Qual è lo stato di salute dell’informazione in Italia? La ricerca Agcom ‘Informazione e internet in Italia. Modelli di business, consumi, professioni’ cerca di fare il punto interpellando 2300 professionisti del settore ed elaborando i dati messi a disposizione da Ordine dei giornalisti, cassa previdenziale e sindacato nazionale. Sono stati anche interpellati 400 editori, nazionali e locali. Dà una lettura del rapporto DataMediaHub.
Dal rapporto emerge un confronto tra fonti di informazione dei giornalisti e dei cittadini:
Per i cittadini, dati aggiornati al 2013, rilevano che la maggior parte, il 90%, si informa attraverso media tradizionali (tv, radio, quotidiani e periodici), seguono le testate online (36%), i social network (12%), i blog (9%) e le agenzie di stampa (7%) che, come sottolinea il rapporto, “con l’affermazione di internet come mezzo di comunicazione di massa, le agenzie di stampa, ed in particolare i loro siti, sono divenute anche fonti di informazione privilegiate”. Le agenzie di stampa così come i social network hanno assunto più ruoli. Lo si nota dall’analisi delle fonti per i giornalisti. In testa ci sono le fonti dirette (79%), seguono le fonti istituzionali (73%), le agenzie di stampa (70%). Quindi: testate online (57%), media tradizionali (55%), social network (54%) e blog (21%).
Diminuisce l’autonomia editoriale dei giornalisti, il tempo per gli approfondimenti e per ricerche e verifiche. Aumentano le ore di lavoro e l’interazione con il pubblico e i lettori.
Si assiste ad:
asmimetrie informative tra il consumatore e l’editore. In tal senso, la qualità dell’informazione è spesso soggetta a fallimenti di mercato perché non può essere facilmente derivata, se non dopo ripetuti atti di consumo, dall’utente finale. In questo contesto, il concetto di reputazione, e quindi la forza dei marchi, assume, specie nell’attuale momento, una rilevanza centrale nel sistema informativo.
Una conferma che i marchi contano arriva anche dall’analisi della longevità delle aziende editoriali:
Circa un terzo degli editori attivi dal lato dell’offerta di quotidiani è presente nel comparto da almeno trenta anni, mentre le società in attività da meno di dieci anni sono poco più del 20%. Insomma il nuovo non avanza o comunque avanza con grande fatica.
Un argomento particolarmente spinoso è quello dei ricavi del settore, in particolare per i quotidiani, dove continua a pesare molto nelle entrate, la carta rispetto al digitale, anche se c’è un lieve trend di crescita:
Ad oggi, in effetti, la sussistenza degli editori continua a dipendere in maniera preponderante dall’entità dei ricavi conseguiti grazie alle testate cartacee. (…) L’incidenza delle entrate generate dal prodotto cartaceo è di gran lunga maggiore [pari nel 2014 ancora al 90%] rispetto al prodotto digitale, sebbene quest’ultimo abbia visto raddoppiare il suo peso negli ultimi cinque anni. L’attività tradizionale, sul mezzo cartaceo, rimane il core business di gran parte delle società editrici, le quali, al di là delle dichiarazioni d’intenti, di fatto tentano di mettere in atto strategie di difesa dei ricavi derivanti dalla carta stampata, seppure molto spesso questo avvenga in maniera scomposta e dunque poco efficace.
Da un confronto fra editori digitali e tradizionali (quotidiani online e cartacei) emerge come i ricavi degli editori digitali siano meno della metà di quello degli altri editori, perché più elevata è per questi ultimi la quota di pubblicità che riescono a conquistarsi.
Ecco come si differenziano i ricavi (pubblicità e vendite) per i giornali e le tv.
Infine, un tema molto caro in particolare alle migliaia di giovani giornalisti è quello dell’occupazione:
In quattordici anni è notevolmente cambiato, inoltre, l’assorbimento dei lavoratori da parte delle imprese editoriali operanti nel Paese. Il peso percentuale dei quotidiani è, infatti, drammaticamente sceso dal 50% del totale rapporti di lavoro nel 1990 al 34,4% del 2014, a fronte di una crescita del ruolo delle televisioni nazionali [oggi al 5,7%] e locali [11,9%] ma soprattutto degli uffici stampa e comunicazione aziendali [8,4%] e pubblici [7,6%, appena all’1% nel 1990].
I giovani sono molto numerosi nelle redazioni online, l’80%. Le attività online si dividono, in diverse attività più specifiche:
A parte lo “Sviluppo di Web content”, attività svolta da circa il 28% del campione dei giornalisti rispondenti al questionario online ed in parte collegata alle versioni online delle testate tradizionali, le altre attività tipiche del Web, come “Infografica/Data Journalism”, “Social media management” e “Blogger”, sono poco diffuse. Tra le altre cose, tali attività sembrano essere una prerogativa dei giornalisti giovani visto che mediamente circa l’80% ha un’età inferiore ai 40 anni.
Informazione in Italia. Modelli di Business, Consumi, Professioni (DataMediaHub, 5 maggio 2015)
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