Come e perché Sky Italia, che impiega 4.000 dipendenti,per la prima volta fa la faccia feroce e chiede 200 esuberi e 300 trasferimenti. Una manovra che riguarda il 70% di coloro che lavorano nella sede di Roma. Milano intanto si appresta a diventare il grande hub tecnologico del gruppo in Europa
L’email che annunciava la potente riorganizzazione della sede romana di Sky Italia (120 gli esuberi nella capitale e circa 300 tra tecnici, giornalisti e altri dipendenti trasferiti a Milano – il che significa un impatto sul 70% della forza lavoro della sede capitolina – cui si aggiungono altri 80 esuberi nel gruppo) è giunta nelle caselle di posta elettronica dei dipendenti martedì 17 gennaio. Il mittente: Andrea Zappia, amministratore delegato. Il giorno dopo, durante l’assemblea dei lavoratori, le scosse di terremoto avvertite anche nella gigantesca sede ai confini urbani sulla via Salaria sono state vissute come una sorta di sinistra conferma dell’avvio di una fase drammatica, che non conosce molti precedenti nel mondo dei media italiani, in un’azienda che, resiliente durante la crisi e capace di rilanciare e mutare pelle, era rimasta pressoché indenne dalle ansie che hanno segnato il comparto editoriale in questi anni.
Repentino è stato il cambio del clima nella media company che impiega 4.000 persone e che è guidata da Andrea Zappia: solo due anni fa infatti aveva festeggiato in gran pompa il decennale sottolineando i successi delle proprie scelte strategiche, come l’apertura tempestiva alla trasmissione in streaming per anticipare Netflix e le altre ott e allargare a nuove fasce di pubblico la penetrazione del proprio prodotto, a cui si è aggiunta l’offerta veicolata con successo e gradimento degli abbonati sui device mobili e l’implementazione dell’on demand.
Anche nei mesi più recenti i bollettini aziendali, scritti con l’inchiostro dell’ottimismo, parlavano di vittorie su vittorie. La più rilevante, forse, quella che ha visto crescere di nuovo il proprio parco abbonati (+17mila nell’anno fiscale 2016) con la tenuta dell’arpu intorno a 42 euro per abbonamento e il controllo del ‘churn rate’ (il tasso di abbandono) nelle medie di Sky Europe, pur di fronte all’offensiva aggressiva del concorrente più diretto, Mediaset Premium, che aveva comprato la Champions League mirando al cuore dell’avversario.
L’articolo è sul mensile Prima Comunicazione n. 479 – Gennaio 2017