Bruno Manfellotto lascia dopo più di quattro anni la direzione dell’Espresso, restandone un importante collaboratore. Ecco di seguito il suo saluto alla testata e ai lettori, pubblicato sul numero 41 del settimanale in edicola in questi giorni.
Lascio la direzione dopo più di quattro anni durante i quali il mondo è cambiato. Come il giornale ha raccontato con lo spirito di sempre. E ora grazie a molti. Per primi ai lettori.
Quasi una vita… Facevo i conti: più di quattro anni di direzione fino a oggi, altri nove da vicedirettore nei Novanta, e poi dieci in giro per l’Italia a dirigere altri giornali. Però sempre con uno sguardo rivolto all'”Espresso”. Perché un legame così forte e duraturo? Perché “l’Espresso” non è un giornale come gli altri, e non è solo un giornale: è una comunità, è la memoria del paese, la sua coscienza critica, un modo originalissimo di fare giornalismo, di raccontare il mondo senza bavagli né pregiudizi. È orgoglio e passione.
E dunque sarei ipocrita se ora, nell’ultimo “Questa settimana” da direttore (i prossimi li frmerò da editorialista), mi limitassi ai ringraziamenti, ne ho tanti da fare, e non confessassi subito che è diffcile lasciare il timone. Certo che sì. Però io stesso ho preso la decisione, e in piena autonomia e libertà (a queste non rinuncio) convinto che fosse quella giusta: non esistono gli incarichi a vita, e tanto meno può esserlo quello di direttore di giornale; insomma ogni stagione è destinata prima o poi a fnire ed è giusto e utile scegliere il momento più opportuno per chiuderla da soli. Poi altre strade si aprono, e infatti resterò in famiglia, scriverò ancora per “l’Espresso” e continuerò a lavorare per questo gruppo che, non a caso, porta il nome della testata da cui è cominciato tutto, da cui è partita una storia editoriale unica.
Bruno Manfellotto (foto Olycom)
Scorrevo le copertine di questi quattro anni e mezzo – oddio, alcune non le rifarei… -, quante cose sono successe, quante sono radicalmente cambiate, com’era diverso il mondo allora. La prima copertina recitava “Appesi a un Fini” e alludeva all’implosione del centrodestra, al tentativo di rivolta contro B. («Che fai, mi cacci?») che il Cavaliere alla fne arginò. Anche oggi il centrodestra è a pezzi (pag. 42), ma Berlusconi è ormai l’ombra di se stesso, un condannato in via defnitiva stretto tra i servizi sociali e il cane Dudù.
Da lì a poco Osama Bin Laden sarebbe stato ucciso dalle forze speciali americane, ma nessuno avrebbe potuto immaginare in quei giorni la furia sanguinaria dei suoi eredi dello Stato islamico. Nasceva l’iPad, irrompevano sulla scena Julian Assange e le carte segrete di WikiLeaks. Ministro delle riforme era Umberto Bossi, non Maria Elena Boschi; Marchionne cominciava a fare americana la Fiat, Montezemolo ne era ancora il presidente; c’erano tre partiti comunisti e un paio di Dc; una provvidenziale telefonata scarcerava “la nipote di Mubarak”, oggi Ruby gira il mondo carica di fama e di denaro; i pm smascheravano una nuova Tangentopoli, e oggi, ahimè, ne patiamo ancora le conseguenze; non c’era economista che immaginasse i contorni della crisi, capisse che non sarebbe stata solo ciclica.
In ognuna di queste circostanze “l’Espresso” c’era, per spiegare analizzare svelare il lato nascosto o in ombra di ogni avvenimento, per raccontare ciò che si voleva tenere celato. Sono stati anni bellissimi, intensi, combattivi. Con il lavoro di tutti è stato conquistato l’obiettivo prioritario: preservare e arricchire il marchio dell'”Espresso”, cioè la sua identità, e rafforzarne credibilità e autorevolezza. Ci siamo riusciti e c’è di che esserne orgogliosi. Forti di questo risultato ci apprestiamo tutti insieme a celebrare nel 2015 i sessant’anni del settimanale fondato da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari: non una commemorazione, ma l’occasione per rinnovarsi ancora conservando intatte radici profonde.
E i ringraziamenti? Eccoli, sinceri. Innanzitutto ai lettori, una tribù specialissima che nei nostri valori crede e si riconosce come intorno a una bandiera; all’editore che mi ha offerto questa grande opportunità e all’azienda tutta che mi ha sostenuto e accompagnato; alla Redazione (e qui comprendo i collaboratori della ricerca fotografca, le segreterie, la tipografa) che ha condiviso ogni mio sforzo; a Luigi Vicinanza, un amico schietto e leale, un professionista eccellente, che da oggi siederà al mio posto. Ma soprattutto grazie alla particolare atmosfera che solo qui si respira e che rende possibile ogni settimana il miracolo di un news magazine libero, autorevole, di qualità. E dunque, viva “l’Espresso”.