di Lorenza Chini – A breve i giornalisti di due delle maggiori testate d’America avranno accesso all’informazione più importante per che scrive: saranno infatti in grado di vedere quanto traffico è stato generato dai loro articoli. A riportarlo è un articolo del The Atlantic. Riusciranno inoltre a conoscere quante persone hanno cliccato sulla notizia, da dove provengono gli utenti, e per quanto tempo vi si sono soffermati. Il primo a richiedere l’accesso a questo genere di informazioni, è stato il Washington Post e a seguire il New York Times. Entrambe le testate lo hanno annunciato sul Washingtonian Magazine. Il direttore esecutivo del Times, ha scritto: “Alcuni editori e reporter sono ancora profondamente interessati a questo genere di informazione, molti altri invece la considerano come un peso in più da aggiungere alle giornate già piene”.

Inoltre nasce un ulteriore interrogativo: nel caso in cui l’editore elogi un articolo che tu giudicavi mediocre, lo avrà fatto perchè effettivamente scritto bene o solamente perchè ha riscosso successo su Facebook? Sorge quindi spontanea la domanda che apre l’articolo del The Atlantic: i giornalisti dovrebbero o non dovrebbero sapere quante persone leggono i loro articoli?
Chi scrive desidera conoscere che cosa legge la gente. Se non gli è possibile avere accesso a feedback diretti, può comunque estrapolare informazioni indirettamente: dando un’occhiata alle condivisioni sui social media, guardando le menzioni su Twitter o semplicemente parlando con i propri amici. Come analizza l’Atlantic, il giornalismo digitale dipende da una sorta di istinto cyborg. I bravi giornalisti che scrivono sul web mescolano molte variabili insieme quando scelgono se scrivere o no una storia, incluso il sapere che cosa ha avuto successo in passato, che cosa interessa a loro e che cosa pensano che interessi agli altri. Tutto questo risulta sicuramente più facile con l’aiuto di dati aggiuntivi che sapranno far capire in maniera più chiara a chi scrive, le proprie mancanze.