(Lastampa.it) Ricondurre la Rai nel solco del codice civile, creare un capo azienda con ampi poteri e inserire un rappresentante dei lavoratori nel consiglio di amministrazione. Sono i punti centrali della riforma della tv pubblica che approda domani in consiglio dei ministri. «Una riforma di sostanza», la definisce il sottosegretario Antonello Giacomelli, che l’ ha messa a punto. Un testo «che punta a riaffermare la dimensione di azienda della Rai, a semplificare i processi, a determinare la chiara identificazione di responsabilità e ruoli, la separazione tra gestione e controllo e la ridefinizione del concetto di servizio pubblico».

Il disegno di legge è pronto, anche se in campo restano due opzioni distinte e non è detto che il via libera arrivi domani. Il premier, se non si trovasse la quadra, potrebbe rinviare il dossier fino al successivo cdm, limitandosi ad un documento strategico con alcuni passaggi anche sul disegno complessivo della tv pubblica, che arriverà in un secondo momento con il rinnovo di convenzione e contratto di servizio e con le nuove regole sul canone. «Sulla governance Rai piuttosto che continuare a elencare possibili modelli converrebbe aspettare il testo del governo», sottolinea Giacomelli, aggiungendo che «secondo gli obiettivi apertamente dichiarati dal presidente del consiglio, non si tratta di una astratta discussione tra modelli e schemi societari».
Fermo restando l’obiettivo di ricondurre la società nell’alveo delle regole del codice civile, in modo da renderla più facilmente gestibile, e quello di dar vita alla figura di un amministratore delegato di nomina governativa al posto del direttore generale con un cda più snello, le opzioni in campo sono il modello Spa e il sistema duale con un consiglio di sorveglianza e uno di gestione.
Nel primo caso, con un consiglio ridotto a sette o cinque membri e meno invasivo, cambierebbero le fonti di nomina. Un membro sarebbe espresso dai lavoratori e un altro verrebbe votato da un organismo esterno, come la conferenza Stato-Regioni. Resterebbe poi un ruolo del Parlamento, nel rispetto delle sentenze della Consulta. L’ipotesi iniziale era conferire il potere di nomina ai presidenti delle Camere, per garantire indipendenza dai partiti, ma il premier, per non prestare il fianco alle critiche dell’opposizione, avrebbe espresso l’intenzione di lasciare alla Commissione di Vigilanza, oltre al controllo, un potere di nomina anche se ridotto rispetto all’attuale.
L’altro modello prevede la nascita di un consiglio di sorveglianza con una decina di membri eletti anche questi in parte dal Parlamento e in parte, oltre che dai lavoratori, da organismi come la Conferenza Stato-Regioni, l’Anci, ma non l’Agcom, in quanto soggetto controllore. Tale organismo, oltre al poter di nomina, avrebbe compiti non solo di controllo ma anche operativi nella gestione societaria. A guidare l’azienda sarebbe però un consiglio di gestione composto da tre membri: un amministratore delega o di nomina governativa, un membro con deleghe sulla parte editoriale e un membro con deleghe su quella finanziaria.
Il premier ha fatto capire di preferire il primo modello, spiegando che in Italia il sistema duale non ha funzionato. Nel Pd le opinioni sono discordi e c’è chi sottolinea che quel sistema è stato applicato solo alle banche nel nostro paese ed in una tv pubblica potrebbe invece ben funzionare. Anche sul potere di nomina lasciato alla Vigilanza, nella riunione di ieri c’è chi ha ricordato che il sistema attuale ha provocato solo danni e chi ha invece sostenuto la necessità di lasciarle un ruolo. Insomma, restano ancora dei nodi da sciogliere. Per questo alcuni parlamentari Pd chiedono tempo per trovare la quadra, Vinicio Peluffo e Francesco Verducci hanno avviato un giro di incontri con i partiti che hanno già depositato in Parlamento proposte di legge. L’iter parlamentare dovrebbe iniziare dalla Commissione Trasporti alla Camera.