Martedì incontro a Palazzo Chigi per risolvere la vertenza sulla distribuzione dei fondi alle agenzie di stampa dopo la bocciatura del Tar della direttiva Lotti. Tre gli scenari possibili, ma non è escluso anche un ricorso dell’esecutivo al Consiglio di Stato

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Giampaolo Roidi – Martedì 21 febbraio, ore 10.30, Palazzo Chigi. L’appuntamento era previsto in realtà per oggi, venerdì 17, ma è stato spostato alla prossima settimana, causa Consiglio dei ministri che occuperà anche Luca Lotti, ministro dello Sport, a cui il premier Gentiloni ha lasciato la delega all’editoria. Martedì prossimo le agenzie di stampa italiane conosceranno il piano con cui il governo intende risolvere la vertenza sulla distribuzione dei fondi (34 milioni), dopo che il Tar del Lazio, il 25 gennaio scorso, ha annullato la direttiva Lotti (giugno 2015) con la quale il dipartimento dell’editoria aveva regolamentato la fornitura delle agenzie per gli anni 2016 e 2017.

Luca Lotti (foto Olycom)

Il Tar, come noto, ha accolto l’ultimo ricorso presentato da Agv News, editore dell’agenzia Il Velino, rimasta esclusa dai finanziamenti per non aver voluto aderire alle nuove regole imposte dalla direttiva, non riconoscendole come legittime. Una bocciatura sonora, quella del Tar, a cui il governo deve rimediare in fretta, visto l’approssimarsi della scadenza (30 giugno) della proroga concessa a fine 2016 alle stesse agenzie in attesa proprio del pronunciamento del Tar. Gli scenari sono tre: una nuova direttiva che riformi nella sostanza quella bocciata (ma con un accordo con gli editori), un disegno di legge o un decreto subito operativo. Ma non è per nulla escluso che il governo decida invece di ricorrere al Consiglio di Stato, provando a difendere i nuovi criteri di ammissibilità ai fondi (sempre ottenuti attraverso il meccanismo delle convenzioni per la fornitura di servizi), magari concedendo una nuova proroga dello status quo, per consentire alle agenzie di chiudere i bilanci 2016 (per alcuni la quota di ricavi derivanti dai fondi pubblici è superiore al 40%) e tirare il fiato almeno fino al 31 dicembre.

Ma andiamo per ordine. I giudici del Tar del Lazio hanno ritenuto fondato il ricorso proposto dal Velino e istruito dal professor Federico Tedeschini per contestare i requisiti fondamentali previsti dalla direttiva: 50 giornalisti assunti, 3 sedi nazionali, 15 ore di trasmissione al giorno per sette giorni la settimana, 500 lanci giornalieri, abbonamenti a 30 testate, nonché alcuni specifici parametri economici. Paletti insopportabili, per l’agenzia diretta da Luca Simoni, messi dal governo Renzi per ridurre la platea degli aventi diritto, fare spending review e – questo il sospetto di alcuni – far fuori le redazioni sgradite. Come scritto da Prima il 7 febbraio scorso, per i giudici amministrativi “resta oscuro il profilo, centrale, del modo in cui i nuovi criteri si conciliano con il rispetto del pluralismo”. Ancora: “Appare evidente come la motivazione centrale dell’atto sia costituita dalla contrazione dei fondi disponibili”. Per il tribunale di via Flaminia la motivazione della contrazione dei fondi “è espressa in maniera estremamente generica e non è in alcun modo collegata, in termini di apprezzabile necessità, con l’individuazione dei nuovi criteri”. In altre parole, i suddetti criteri stridono troppo con la ratio delle leggi che dal ’54 si sono succedute per regolamentare la materia e in particolar modo con la 286 del 2006.

“Noi abbiamo tentato in ogni modo di convincere il governo a trovare un accordo sostenibile per tutti”, dice a Prima l’ad di una delle 10 agenzie alla finestra, “criteri più accettabili anche dagli editori più piccoli, proprio per evitare conflitti di legislazione. Ma non c’è stato verso, il governo ha voluto imporre la sua linea e questo è il risultato. Ora voglio vedere come se ne esce, anche perché qualcuno ha ottemperato alla direttiva Lotti, facendo investimenti importanti, per poi ritrovarsi la direttiva annullata dal Tar”. Tra questi c’è LaPresse di Marco Durante (che in questi giorni è all’estero e fa sapere a Prima di non voler commentare in nessun modo l’accaduto).LaPresse, per fare un esempio, ha assunto negli ultimi 18 mesi 33 giornalisti, comprando due piccole agenzie. AskaNews, nata nel 2014 dalla fusione tra Asca e TMNews, ha dovuto aprire la terza sede (a Firenze), altri hanno preferito attendere l’esito del ricorso del Velino realizzando delle Ati (associazioni temporanee di impresa), come Agi e Italpress, o dei raggruppamenti temporanei (Ansa/9Colonne), autorizzati dalla direttiva ma in teoria ammesse ai contratti di fornitura soltanto per il 2016.

Prima di martedì, difficile strappare una dichiarazione ufficiale. “Ma per evitare che la vicenda finisca a Bruxelles”, dice il presidente di un’agenzia, “Lotti deve fare una nuova legge che convinca tutti ed eviti nuovi, pericolosi ricorsi, oppure prorogare sine die il meccanismo delle Ati. Se le risorse sono e saranno meno, vorrà dire che avranno tutti un po’ meno, ma non c’è altra via”.

Già, Bruxelles. Lo spettro è quello della gara europea (per assegnazioni pubbliche di queste dimensioni, sarebbe la regola). Se partecipassero i big dell’informazione francese o inglese, in quanti sopravviverebbero delle attuali agenzie italiane? “Troveremo una soluzione”, fanno sapere da Palazzo Chigi, “ma noi vogliamo fare una riforma vera. Non è più accettabile che agenzie che hanno problemi col Fisco o che non applicano il contratto di lavoro in maniera seria e trasparente possano ottenere contratti di fornitura milionari in nome della pluralità dell’informazione”. Martedì a illustrare la decisione del governo ci sarà Luca Lotti in persona.