“Preferisco divertirmi piuttosto che arricchirmi”, dice Mario Ajello, che nell’arco di diciotto anni, passo dopo passo, è diventato un articolista di punta del quotidiano romano, intingendo la penna nell’ironia e nello scetticismo. “Fra i tanti insegnamenti di Montanelli c’è anche l’aspetto giocoso di questo mestiere. Lavorando io gioco. E me la spasso”.

“Ajello Mario fu ottimo sciatore…”. Sembrava l’incipit della storia di un defunto, e invece era quello della biografia scritta da un bambino di sei anni. Che immaginava la sua vita alla fine, o comunque al tramonto. Il bambino si chiamava Mario. Mario Ajello, figlio del valente giornalista Nello e di Giulia, insegnante (scomparsi entrambi nell’estate dell’anno scorso), fratello di Emma, nata quattro anni prima. Animato da una precoce bulimia per la scrittura e la lettura. E che genere di letture! Mica ‘Pecos Bill’ o ‘I tre moschettieri’, macché: i giornali quotidiani. A dieci anni divorava le pagine di politica. Però lo annoiavano le acrobazie del presidente della Repubblica, Giovanni Leone, il patto di sangue di Palazzo Giustiniani fra Fanfani, Moro e Rumor, le veroniche del presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Sonniferi. Il giovane Mario correva subito a pagina 10, 11 e oltre a cercare le cronache locali: i temi del Consiglio comunale, i dibattiti alla Regione, le beghe fra le correnti dei partiti.
L’articolo integrale è sul mensile Prima Comunicazione n. 453 – Settembre 2014