(Corriere.it) Turchia, in La vendetta è un piatto che si serve freddo. E il presidente Erdogan ha aspettato per un anno per rendere pan per focaccia ad uno dei suoi più importanti oppositori , il predicatore dal 1999 in esilio in Usa, Fetullah Gülen, a capo di una corrente della destra islamica turca che si oppone all’Akp e che proprio un anno fa era stato considerato dall’allora premier l’ideatore delle inchieste sulla famosa tangentopoli turca. La retata è scatta all’alba. Un’operazione di polizia su vasta scala, in 13 città della Turchia che si è conclusa con l’arresto di due capi di polizia e di almeno 24 giornalisti tra cui Ekrem Dumanli il direttore del quotidiano Zaman, uno dei più importanti nel Paese, di proprietà di Gülen e il direttore dell’emittente Samanyolu, Hidayet Karaca. Ma sulla lista ci sarebbero altre decine di persone. Sono stati 32 i mandati di cattura spiccati finora, per tutti l’accusa di aver «formato un gruppo terrorista», come ha spiegato il procuratore capo della città del Bosforo, Hadi Salihoglu. Tra gli arrestati c’è anche Tufan Urguder, ex capo dell’antiterrorismo di Istanbul.

Le proteste
Prima dell’arresto del direttore, davanti alla sede di Zaman a Istanbul, si sono radunate circa 500 persone con cartelli che recavano la scritta «Giù le mani dalla libertà di stampa» tra i contestatori c’era anche l’ex stella del calcio turco, Hakan Sukur, che era stato candidato nel 2007 alle politiche nell’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo di Erdogan, quando la guerra fra le due ali della destra islamica turca non era ancora scoppiata. Ekrem Dumanli è stato arrestato davanti alla redazione che lo ha applaudito mentre gli agenti lo portavano via: «Noi non abbiamo paura. Lasciamo che ad essere spaventati siano quelli che hanno commesso un crimine» ha detto sorridendo prima di entrare nella volante.
L’allarme
La retata di domenica mattina (14 dicembre) era stata annunciata su Twitter l’11 dicembre da Fuat Avni che aveva parlato di un’imminente operazione di polizia con tro i seguaci di Gülen prevedendo l’arresto di 400 persone fra cui 150 giornalisti. Avni, la cui identità è sconosciuta, di solito è molto ben informato. e secondo alcuni potrebbe addirittura essere una talpa infiltrata nel governo di Ahmet Davutoglu.
La tangentopoli
Il 17 dicembre del 2013 era scoppiata la cosiddetta tangentopoli turca che aveva coinvolto pesantemente l’Akp. L’inchiesta aveva toccato anche il figlio di Erdogan, Bilal, e quelli di tre ministri. Un rimpasto dell’esecutivo si era reso necessario con le dimissioni di tre rappresentanti del governo. È questa la data in cui è ufficialmente scoppiata la guerra tra Erdogan e Gülen che era stato accusato dall’Akp di aver creato una sorta di stato parallelo per rovesciare l’esecutivo, anche se lui si è sempre dichiarato innocente. Allora il governo aveva risposto rimuovendo 7mila dirigenti e funzionari della pubblica sicurezza, oltre a 200 magistrati tra alcuni titolari delle inchieste anti-corruzione. L’Akp aveva anche varato una riforma della Giustizia per mettere sotto controllo l’Hsyk, il Supremo Consiglio dei Giudici e dei Procuratori, l’equivalente del nostro Csm, e una legge che consente al governo di chiudere in sole 4 ore un sito o una pagina web senza nemmeno chiedere l’autorizzazione di un giudice. Lo scandalo non aveva comunque intaccato la popolarità del partito che aveva vinto a mani basse le elezioni amministrative tenute a fine marzo del 2014 e poi, lo scorso agosto, le elezioni presidenziali.
Le reazioni
«Questo è un colpo di Stato contro la democrazia» è il commento del leader del Chp, Kemal Kilicdaroglu, la maggiore formazione dell’opposizione che difende lo Stato secolare e kemalista. L’associazione dei giornalisti turchi (Tgc) e il sindacato dei giornalisti (Tgs), in un comunicato congiunto, hanno condannato gli arresti: «La libertà di stampa e di opinione sono punite in Turchia. In passato sono stati 200 i giornalisti finiti in prigione con l’accusa di terrorismo e senza il diritto a un giusto processo. Oggi si ricomincia». La Turchia è il paese del mondo con il maggior numero di giornalisti in carcere davanti a Russia, Cina e Iran. . Nel luglio del 2013, la Tgs, l’Unione Giornalisti turchi, ha reso noto che 22 reporter avevano perso il loro posto di lavoro per aver coperto le rivolte di Gezi Parki. Altri 37 sono stati spinti alle dimissioni. Lo scorso maggio l’organizzazione americana Freedom House ha messo, per la prima volta, la Turchia nella categoria degli Stati «parzialmente liberi» anche per le limitazioni alla libertà di stampa. Nel 2014 il World Press Freedom Index, stilato da Reporters without borders, aveva posizionato la Turchia al 154 posto su 180 tra i Paesi in cui la libertà di espressione e di stampa è in seria difficoltà.
La condanna della Ue
I blitz della polizia non sono passati inosservati in Europa. In una nota congiunta l’Alto Rappresentante per la politica estera Ue Federica Mogherini e il commissario alla politica di vicinato Johannes Hahn hanno giudicato gli arresti «incompatibili con la libertà di stampa, che è il fondamento della democrazia» e «contro i valori e gli standard dell’Europa cui la Turchia aspira a far parte». Anche il Dipartimento di Stato americano, per bocca della portavoce Jen Psaki, ha espresso preoccupazione : «Libertà dei media, processi regolari e indipendenza del sistema giudiziario sono elementi chiave in ogni democrazia sana e sono previsti dalla Costituzione turca. Come amici e alleati della Turchia, chiediamo con urgenza alle autorità turche di assicurare che le loro azioni non violino i valori chiave e le fondamenta democratiche stesse della Turchia».
http://www.corriere.it/esteri/14_dicembre_14/turchia-erdogan-contro-gulen-arresti-perquisizioni-giornali-5bb181ea-837c-11e4-a2cc-02f7f9acc66f.shtmlmanette decine di giornalisti