E’ morto oggi a Roma Alberto Statera, 69 anni, editorialista di Repubblica, uno dei protagonisti del giornalismo italiano negli ultimi 47 anni. Romano, aveva iniziato l’attività giornalistica nel 1969 all’Agi. Nel 1971 era entrato nella redazione dell’Espresso, entrando a far parte della squadra di Eugenio Scalfari, curando tra l’altro la serie di reportage su palazzinari e imprenditori, ‘I padrini del vapore’. Successivamente, per un decennio assunse il ruolo di caporedattore economia, quindi caporedattore centrale del settimanale con la direzione di Livio Zanetti. In quegli anni con Paolo Mieli innovò con la serie ‘Terzo grado’ l’intervista politica.
Nel 1983 su richiesta dell’editore Carlo Caracciolo assunse la direzione della Nuova Sardegna, testata apppena acquistata dal gruppo: in tre anni aprì edizioni nelle province dell’isola e raddoppiò la diffusione. Nel 1986 passò alla Mondadori con il ruolo di direttore editoriale delle testate economiche del gruppo per poi assumere la direzione di Epoca e di Storia illustrata. Quando nel 1990 Silvio Berlusconi prese il controllo dell’editrice, Statera si dimise per “causa di coscienza” e per un anno guidò il servizio economico di Repubblica per trasferirsi, poi, alla Stampa.
Cinque anni, e ritornò al Gruppo Editoriale L’Espresso per dirigere Il Mattino di Padova, La Nuova Venezia, La Tribuna di Treviso. Quindi, dal 2000 al 2005 assunse la responsabilità del Piccolo di Trieste. Nel 2005 torno a Repubblica come editorialista. Ricordando Statera in un articolo sul sito di Repubblica, Marco Panara , l’altro scrive, “La sua prima cifra era la libertà, una libertà quasi sfacciata. La seconda era la scrittura, un talento che gli consentiva di graffiare senza offendere, di raggiungere limpidamente il cuore della vicenda”
Statera era anche autore di libri: ‘Storie di Preti e di palazzinari’ del 1977, ‘Un certo De Benedetti – In nome del capitalismo’ del 1984, ‘Perché loro – Biografia non autorizzata di Silvio Berlusconi’ del 1985, ‘Cossiga’ sempre nel 1985, ‘Prodi’ nel 1990, ‘Il Termitaio – I signori degli appalti che governano l’Italia’ del 2009.
Proprio in occasione della pubblicazione del suo ultimo libro, nel giugno 2009 Prima fece un’intervista a Statera, che qui di seguito pubblichiamo
Prima – giugno 2009, n. 396
‘Io non ci dormo la notte’
dice Alberto Statera, giornalista di punta di ‘Repubblica’, spaventato da come è diventato il potere in Italia: una rete dove a tessere sono appaltatori senza scrupoli, politici senza morale, amministratori senza cervello. Come racconta nel suo nuovo libro ‘Il termitaio’
Lui non vuol dirlo (anzi, mi diffida dallo scriverlo) ma la verità è che Alberto Statera è – e sa di essere – uno dei pochi direttori che sa tenere una penna in mano. Penna avvelenata dall’indignazione per un Paese che precipita allegramente verso lo scatafascio, penna infuocata con un’opposizione fiacca e impotente, penna furibonda contro il mercimonio costante di appalti e controappalti, penna acuminata quando si tratta di descrivere una politica snervata e piegata agli interessi dei nuovi e potentissimi ras di provincia.
Nato e cresciuto professionalmente in via Po nella storica redazione romana dell’Espresso, vicino a Eugenio Scalfari, Statera, come il suo maestro e modello, è un giornalista che capisce di economia, politica e società, un mix raro nel panorama dell’informazione italiana. Oggi è inviato della Repubblica, dove firma anche ‘Oltre il giardino’, una pepata rubrica sul settimanale economico del lunedì, Affari e finanza, dopo essere stato direttore di numerose testate locali del Gruppo Espresso (dalla Nuova Sardegna, ai Quotidiani Veneti e al Piccolo). Molti anni sul campo che gli hanno permesso di conoscere bene e da vicino la provincia italiana di cui non ha mai smesso di occuparsi, e che ha anche battuto durante l’ultima campagna elettorale.
Adesso, su spinta del capo editor della saggistica della Rizzoli, Carlo Alberto Brioschi, Statera esce con un libro (‘Il termitaio. I Signori degli appalti che governano l’Italia’, in libreria dal 17 giugno) che è poi una gigantografia angosciata e angosciante dell’Italia all’inizio del nuovo millennio, un’Italia che appare come una rete di ragno dove a tessere ci sono appaltatori senza scrupoli, politici senza morale, amministratori senza cervello.
Ci sono dentro storie che hanno invaso le cronache di questi ultimi mesi, la vicenda sconvolgente del malaffare targato Romeo che ha inguaiato Bassolino e Co., gli appalti in Sardegna, a Vicenza, in Abruzzo e in Molise, il business degli Angelucci e di Caltagirone, la Milano ridicolizzata dall’operetta Expo. Ne esce, scrive Statera, “un’Italia di millanterie, di debolezze, di degenerazioni piccole e grandi”.
Mentre parla, incazzato come una biscia, ogni tanto si ferma e riflette: “Forse sono troppo vecchio, meglio che vada in pensione”. Viene spontaneo incoraggiarlo facendogli notare che non è che le nuove generazioni stiano poi dando una prova così convincente di saper tener botta. Eccoli lì i funzionarietti di partito e i giornalisti di primo pelo, maschi e femmine, magari antiberlusconiani di professione ma allevati con una mentalità da televisione commerciale, all’arrembaggio di un potere che sembra a portata di mano o di chiappa. Ma quale pensione, Statera! Qui, per quelli come lei, c’è ancora molto da fare prima di rinchiudersi in qualche casale di campagna a collezionare francobolli e ricordi.
Prima – Come le è venuto in mente di scrivere un libro come questo?
Alberto Statera – Brioschi mi ha dato il tormento per un anno. Alla fine ho ceduto. Del resto si tratta di materia di cui mi sono già occupato a lungo. Quando mi chiamano a una sfida sul campo non mi rifiuto. Quando smisi di fare il direttore di Epoca, perché alla Mondadori era arrivato come editore Silvio Berlusconi, e dovetti rimettermi a scrivere prima a Repubblica e poi alla Stampa, la considerai una sfida.
Prima – Come definirebbe ‘Il termitaio’?
A. Statera – Un piccolo romanzo della diversità perduta che è poi il grande tema oggi di questo Paese. Prima c’era una sinistra che aveva una ideologia, radici storiche, punti di riferimento, icone. Se vai a vedere nella provincia – che poi è quello che produce tutto – trovi che sono tutti uguali. La diversità è l’elemento perduto di chi rappresentava un pezzo del Paese. Oggi ero a pranzo con uno di sinistra che mi diceva: “Ma chi se ne frega se Apicella era sull’aereo di Berlusconi! Non è questo il problema”. E io: “Ma come non è questo il problema?! E invece il problema è proprio questo!!”.
Prima – Su, non si arrabbi…
A. Statera – Sì che mi arrabbio, perché secondo me il problema è esattamente Apicella con l’assistente e la ballerina sull’aereo presidenziale. Quando parlo di diversità perduta, parlo di princìpi che fino a qualche anno fa erano rappresentati da una certa sinistra e che oggi sono invece dispersi. Io non ci dormo di notte. Purtroppo è cambiata la percezione del Paese e forse noi vecchi siamo inadeguati per capirla.
Prima – Non mi dica che pensa che si stava meglio quando si stava peggio.
A. Statera – Vede, io credo che la sinistra abbia perso quel piccolo tesoretto dei suoi princìpi. Non è che prima non rubassero o non facessero mignottate. Le facevano eccome! Però nessuno rubava per conto proprio ma semmai per il partito, e tutt’al più si accontentavano di costruirsi una casetta. Piccole cose. Oggi questo è un sistema. Molti si buttano in politica per rubare. Lo sa che cosa mi ha colpito oggi?
Prima – Mi dica.
A. Statera – Oggi mi ha colpito Claudio Velardi, uno che non si sa come sia diventato assessore al Turismo della Campania e che sui giornali dà dello stalinista a D’Alema, di cui è stato per una vita il braccio destro. Velardi è uno dei colpevoli della perduta diversità della sinistra perché era lui che quando D’Alema era presidente del Consiglio faceva gli intrallazzi più biechi che portarono a far parlare Guido Rossi della merchant bank di Palazzo Chigi. D’Alema sarà pure un arrogante, ma come si permette Velardi di parlare così?
Prima – Che cos’è il termitaio che dà il titolo al suo libro?
A. Statera – Il termitaio è esattamente questo. Il termitaio l’ha descritto bene Antonio Bassolino in un’intervista che gli ho fatto qualche mese fa, che è nel libro e in cui dice: ma come D’Alema parla di cacicchi? Noi cacicchi siamo quelli che rappresentano il partito. La sinistra infatti è diventata il partito dei cacicchi, dove uno come Velardi può dare lezioni a un leader che ha dei pregi rispetto a lui.
Prima – Che differenze ci sono tra l’oggi e la Tangentopoli degli anni Novanta?
A. Statera – Ai tempi della prima Tangentopoli c’erano i partiti forti che decidevano chi mettere nei posti di potere dove si distribuiscono assunzioni, clientele, soldi, appalti… Oggi nella nuova situazione capita esattamente il contrario: sono i grandi signori degli appalti quelli che guadagnano miliardi e miliardi di euro con appalti su misura, che decidono come si svolgono i congressi dei partiti, sono loro a decidere chi deve vincere. E chi deve vincere è uno che deve garantire loro l’affare con gli appalti. Insomma, si è invertito il sistema.
Prima – Che è come dire che mentre prima la politica era padrona degli appalti, oggi gli appalti sono diventati padroni della politica.
A. Statera – Esatto. I partiti dipendono da quello che decidono i signori degli appalti, tanto che il libro si apre e si chiude con il signor Romeo, che ha appalti in tutta Italia. Secondo lei comanda più Franceschini o, fino a ieri, Romeo che condizionava i congressi regionali? Questo pone tra l’altro il problema del maggior peso che ha la provincia rispetto ai vertici nazionali. Quando Bassolino fa l’elogio dei cacicchi dice una cosa reale: spesso un sindaco eletto direttamente o un assessore contano più di un leader nazionale.
Prima – Questo vale tanto a destra che a sinistra.
A. Statera – Assolutamente. Quando si vanno a vedere i massimi vertici del sistema – Ligresti, Caltagirone, Geronzi – si capisce che si tratta di un sistema nel quale tutto si tiene. Saltato il sistema-Cuccia che comunque aveva un certo disgusto per la politica, si è sostituito il sistema-Geronzi per cui tutto è politica. E non gliene frega niente se è di destra o di sinistra. Gli interessa tenere insieme un blocco di potere e dei partiti può benissimo farne a meno. Il blocco di potere che controlla oggi Geronzi (controllando Mediobanca e quindi le Generali e quindi le grandi banche) è qualcosa che va al di là di qualunque potere dei partiti, è più potente. Questo è quello che si è verificato oggi. C’è persino da rimpiangere un sistema un po’ malaticcio come era quello di Cuccia. Oggi il sistema Geronzi-Ligresti-Caltagirone è tutto un sistema fondato sulla politica. La vittoria a Roma di Alemanno chi l’ha prodotta se non Caltagirone? Anche se sicuramente anche Veltroni faceva i suoi interessi, in quel momento Caltagirone giudicava che i suoi interessi li avrebbe fatti meglio l’ex fascista, come infatti si è poi rivelato nell’operazione Acea. Io forse esagero ma questo è il tema: il piccolo romanzo della diversità perduta a sinistra che poi produce un sistema tutto uguale, che secondo me non potrà durare troppo a lungo. Il Paese disastrato alla fine non ne potrà più.
Prima – È la sintesi che lei ne fa, il puzzle che mette insieme che scuote chi legge. Ma queste cose i giornalisti devono scriverle nei libri perché non c’è più spazio nei giornali?
A. Statera – Se lei vede i giornali vedrà anche che sono orientati in tutt’altra direzione. Io sono disorientato da quello che leggo. È tragico. Chi fa l’opposizione in questo Paese? Per non parlare del fatto che secondo me il Paese è molto più a destra di Berlusconi e di Bossi ed è purtroppo piuttosto menefreghista su Noemi e le Ville Certosa. Questi fanno la politica del giorno per giorno. A destra non c’è politica. Ma che politica hanno fatto fino a ora? L’unico che ci prova è Tremonti tenendo stretti i cordoni della Borsa proprio in un momento in cui tutti i Paesi occidentali applicano politiche keynesiane. Qui rischiano di ricomparire le Brigate Rosse prima o poi. Il governo non fa nulla e l’opposizione non è in grado di contrapporre nulla.
Prima – Il libro nasce dalla sua incazzatura?
A. Statera – Io non scrivevo libri da anni perché facendo il direttore non ne avevo tempo. Ora avendo qualche agio maggiore l’ho fatto. Non molti ricordano che io scrissi la prima biografia non autorizzata di Berlusconi. Allora quando c’erano più spazi di libertà venivo invitato da tutte le televisioni e fui anche invitato una domenica da Pippo Baudo. Mi trovai come avversaria una morona molto vicina a Berlusconi, la Brigliadori. Baudo interrogava, io dicevo qui bisogna capire come Berlusconi ha fatto i soldi, le società lussemburghesi… e la Brigliadori mi saltò al collo. Quando la signora Veronica dice che suo marito sta male e bisogna curarlo, non capisce che quello stava male già venticinque anni fa! Questo Paese va a puttane.
Prima – Torno sull’argomento giornali: ho l’impressione che un racconto giornalistico come questo trovi sempre meno spazio nei giornali e sempre più spazio nei libri.
A. Statera – I giornali sono ormai merce di scambio, asserviti. L’ultima tornata di nomine di direttori la dice lunga. Io faccio il giornalista dal ’69 e non ho mai visto spazi così chiusi. Quando c’era la Democrazia cristiana scrivevamo tutto. Oggi non è più così. Il clima è totalmente diverso. Un tempo c’erano la Dc e il Pci ma quello verso cui stiamo andando è molto peggio. Glielo ripeto: tutti gli spazi che c’erano per noi giornalisti si chiudono. Io leggo anche Libero e Il Giornale. Il fatto che dei giornalisti per gratificare il capo sputtanino la moglie, io la trovo una di quelle cose… Ma questi sono giornalisti? Mi immagino io, direttore di Libero, che dico: tu devi sputtanare Veronica. Le vere veline sono i giornalisti oggi. La poveretta che ha 19 anni e vuol fare la velina la capisco pure, ma quando leggo queste robe… Ma sono ormai fuori tempo.
(Daniele Scalise)