesse autorità Usa, già le rivelazioni di WikiLeaks non hanno procurato danno alcuno a persone. Il paragone, ancora una volta, va fatto al passato: Daniel Ellsberg, la fonte dei Pentagon Papers, grazie ai quali abbiamo storicizzato il lato oscuro della guerra in Vietnam, è considerato un eroe e un simbolo della difesa della libertà di stampa. Quelle rivelazioni uscirono sul New York Times e il Washington Post e provenivano da documenti all’epoca “top secret”. Eppure, come ha scritto l’accademico Patrick McCurdy, il caso “Pentagon Papers” è stato “canonizzato” come un esempio più che virtuoso di difesa del Primo Emendamento.
Quale la differenza tra il New York Times (o il Washington Post) – che vinse la battaglia legale contro Nixon, come lo stesso Ellsberg – del 1971 e Glenn Greenwald e il Guardian nel 2013? Sarebbe tempo di comprendere quanto le rivelazioni del caso Datagate abbiano a che vedere con la natura della democrazia – digitale e non – dentro la quale vogliamo vivere e quanto il giornalismo investigativo sia una risorsa fondamentale per difenderla. Senza doversi sentire dare delle groupie per questo.
Alle 15 di ieri Riotta riassume i contenuti del suo articolo in cinque Tweet:
1) Allora: scrivo @la_stampa che dopotutto @greenwald non ha del tutto torto su #Nsa ma che il suo attivismo non controlla le fonti
— Gianni Riotta (@riotta) October 22, 2013
2) @ggreenwald attivato da suoi groupies italiani mi insulta e accusa di mentire ma nei fatti non corregge un solo fatto o notizia riportati
— Gianni Riotta (@riotta) October 22, 2013
3) Improvvisamente @ggreenwald ci ripensa e i suoi insulti e tweet scompaiono. Capisce di avere strafatto, forse ha letto meglio @la_stampa
— Gianni Riotta (@riotta) October 22, 2013
4) @ggreenwald si dimentica però di spiegare ai groupies italiani che ha tolto gli insulti ripensandoci: ragazzi su, ricreazione finita 🙂
— Gianni Riotta (@riotta) October 22, 2013
tweet @ggreenwald via da timeline restano (ovviamente) nelle conversazioni (twitter 1.01)
— Gianni Riotta (@riotta) October 22, 2013
Sul blog mazzetta.wordpress.com viene fatto notare che “In realtà Greenwald non ha cancellato proprio nulla: i tweet non si vedono semplicemente perché, essendo risposte, bisogna cliccare su “Tutto” in alto sul profilo, di solito altrimenti impostato su “nessuna risposta”. E infatti i tweet di Greenwald contro di lui ci sono tutti.”

Sulla Stampa di oggi 23 ottobre, il direttore Mario Calabresi ritorna sulla vicenda, tralasciando però il punto più controverso dell’articolo di Riotta, e cioè: “La filosofia di Greenwald e Snowden, condivisa dall’ex agente Kgb Putin e ora corroborata dalla ricchezza e diffusione digitale di Omidyar, è opposta a quella del giornalismo professionale, senza controllo delle fonti, ricerca dei motivi per cui certi documenti vengono diffusi, analisi delle conseguenze che la pubblicazione comporta, per esempio sull’antiterrorismo”. Di seguito riportiamo l’articolo di Calabresi:
A margine Riotta rifletteva sui paladini di Wikileaks e del caso Nsa, Assange, Snowden, Manning e Greenwald, osservando: «Hanno ragione i guerriglieri del web? Solo fino a un certo punto» se sottraggono informazioni segrete e le diffondono senza i tradizionali controlli del giornalismo, ovvero chiedere conto alle parti coinvolte e offrire diritto di replica. Responsabilità magari fuori moda in giorni in cui va invece di moda ottenere dossier riservati e pubblicarli a pioggia. Al tempo stesso però riconoscevamo che, grazie ai militanti online, abbiamo appreso la dimensione del problema e oggi la questione del controllo e della privacy, come ci spiega Juan Carlos De Martin, è diventata all’ordine del giorno nell’agenda globale.
Di Greenwald Riotta ha raccontato che sta varando un sito online con il miliardario fondatore di «eBay» Pierre Omidyar e ha messo in guardia dal ritenere obsoleti i vecchi strumenti del giornalismo: verificare fonti, ascoltare le due campane, dare diritto di replica. Osservazioni che non giustificano quel tipo di reazione, ma soprattutto non mi aspettavo che chi si fa paladino di buon giornalismo non si informi sulla natura di questo giornale che solo dieci giorni fa – a mia firma e proprio sulle pagine del «Guardian» – difendeva il suo lavoro dall’accusa di far regali ai terroristi.
Calabresi ci tiene a precisare che in prima persona si è speso a favore di Greenwald, proprio sul quotidiano londinese:
«La libertà di stampa è così preziosa – scrivevo – che non può essere limitata o messa in pericolo dall’accusa di complicità con “il nemico”. Questo non significa, ovviamente, che i giornali possano dire qualsiasi cosa senza alcun tipo di controllo o alcuna responsabilità. Ma il “Guardian” ha valutato attentamente i documenti che ha ricevuto e si è preso tutto il tempo necessario prima di pubblicarli. Significa averli controllati tutti». Questa è l’essenza del giornalismo: non essere semplicemente una specie di cassetta delle lettere, ma scegliere ogni giorno cosa merita di essere pubblicato e cosa no, decidere che cosa è importante, che cosa è valido, per l’interesse pubblico. Di questo dibatteva ieri Riotta, quando si chiedeva se Greenwald lasciando il «Guardian» non considerasse queste preoccupazioni «obsolete».
«Giornalismo – concludevo – significa prendersi la responsabilità di decidere che cosa sia importante per l’interesse pubblico. E’ questo che i direttori di giornali devono decidere. Questo non è un ruolo che può essere mai ceduto al governo o ai servizi segreti. Sono orgoglioso di vivere in Paesi occidentali perché la differenza tra Europa, Gran Bretagna, Stati Uniti e, per esempio, Russia e Cina, è precisamente questa: che qui esiste un giornalismo che costringe i governi a rispondere delle loro azioni. E io non voglio rinunciare a questa differenza».
Questo è il modo di ragionare de «La Stampa», aperto al confronto delle idee e ai contributi, per questo sarei felice se Greenwald volesse raccontare su queste pagine i suoi progetti e il suo punto di vista, così come se accettasse l’invito di Arianna Ciccone a un pubblico dibattito al Festival Internazionale di Giornalismo. Ma con una premessa indispensabile: è difficile sapere cosa diventerà il giornalismo del futuro, avventura per cui tifiamo e in cui ci impegniamo, se ogni critica diventa «bugia», e i fatti che non ci piacciono «menzogna». In questo modo di certo perderemo tutti.
Non resta che aspettare un confronto più disteso tra i due giornalisti. Ma, nella mattinata del 23 ottobre, Gianni Riotta ha twittato l’articolo di Calabresi che abbiamo riproposto, aggiungendo un commento:
Caro @ggreenwald perché non discuti invece che insultare? Commento di @mariocalabresi @la_stampa http://t.co/ohtzh8VMLB via @la_stampa
— Gianni Riotta (@riotta) October 23, 2013