‘Algoritmocrazia’: chi indirizza le nostre scelte sul web?

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Benedetti social network. Maledetti social network. Un rapporto di amore e odio, tra libertà e controllo, possibilità e restrizione, che a tratti (non sempre, a dire il vero, poco marcati) ricompare nel dibattito collettivo su quanto viviamo in quel vasto spazio digitale che è il web.

Fabio Chiusi
Fabio Chiusi (foto Biennale democrazia)

A fare da perno al dibattito una vexata quaestio: chi guida le nostre scelte? Interrogativo che ha dato il titolo all’incontro di Biennale Democrazia a cui hanno partecipato ieri la professoressa di comunicazione politica de La Sazienza di Roma Sara Bentivegna, il sociologo di digital humanities del Paris Tech Antonio Casilli e il giornalista Fabio Chiusi.

Un grande assente, in sala – ma non potrebbe essere altrimenti – Al-Khwarizmi, il matematico arabo del nono secolo, dal cui nome deriva la parola “algoritmo”. È Chiusi, reporter freelance esperto di tecnologia, a sottolineare per primo come il mondo digitale stia vivendo più che mai una sorta di “algoritmocrazia”. Capita ad esempio sui siti di incontri che gli utenti “finiscano per piacersi solo perché glielo suggerisce un algoritmo e non per vera affinità”. Dal privato al pubblico: “Cosa può succedere quando si tratta di elezioni politiche? Può un algoritmo spostare le scelte degli elettori? Secondo uno studio condotto da Facebook durante le ultime elezioni europee sì: un social network sarebbe in grado di rosicchiare fino al 3 per cento del consenso”.

In un mondo dove ormai è tutto social, “nell’era dell’abbondanza dell’informazione”, ricorda Sara Bentivegna, in cui i network “ci hanno traghettato, anzi, teletrasportato. In uno spazio terzo, secondo alcune teorie, che è a metà strada tra la sfera privata e quella pubblica”. A soffermarsi sul funzionamento degli algoritmi è Antonio Casilli: “in sè e per sè non sono altro che serie di operazioni che servono per realizzare un determinato risultato. Dalla preparazione di una torta al cioccolato a operazioni molto più complesse. Gli algoritmi, allo stesso modo, hanno interiorizzato i nostri meccanismi di scelta e acquisito un potere di prescrizione che rende la nostra capacità di scelta, adesso, sempre più delegata”. Non sempre. Google, ad esempio, che proprio sullo sviluppo del suo potentissimo algoritmo ha basato la sua espansione, mantiene ancora oggi un ampio margine di discrezionalità. Tutto umano. Perché infatti i risultati e i “suggerimenti” proposti dal motore di ricerca cambiano nel tempo o in base al Paese in cui ci troviamo? Un tentativo di capirlo arriva anche dal gruppo 2600.com, che da tempo raccoglie e codifica “Google black list”, un elenco di parole che il motore di ricerca non suggerisce apposta. Chiosa Casilli: “Anche Google è un po’ meno scientifico e automatico di quanto sembri a prima vista. C’è sempre infatti un intervento editoriale”.

Il controllo sulla Rete fa gola tanto alle aziende private, quanto agli enti pubblici. Come potrebbe succedere in Francia se verrà introdotta la cosiddetta legge “intelligence”. L’allarme di Casilli: “Se passerà, metterà in moto un meccanismo davvero potenzialmente devastante. Alcuni algoritmi potrebbero essere usati prima per monitorare il traffico online, poi per evidenziare al suo interno dei pattern, delle tendenze in atto, che si ripetono nel tempo. E da qui intervenire sulle cosiddette anomalie”.

Dunque, chi decide? Per Chiusi una risposta sta nella dichiarazione fatta ai giornali statunitensi dall’ex direttore della Cia e dell’Nsa Michael Hayden: “We kill people based on meta-data”. Una sola certezza, per ora, quindi: dietro alle macchine, c’è ancora l’uomo.