È cresciuto in mezzo alle migliori firme del giornalismo sportivo, ha ereditato a 32 anni il quotidiano che nello sport domina Roma e il centrosud, si muove con abilità nel mondo rovente del calcio. Roberto Amodei racconta la sua storia di editore del ‘Corriere dello sport’ in occasione dei novant’anni del giornale, che sta entrando pimpante in una nuova era.
Il 1924 è un anno fertile per l’iniziativa e l’ingegno giornalistici. È l’anno che ha dato i natali a Eugenio Scalfari e Livio Zanetti, a Piero Ottone e Piero Forcella, a Giorgio Fattori e Rossana Rossanda. Lasciamo stare Marcello Mastroianni e Mike Bongiorno, che pure agli organi d’informazione hanno fornito tanta ciccia, e rimaniamo ai giornali. Nel 1924 hanno emesso i primi vagiti due testate che avrebbero assunto un ruolo chiave nella storia dell’editoria. Il 12 febbraio un giornalista sardo e capellone di 33 anni, discretamente politicizzato, Antonio Gramsci, diede vita all’Unità, organo del Partito comunista, poco tempo prima di finire in carcere. E il 20 ottobre uno sportivo culturista veronese e un meccanico di Modena, con in testa meno capelli, ma lo stesso bagliore dei predestinati negli occhi, inaugurarono il Corriere dello Sport.
Beh, l’intero movimento giornalistico-editoriale deve molto a quella probabilmente irripetibile stagione, anche se per altri versi fu un annus horribilis che, attraverso elezioni più che taroccate, proiettò un cavaliere ante litteram, Benito Mussolini, verso la demolizione del nostro Paese. Vabbè, pace all’anima sua e soprattutto a quella delle sue vittime: qui parliamo di giornali e giornalisti (sì, lo so, anche il Cav. Uno era iscritto all’albo, ma ne ha fatte sicuramente più di Farina, di Feltri e di Sallusti senza subire le stesse sanzioni) e, essendo stato già onorato il genetliaco e, ahimè, la scomparsa dalle edicole del quotidiano politico, mi dedico a celebrare il 90esimo compleanno del mio amato Corriere dello Sport chiedendo al lettore preventiva comprensione. Sarà questo un articolo scritto con i battiti del cuore e le pause della nostalgia, perché il CdS mi riconduce ai migliori anni della nostra vita, quelli fra i venti e i trenta, e perché alla famiglia Amodei devo la prima spinta verso la professione dei miei sogni, consentendomi, dopo il mio cambiamento di rotta, di tornare di quando in quando a intingere la penna nel vecchio calamaio. Bene, asciughiamoci le lacrime e andiamo avanti. Anzi, indietro, perché vi assicuro che vale la pena ricomporre i tasselli del mosaico CdS fin dalle origini.
L’articolo integrale è sul mensile Prima Comunicazione n. 454 – Ottobre 2014