Sul Corriere Economia un intervista all’ex dirtettore generale di Telecom Italia, Francesco De Leo, sulla partita con Vivendi e i “conivitati di pietra – Telefonica e At&t”.
(Corriere Economia) De Leo: «Si potrebbe creare un asse franco-spagnolo». L’incognita Tim Brasil «La cessione della controllata sudamericana sarebbe dannosa».
La convergenza tra telecomunicazioni e televisione è una strada che parte da lontano e così l’interesse di Vivendi per Telecom Italia: risale alla seconda metà degli anni 90, quando la società francese si chiamava ancora Compagnie Générale des Eaux e a guidarla era Jean-Marie Messier. Francesco De Leo – executive chairman a Londra di Kaufmann Partners e advisor di Cellnex (che ha come azionista di riferimento Abertis e ha recentemente acquisito le antenne di Wind) – allora era direttore generale di Telecom Italia con l’incarico delle strategie internazionali.

«Nel marzo 1998 – dice De Leo – incontrai Jean-Marie Messier a Parigi: era appena tornato da Los Angeles con l’idea di creare un grande gruppo audiovisivo europeo in grado di competere con le major americane nella produzione di contenuti. Quel progetto piaceva anche a me. Perciò gli proposi di fondere la tivù via cavo
del nostro gruppo, Stream, con la loro Telepiù, dando la maggioranza della società a Telecom Italia. L’accordo si ruppe proprio su questo punto, perché la maggioranza la volevano loro».
Da allora sembra passata un’eternità… «Infatti. L’Italia oggi è l’unico Paese del G8 che non ha un grande azionista nazionale di riferimento nelle telecomunicazioni: né in Telecom Italia, il cui socio di maggioranza è Vivendi, né negli altri gestori. Siamo
diventati un grande laboratorio che molti osservatori internazionali guardano con attenzione. Un osservato speciale».
Oggi Vivendi, guidata da Vincent Bolloré, ha più del 15% delle azioni di Telecom Italia e, a quel che sembra, viaggia verso il 20%. In un mercato completamente cambiato, dominato dai titani di Internet.
«Basta ripensare al discorso del capo di Apple Tim Cook, l’altro giorno a San Francisco, per capire che il futuro della tivù e dei contenuti video è nel live streaming su più piattaforme digitali. I francesi, nella loro crescita internazionale, non possono prescindere né dalla spagnola Telefonica, con cui già collaborano attivamente, né dall’americana At&t, chiave d’accesso al più importante mercato al mondo, gli Stati Uniti».
Ma l’Italia come rientra in questo progetto? «Credo che per un gruppo con le ambizioni di Vivendi l’azienda italiana sia solo un tassello, e non il più importante. La relazione forte, quella che determinerà i futuri assetti, è nella triangolazione fra Vivendi, Telefonica e At&t. Telefonica è un grande player globale con una presenza geografica molto più diffusa di quella di Telecom Italia, con mezzo miliardo di abbonati e una leadership consolidata, negli ultimi dieci anni, intorno al presidente esecutivo César Alierta». Dieci anni di tentativi, più o meno riusciti ma coerenti, di convergenza tra telecomunicazioni e televisione. «Esatto. Non vorrei che Telecom Italia, in un probabile riassetto europeo, fosse confinata a un ruolo
marginale, dominato da decisioni che si prendono su altri tavoli tra Vivendi, Telefonica e At&t. Soprattutto se il top management italiano fosse spinto dall’azionista di maggioranza a cedere le sue attività in Brasile, presumibilmente ad At&t. Perché si troverebbe in condizioni simili a quelle di Portugal Telecom quando decise di vendere a Telefonica la sua quota dell’operatore mobile brasiliano Vivo. Ovvero a vedere svanire le proprie chance di tornare a giocare un ruolo da player globale».
L’ipotesi che lei teme, insomma, è quella di un patto Telefonica-Vivendi basato su un accordo distributivo di contenuti in cambio della cessione di Tim Brasil ad At&t. È così? «Non è uno scenario improbabile. E mi conforta il fatto che l’amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano, stia cercando di far crescere Tim Brasil e, a questo scopo, esplori possibili acquisizioni. Sembra però che Vivendi stia lavorando in direzione esattamente opposta e che, anche in un recente incontro, abbia detto a esponenti del nostro governo che la soluzione migliore è quella di lasciare il Brasile e investire nella banda larga italiana».
E invece? «È un disegno che temo prenda corpo in un contesto di mercato denso di incognite e di crescente volatilità. Inoltre non è così scontato che le risorse ricavate da un’eventuale cessione di Tim Brasil potrebbero essere rimpatriate facilmente in Italia. Probabilmente il governo di Brasilia eserciterebbe ogni tipo di pressione per
spingere Telecom Italia a reinvestire almeno in parte in Brasile, Paese in forte crisi, una quota di quei proventi. È già successo in passato e potrebbe ripetersi».
Una Telecom Italia ridimensionata secondo lei potrebbe diventare più interessante per Mediaset, ai fini di quella fusione di cui si favoleggia da anni?
«I tempi potrebbero essere maturi. Una Telecom Italia senza il Brasile avrebbe sicuramente dimensioni più alla portata dell’emittente per un’ipotetica aggregazione». (Corriere Economia)