La Repubblica 11/03/2015 – Sassoli de Bianchi (Upa): “La pubblicità e i consumi tornano a crescere nel 2015 Google paghi i diritti d’autore” – Sarà un anno di svolta anche per il mercato pubblicitario, che nel 2015 chiuderà in crescita fra l’1 e il 2 per cento.«Nessuna euforia – ammette Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente dell’Upa (utenti di pubblicità) ma il dato segna un’inversione di tendenza e arriva dopo sette anni di risultati negativi. Finalmente vedremo una ripresa nei consumi, anche se per l’occupazione dovremo aspettare il 2016». Presidente, dove e come ripartirà la pubblicità? «La televisione resterà il canale privilegiato, ma si arresterà la caduta della carta stampata, che ha margini d’efficacia superiore rispetto al digitale».

Perché? «Perché senza nulla togliere alla potenza del mezzo, il digitale ha bisogno di un linguaggio pubblicitario che deve ancora essere inventato. Quello attuale non è sufficientemente memorizzabile, penso soprattutto ai “banner” inseriti nelle home page e percepiti con maggior fastidio. Vanno molto meglio, ed è lì infatti che crescerà la pubblicità, gli annunci “search” legati alle precedenti ricerche fatte dall’utente sul web, per cui ad una richiesta d’informazioni su un viaggio si collega per esempio la pubblicità di un albergo.
Poi certo, pur essendo convinto che la carta sopravviverà, dico che i giornali dovranno cambiare, puntando sempre più alla qualitàe all’approfondimento».
E qui si finisce per parlare di Google tax e dei profitti intascati dai motori di ricerca per la diffusione di notizie prodotte altrove. La Spagna ci ha provato e ha fallito, lei cosa ne pensa? «Che il tentativo spagnolo era troppo drastico, che bisogna trovare una soluzione europeae che l’Italia, considerate le capacità di mediazione da tutti riconosciute, potrebbe fare da apripista. I tempi sono maturi per chiedere a Google di pagare le tasse nei Paesi dove produce i redditi e per convincerlo a versare una quota per i diritti d’autore. Dobbiamo puntare ad una soluzione ragionevole e riusciremo a ottenerla, purché ci sia volontà politica».
A proposito di politica: lei conferma la supremazia della tivù come veicolo pubblicitario, ma la tivù sta cambiando.
Il modello di Rai che sta emergendo dalla riforma Renzi le piace? «Non mi piace la proposta di un amministratore delegato nominato dal governo: sono convinto che dietro questa scelta vi siano delle buone intenzioni, ma si tratterebbe di una lottizzazione mascherata. Come Upa proponiamo invece che la nomina sia affidata a una Fondazione dove trovino rappresentanza tutte le componenti del Paese: i presidenti di Camera e Senato, ma anche gli enti locali e le associazioni. Quella figura presiederà anche un consiglio d’amministrazione composto da cinque tecnici. E poi vogliamo un canale senza pubblicità, una Rai Uno di qualità sostenuta solo dal canone».
Gli utenti di pubblicità vogliono un canale senza spot? «Sì, so che può sembrare contraddittorio, ma non lo è. Siamo prima di tutto imprenditori, puntiamo alla crescita del Paese. Una crescita anche culturale, in assenza della quale null’altro può avvenire. E siamo consapevoli che la qualità si ottiene sganciandosi dalla raccolta pubblicitaria. Bisogna ritrovare coraggio nelle programmazioni: per esempio, perché non decidere di insegnare l’inglese agli italiani proponendo programmi sottotitolati? Nei Paesi del Nord lo fanno da anni».
Basterà il canone per sostenere questo canale di qualità? «Sì, purché tutti lo paghino e l’idea di collegarlo alla bolletta è buona. Però non abbassiamolo, è già tra i più bassi in Europa».