Social network, do ut des: noi gonfiamo l'ego, le aziende gonfiano i dati. Alla faccia della privacy

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L’uso dei social network sta diventando sempre più impulsivo e immediato. Soprattutto perché – dicono i sociologi – le reti social e le nuove applicazioni incontrano il nostro bisogno di essere sempre ‘iper-connessi’. Ci danno spazio, ci fanno sentire importanti, e noi continuiamo a condividere di tutto e di più. E intanto le aziende raccolgono i dati.
Come ricercatore indipendente (grazie al Centro Nexa per Internet & Society che ha ospitato una presentazione sul loro sito web), Andrea Stroppa, blogger dell’Huffington Post, ha pubblicato una ricerca sul New York Times, il Wall Street Journal e il Guardian, dimostrando che molto spesso chi falsifica numeri e commenti sono le aziende stesse, i più grandi marchi del mondo.
Ecco alcuni spunti tratti da un suo articolo sull’Huffington Post (che potete leggere integralmente cliccando qui).

Andrea Stroppa
Andrea Stroppa (foto Solferino28.corriere.com)

In un pezzo del Guardian su Facebook, un utente ha commentato: “Ho cancellato il mio profilo, che usavo per il suo scopo originario di connettere e trovare persone che avevo perso di vista. Ora è completamente diverso”. I social network adesso vengono usati per avvalorare le idee, ostentare i nostri successi e le nostre qualità, e soprattutto per rimanere informati, poco importa se le notizie che stiamo leggendo siano vere.
Abbiamo trasformato gli strumenti, e le aziende hanno solo assecondato il nostro comportamento, rendendo i meccanismi dei social sempre più potenti e immediati. Così è accaduto che, nel corso degli anni, i social network si siano trasformati in qualcosa di unico, permettendo di chattare e condividere con tutti ciò che facciamo, diciamo e pensiamo. E’ il caso emblematico di Wechat, che è rapidamente diventata un successo mondiale, nonostante il fatto che le sue deboli norme di sicurezza mettano a rischio la privacy degli utenti.
Nessuna meraviglia che Evgeny Morozov abbia sarcasticamente commentato “Per salvare tutto, cliccate qui”.
L’enorme trasformazione delle reti sociali sempre più attraenti e funzionali ha coinciso con la creazione di un altro settore gestito da poche migliaia di persone: l’industria che utilizza la tecnologia giuridico più o meno di falsificare i numeri e le idee sul nostro social network preferito. Seguaci di Twitter e Facebook falsi, commenti positivi o negativi su qualcosa o qualcuno, apparentemente scritti da persone, ma in realtà autogenerati dai software.
E così ci sono tre attori sulla scena: i social network, gli utenti e le aziende, che si specializzano nel fregare i numeri.
Diventa un circolo vizioso. Le reti social e le nuove applicazioni iper-connesse ci danno spazio e importanza – non importa che si tratta di un software, e non di una persona che ama davvero le nostre idee –, e noi continuiamo a condividere di tutto e di più.
Anche gli sviluppatori alle prime armi hanno capito che basta offrire un prodotto che l’utente è pronto ad accettare senza leggere la famosa ‘privacy policy’ o ‘Termini di servizio’. Come quando scarichiamo un programma gratuito per modificare le nostre foto e in cambio diamo il applicazione l’intero archivio di schede sd, i nostri testi, le chiamate, la rubrica, installiamo servizi di annunci di terze parti, e così via.
Insomma, se non si conosce il detto ‘Se non paghi per il prodotto, tu sei il prodotto’, meglio impararlo subito.