Referendum e stampa. Poco schierati (salvo eccezioni come Huffington Post e Blitz Quotidiano) i giornali online

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Se in edicola i quotidiani più schierati politicamente non hanno mancato di sottolineare con titoli più o meno cubitali la propria posizione sul referendum, tra i giornali online solo l’Huffington Post e Blitz hanno fatto una esplicita scelta di campo: Lucia Annunziata ha invitato infatti a votare “No per ridare voce agli italiani”. Marco Benedetto scrive invece “votate Sì se volete una ultima occasione di rimettere in piedi la nostra povera Italia”.

Gli altri giornali online hanno mantenuto un certo distacco, preferendo toni più soft, quasi neutrali rispetto alle furiose polemiche che hanno imperversato su altri mezzi, dalla tivù ai social.

Il Post ha scelto un atteggiamento distaccato, privilegiando l’informazione di servizio, didascalica, che caratterizza da sempre il giornale online di Luca Sofri. Il 3 dicembre, alla vigilia del voto, l’home page propone in apertura una “Guida definitiva al referendum costituzionale, spiegato facile, punto per punto, per chi torna adesso da Marte e vuole prepararsi un po’”. Seguono articoli di cronaca, informazioni utili per chi si accinge a votare e qualche curiosità, come il fatto che “La notizia più condivisa sul referendum è una bufala”. Un tema questo delle bufale molto caro a Sofri, tanto che ci ha dedicato un libro: “Notizie che non lo erano”. La posizione del Post è spiegata in un editoriale non firmato, dove si dice che questa è stata una campagna elettorale “brutta e deprimente”, in cui hanno prevalso “l’enfasi allarmistica e terroristica sul futuro, la falsificazione dei fatti;, l’aggressività nei confronti del prossimo e la sua trasformazione in un nemico”. Comunque vada, del dopo referendum ci sarà poco da rallegrarsi, prosegue l’articolo, che conclude affermando: “Per questo a noi interessa fino a un certo punto cosa succederà il 4 dicembre. Ci interessa cosa succederà il 5 e il 6 e il 7 e migliaia di giorni ancora, e l’impegno che sapremo mettere tutti quanti nel far prevalere un sentimento di bene comune che da qualche parte abbiamo”.

Su Lettera43 il referendum non è neppure il tema di apertura. Alla vigilia del voto la home page si apre con il classico slider in cui si alternano quattro notizie, dalle sofferenze bancarie al voto in Austria, alla chiesa Usa contro Trump. Solo una è dedicata al referendum e più precisamente ai rischi di manipolazione dei voti all’estero. Al centro della pagina un piccolo riquadro sulla “Guida al referendum in 4 infografiche”. Sotto la testata un link alla sezione che raccoglie gli ultimi articoli sul tema: “Quella norma fuori dal tempo del silenzio elettorale”, “Il No fa rima con dimissioni”, “Le banche falliranno sia con il sì sia con il no”, e così via. Il direttore Paolo Madron segnala su Twitter un articolo di Peppino Caldarola, già direttore dell’Unità: “Un vaffa di sinistra a tutti i combattenti”, dove si prendono le distanze da “una battaglia confusa, in cui conta solo matare chi un tempo stava dalla tua parte”. Conclude Caldarola: “Qualunque sia l’esito, ricucire sarà impossibile. Non resta che rinascere con un altro leader e nuove idee”. Asettiche le home di giornali online che raccolgono molto traffico, in particolare tra i giovani, senza esaltarsi mai per le battaglie politiche, anzi il più delle volte snobbandole.

Fanpage dedica al referendum un’apertura molto istituzionale. Il titolo dice: “Fine dell’infinita campagna elettorale per il referendum: ora tocca agli italiani”. Sotto, una guida dettagliata ai temi della consultazione e due video che riassumono le ragioni di sì e quelle del no. In coda un articolo del direttore, Francesco Piccinini, che sembra prendere posizione con il suo provocatorio titolo “La vergogna del sì”. In realtà Piccinini ci spiega che, come è già successo con la Brexit e nelle elezioni americane, molti elettori sono restii a dichiarare apertamente le proprie intenzioni di voto. “Nonostante i sondaggi”, osserva Piccinini, “il Sì non ha già perso, anzi, rischia seriamente di vincere grazie al voto silente di chi si ‘vergogna”.

Anche Blogo preferisce un’impostazione istituzionale, spiegando come funziona il voto e quali saranno le possibili conseguenze senza schierarsi nè per il si nè per il no.

Ancora più distaccata Linkiesta, che snobba il tema politico del giorno, dedicando l’aperta dell’home page alla Siria; di fianco, un articolo sui fondi stranieri che stanno comprando Milano. Solo in una colonnina dedicata agli ‘Ultimi articoli’ finalmente si parla di referendum: “Sì o No? Tutte le amicizie distrutte per colpa del referendum” è il titolo dell’articoletto, firmato LinkPop, dove si dice che “il referendum confonde tutto, suscita comportamenti inattesi, rimescola antiche ideologie e mette a rischio matrimoni e storie d’amore”.

Anche Today, il giornale online nazionale di Citynews, ignora quasi totalmente il referendum. Bisogna scorrere fino a metà dell’home page per trovare il primo e unico titolo dedicato alla consultazione: “Referendum, sul Pirellone spunta un enorme No: è polemica”.

Per trovare qualcosa di piccante sul tema bisogna andare, come al solito, su Dagospia. Il giornale online di Roberto D’Agostino apre infatti con due grandi foto di foto di Maria Elena Boschi in costume da bagno e nel titolo si chiede: “Astro nascente o stella cadente? Col referendum si decide il destino della Boschi“.

Sull’Huffington Post, forte presa di posizione per il no da parte della direttora Lucia Annunziata che da tempo va ribadendo le ragioni del suo no alle proposte referendarie considerate “deboli perché inefficaci”. Scrive Annunziata: “Per spiegare le ragioni di questo No evito di proposito di entrare nel merito delle questioni costituzionali, perché questo voto è innanzitutto un passaggio politico, e non solo italiano. E io sono contraria alle soluzioni che ci vengono proposte. Deboli perché inefficaci. Alla crisi fra classi dirigenti e cittadini, che serpeggia da anni nelle nostre democrazie, la ricetta che i governi propongono è quella di tentare di limitare le aree dello scontento, di stringere un cordone intorno al dissenso, usando il peso delle relazioni di classe, il peso degli interessi economici, la forza delle strutture pubbliche e, infine, a volte, anche la limitazione del ricorso al voto o, quando è il caso, al referendum, come in Inghilterra e, prima, in Grecia. Nel nome di una bandiera: la stabilità innanzitutto. Finora la esperienza ci ha detto che questa soluzione non funziona. Eppure, ora che tocca al nostro paese, l’Italia in maniera ostinata e per me sorprendente si è incamminata sulla stessa strada: al No è stato attribuito il solito valore distruttivo, al Sì la funzione positiva, della continuità e della forza istituzionale. In questo senso, come ormai anche chi sostiene il Sì ammette, il referendum è un passaggio squisitamente politico – a dispetto di tutte le discussioni sul contenuto della riforma costituzionale, su cui appunto è quasi inutile a questo punto entrare – il risultato delle urne sarà un giudizio a favore o contro il governo. Una ‘deviazione’ dell’istituto referendario su cui non si può essere d’accordo. Ma che era quasi inevitabile, vista la nostra storia recente”.

Su Blitz Quotidiano il direttore Marco Benedetto fa un endorsement esplicito ma per il fronte opposto a quello di Annunziata, anche se con poche illusioni per il futuro che ci attende. “Andate a votare, domani, domenica 4 dicembre 2016 e votate Sì se volete una ultima occasione di rimettere in piedi la nostra povera Italia”, dice Benedetto. “Renzi ce la farà? Non ne sarei così sicuro; se vincesse il referendum avrebbe davanti da sei mesi a un anno e mezzo per un pellegrinaggio alla Madonna della Guardia pregando che la congiuntura mondiale migliori e intanto darsi da fare per spezzare la catena di omertà che ci ingabbia e spezzare almeno un po’ i conflitti di interesse che ci soffocano. In fondo al breve tunnel ci sono le elezioni e molte sembrano le chances che le vinca il Movimento 5 Stelle, non il Pd”. E conclude Benedetto: “Se la Costituzione più bella del mondo deve esprimere al meglio un grande sport nazionale, quello del gioco a insabbiare, allora votate No. Poi non vi lamentate se i vostri figli o i vostti nipoti se ne andranno all’estero a cercare lavoro. Chi resterà in Italia? Quelli del No”.