Il New York Times si riorganizza e offre buonuscite ai dipendenti della sua redazione. L’offerta è diretta soprattutto ai caporedattori, ma è aperta anche ad altri. ”L’obiettivo è spostare l’ago della bilancia dai capi ai giornalisti, in modo da averne più sul campo per sviluppare contenuti originali” spiegano Dean Baquet, l’executive editor, e Joseph Kahn, managing editor, sottolineando che i risparmi saranno usati per assumere fino a 100 giornalisti.
Se non ci fossero abbastanza volontari per le buonuscite, non è da escludersi il ricorso ai licenziamenti.

L’offerta arriva mentre il ‘New York Times’ sta cercando di trasformarsi, spostando sempre più la sua attenzione dal cartaceo al digitale. Nelle scorse settimana è stata annunciata una crescita forte del digitale, con un aumento del 19% dei ricavi da pubblicità online. Ma i progressi nell’online non sono abbastanza per bilanciare il calo della pubblicità sulla carta stampata, scesa del 18%. I
Il quotidiano sta iniziando a contare sempre più sui ricavi da abbonamenti, balzati in modo particolare con le elezioni e la vittoria di Donald Trump, tanto che nell’ultimo trimestre sono sono aumentati di 308.000 unità.
Ma questo non è l’unico cambiamento in arrivo per il giornale. L’editore Arthur Sulzberger Jr in una nota ha comunicato che a breve verrà eliminata anche la figura del public editor. A coprire la posizione attualmente è Lyz Spayd, in carica dal 2016. Sesta a ricoprire il ruolo dal 2003 – quando venne istituito per ricostruire la fiducia con i lettori dopo lo scandalo che ha coinvolto Jayson Blair, giornalista del ‘Times’, accusato di aver fabbricato fonti plagiando più volte articoli e contenuti – Spayd lascerà l’incarico già domani.
“I nostri follower sui social e i nostri lettori su internet sono diventati collettivamente dei moderni ‘cani da guarda’, più vigili e più forti di quanto una persona possa mai essere”, ha scritto Sulzberger Jr. “La nostra responsabilità è di potenziare tutti quegli osservatori, e di ascoltarli, piuttosto che canalizzare la loro voce attraverso un unico ufficio”.
Al momento restano pochi i gruppi editoriali, incluso Npr e Espn, che mantengono figure come quella del public editor o simili.