“Abbandona i social network perché possono danneggiare la tua carriera professionale”. A suggerirlo dalle pagine del New York Times, senza ricorrere a mezzi termini, è Calvin Newport, professore associato della prestigiosa Georgetown University, specializzato in scienza dell’informatica.

“Molta gente della mia generazione”, scrive Newport, “teme che, senza essere presenti sui social network, possano risultare invisibili al mercato del lavoro”. Ma si tratta di una tesi, secondo Newport, rispetto alla quale è più che legittimo nutrire qualche dubbio.
“Nella mia vita professionale”, spiega l’accademico che gestisce anche un suo blog, “ho cominciato a ricevere più interessanti opportunità lavorative semplicemente diventando un miglior professore e scrittore”.
Il fatto è che, secondo Newport, “l’economia di mercato premia le cose rare e ad alto contenuto di valore”; mentre “qualsiasi sedicenne è in grado di inventare un hashtag o condividere un contenuto virale”.
Perciò, taglia corto Newport – che dichiara di non aver mai avuto un account -, “se sei serio e vuoi veramente avere un impatto sul mondo, spegni lo smartphone, chiudi tutte le tue finestre sul browser, tirati su le maniche e torna a lavorare”.
Le opportunità di lavoro “interessanti”, infatti, “non sono così rare come i social network tendono a farci credere”, prosegue Newport, che poi prova a smontare anche il luogo comune della neutralità del loro utilizzo. Non è vero che i social network “non fanno male”, essi sono “ingegnerizzati per creare dipendenza”, spiega il docente.
In particolare, secondo Newport, l’uso eccessivo dei social network, specie nelle “prime ore dopo il risveglio”, “induce il nostro cervello a ricercare brevi e continui stimoli ad ogni minimo sentore di noia”.
Tutto ciò, mentre “in un’economia così complessa”, il mercato del lavoro domanda sempre più persone che abbiano la “capacità di concentrarsi a lungo e senza distrazioni su compiti duri”.