Facebook consente agli inserzionisti la discriminazione razziale. ProPublica: annunci immobiliari visibili in base alla ‘ethnic affinity’. La risposta di Menlo Park: solo microtarget per ottimizzare il marketing

Condividi

Paola Cavaglià – “E’ come se ai tempi della segregazione razziale nel sud degli Stati Uniti un’azienda avesse deciso di fare pubblicità solo sulle copie dei giornali destinate ai bianchi”.

Con queste parole i giornalisti di ProPublica, l’organizzazione non profit newyorchese che promuove un giornalismo investigativo nel pubblico interesse, hanno spiegato la possibilità che oggi Facebook dà ai propri inserzionisti statunitensi di rivolgersi al target desiderato impedendo a specifici gruppi definiti “Ethnic Affinity”, come afroamericani, ispanici o asiatici, di visualizzare i propri messaggi pubblicitari.
La legge federale americana – sia nel Fair Housing Act del 1968 sia nel Civil Rights Act del 1964 – proibisce di fatto le pubblicità che escludono le persone in base alla razza, al sesso e altri fattori sensibili sia nel settore degli annunci immobiliari sia in quello delle offerte di lavoro, eppure ProPublica.net ha recentemente acquistato su Facebook uno spazio pubblicitario per un annuncio immobiliare accettando tutte le opzioni di esclusione razziale previste per il cliente dalla piattaforma di condivisione.

Le opzioni di esclusione razziale previste da Facebook per la pubblicità immobiliare comprata da ProPublica
Le opzioni di esclusione razziale previste da Facebook per la pubblicità immobiliare comprata da ProPublica

Dallo studio effettuato da ProPublica (https://www.propublica.org/article/breaking-the-black-box-what-facebook-knows-about-you) emerge che sono 50mila le categorie uniche di microtargeting attraverso le quali Facebook scheda i propri utenti e tra queste da un paio d’anni rientrano le ‘Ethnic Affinity’ nate all’interno del programma di ‘multicultural advertising’.
“Le ‘affinità etniche’ non indicano le razze, su cui Facebook non pone domande ai propri utenti” spiega Steve Satterfield, privacy and public policy manager di Facebook, “ma raggruppano caratteristiche individuate in base alle pagine che i nostri utenti mostrano di preferire e ai post che scrivono su Facebook, con l’obiettivo finale di ottimizzare le attività di marketing degli inserzionisti”.
Il New York Times, invece, – citato con successo in giudizio nel 1989 sulla base del testo del Fair Housing Act per aver pubblicato un annuncio immobiliare con contenuti considerati discriminatori – sottopone le proprie pubblicità a un severo controllo: gli annunci vengono innanzitutto processati da un programma che esclude formule inaccettabili come “solo per bianchi” o “niente bambini” o formule discutibili come “vicino alla chiesa/sinagoga”; e poi vengono riletti da un responsabile, che deve approvarne la pubblicazione.
Anche le immagini delle case proposte sul quotidiano non possono mostrare solo persone bianche, ma “presentare la varietà multiculturale della città di New York”.

La riposta di Facebook

A pochi giorni dalla pubblicazione del report di ProPublica, Facebook ha respinto l’accusa di discriminazione razziale mossagli dall’organizzazione giornalistica non profit.
Due i punti della risposta di Facebook: la tecnologia della piattaforma pubblicitaria di Facebook, come quella di altre società media tradizionali e digitali, consente di indirizzare messaggi diversi a gruppi diversi e le ‘ethnis affinities’ non sono altro che microtarget creati per ottimizzare le operazioni di marketing delle aziende inserzioniste; quella comprata da ProPublica non era una vera e propria pubblicità di una casa da vendere/affittare, ma di un evento sul tema del ‘caro affitti’ ospitato in una biblioteca di Brooklyn.
La giornalista Julia Angwin ha precisato che il codice etico di ProPublica vieta durante una indagine di falsificare l’identità dell’organizzazione e che quindi, non potendo comprare uno spazio pubblicitario per la falsa vendita di un immobile su Facebook, hanno scelto di pubblicizzare un forum di discussione su un tema del mondo immobiliare, che comunque rientra nell’ambito dei diritti abitativi, per i quali la legge federale statunitense ritiene illegale annunci pubblicitari che escludano persone in base alla razza, al sesso e ad altri fattori sensibili.