“Sono molto addolorato per la scomparsa di Carla Fendi una donna colta e sensibile che ha fatto del mecenatismo una cifra della sua vita”. Così il ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini ha ricordato la stilista scomparsa ieri. “Sono passate solo poche settimane da quando abbiamo presentato insieme la sessantesima edizione del festival di Spoleto e abbiamo parlato dei tanti progetti della sua Fondazione nata per sostenere la cultura e sensibilizzare i privati per la preservazione di beni e valori culturali del passato e garantire la continuità e la crescita nel futuro. È un giorno triste per la cultura italiana – conclude Franceschini – se ne va una donna colta e sensibile di cui sentiremo la mancanza”.
Ecco l’intervista di ‘Prima Comunicazione’ a Carla Fendi sul numero 452 del mese di agosto 2014 (.pdf).

“Il ministro per i Beni e le attività culturali, Dario Franceschini, intervenendo alla presentazione del Festival dei due mondi di Spoleto, l’ha citata come modello d’intervento privato in aiuto del patrimonio artistico per il restauro e la gestione del Teatro Caio Melisso. Un riconoscimento di cui Carla Fendi va molto fiera perché è la prima volta che un’istituzione riconosce il lavoro svolto dalla sua fondazione a favore di Spoleto e del suo Festival.
La Fondazione Carla Fendi, nata nel 2007, con la missione “di dare contributo e assistenza per preservare beni e valori culturali del passato e per garantirne la continuità e la crescita nel futuro”, è infatti main partner dell’evento umbro da quando Giorgio Ferrara ha preso in mano la direzione artistica nel 2008. Regista cinematografico e teatrale, stretto collaboratore di Luchino Visconti e di Luca Ronconi, Ferrara si è molto dato da fare per riportare il Festival – adesso gestito dalla Fondazione Festival dei due mondi di Spoleto – a essere un palcoscenico di qualità internazionale per concerti, balletti, pièce teatrali, com’era stato negli anni d’oro del mitico fondatore Gian Carlo Menotti.
Grande amica di Menotti (mancato nel 2007), Carla Fendi ha deciso di collaborare per portare avanti la sua eredità prendendosi cura dell’antico Teatro Caio Melisso ed entrando a far parte nel 2013 del consiglio di amministrazione della Fondazione del Festival di cui è anche presidente onorario. Un ruolo impegnativo sia da un punto di vista economico sia pratico, infatti la Fondazione Carla Fendi non solo ha avviato un totale rifacimento strutturale e pittorico del Caio Melisso, ma si è anche accollata la produzione della programmazione 2014 del teatro, portando tra l’altro il 12 luglio per la prima volta al Festival di Spoleto Riccardo Muti che ha diretto la sua orchestra di giovani Luigi Cherubini nel ‘Concerto per un amico’, in memoria di Candido Speroni, il marito di Carla Fendi scomparso l’anno scorso dopo cinquant’anni di matrimonio e di condivisione dell’amore per l’arte.
Quarta delle sorelle Fendi, dopo gli studi classici, entrata alla fine degli anni Cinquanta ancor giovane nell’azienda di famiglia a fianco delle sorelle Paola, Anna, Franca e poi Alda, Carla è sempre riuscita a unire il suo amore per il lavoro, per la comunicazione e la cultura. Sempre impegnata con le sorelle a sviluppare la griffe di famiglia, nel 1994 diventa presidente del gruppo, incarico che mantiene fino al 2000 quando il gruppo francese Lvmh, già entrato nell’azionariato insieme a Prada, assume il controllo dell’azienda. Dal 2004 al 2008, grazie agli ottimi rapporti con Bernard Arnault, gran capo di Lvmh, Carla Fendi torna a occuparsi della direzione Immagine istituzionale del gruppo di cui dal 2008, quando lascia l’incarico, è presidente onorario a vita. Ma ancor prima di lasciare la piena attività, Carla Fendi dà vita nel 2007 alla sua fondazione. Nel 2014 promuove una borsa di studio biennale 2015-2016 legata al mondo dell’arte.
Grande esperta di comunicazione, cosa che ha molto contribuito al successo del marchio della doppia ‘F’ negli Stati Uniti (è stato il secondo gruppo italiano, dopo Valentino, a sbarcare oltreoceano) e poi nel mondo, Carla Fendi capisce presto il valore della contaminazione tra moda e cultura. Non a caso, a metà degli anni Ottanta decide di celebrare i sessant’anni di Fendi e i vent’anni della collaborazione con Karl Lagerfeld organizzando la mostra ‘Percorso di lavoro’ alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. Un evento che fece scandalo tra gli intellettuali parrucconi dell’epoca, che accusarono “il pubblico di fare da passerella al privato”.
“A quel tempo in Italia la moda, contrariamente a quello che succedeva a New York e a Londra, non era mai stata nei musei. E per organizzare la mostra alla Galleria nazionale incontrammo non pochi ostacoli”, ricorda Carla Fendi, ancora stupefatta. “Ci prestò attenzione Amintore Fanfani, allora presidente del Senato, che stentava a credere che alla Galleria ostacolassero il nostro progetto. Così ci incontrammo nel suo studio insieme a Karl Lagerfeld – al quale Fanfani scherzosamente chiese se poteva tirargli il codino – insieme al soprintendente della Galleria, Dario Durbè, sa quello della vicenda dei falsi Modigliani che di lì a poco gli sarebbe costata il posto”, racconta Carla Fendi divertita, che continua: “Durbè senza mezzi termini ci disse: ‘La moda non entrerà mai nel mio museo! Se mi si dovesse porre l’alternativa: o entra la moda o stuprano mia figlia, faccio stuprare mia figlia’. A quelle parole per poco Fanfani non cadde per terra, e poi mi disse: ‘Ma chi ce l’ha messo questo?’. Sul caso ci fu anche un’interrogazione parlamentare; Fanfani ci aiutò e alla fine riuscimmo a fare la nostra mostra e un grande studioso come Arturo Carlo Quintavalle firmò la presentazione del libro-catalogo”.
Prima – È una bella storia per far capire le difficoltà che ci sono in Italia nel rapporto tra istituzioni culturali pubbliche e privati. Ma mi tolga una curiosità, perché si era fissata a voler fare a tutti i costi la mostra alla Galleria nazionale d’arte moderna?
Carla Fendi – Per una questione affettiva: è il museo dove mio padre ci portava tutte le domeniche. Mio padre ci ha nutrite di cultura, insegnandoci che il suolo pubblico è più importante di quello privato, e che si doveva lavorare non solo per noi, ma anche per il Paese e la sua storia. Mi ricordo come soffrì mia madre quando lo storico Caffè Aragno di via del Corso venne venduto all’Alemagna, che buttò via tutti gli antichi arredi. Da quel momento volle che ci battessimo per una legge che obbligasse chi compra botteghe storiche a continuare nella loro attività. Quando un ‘jeansarolo’ fu sul punto di comprare il Caffè Greco di via Condotti presentammo subito un esposto al sindaco di allora, che era Francesco Rutelli, che ci diede ascolto e il Caffè Greco è ancora lì.
Prima – Quindi secondo lei il mecenatismo non nasce dal nulla, deve essere trasmesso come un valore?
C. Fendi – Scuola e famiglia si devono impegnare per formare persone in grado di capire, conoscere, apprezzare il tesoro culturale che hanno a disposizione. Mio padre, un uomo di grande creatività che amava il design, ha segnato la nostra formazione e lo stile dell’azienda. Quando nel 1989 abbiamo inaugurato il nostro primo negozio a New York sulla Quinta Strada ho pianto pensando a lui.
Prima – Dal primo negozio in via del Plebiscito a Roma Fendi ne aveva fatta di strada.
C. Fendi – I miei genitori, Edoardo e Adele, divennero una coppia di successo col negozio di pelletteria e guarnizioni di pelliccia, sciarpe, colli, manicotti, aperto nel 1925. Tanto che a Roma si diceva “andiamo da Fendi al Plebiscito”. Mio padre era bravissimo a trovare il posto giusto per i punti di vendita. Aveva cominciato dal niente, sui debiti. Ma allora le banche davano fiducia al piccolo imprenditore. Ricordo che spesso quando uscivo da scuola, passando davanti alla banca vicino al negozio i funzionari che incontravo mi prendevano in braccio quasi a testimoniare il rapporto di affetto e fiducia con la nostra famiglia. Poi nel 1965 alla nostra abilità artigianale si affianca uno stilista eccezionale come Karl Lagerfeld. Lavorare con lui fu un vero salto culturale. Lagerfeld ha un carattere non facile, ma è una persona straordinaria. Per me è stata una bellissima scuola quotidiana e per Fendi un successo straordinario.
Prima – Allora perché avete deciso di passare la mano ai francesi di Lvmh?
C. Fendi – Fu un grande sacrificio. Nel 2000 prendemmo una decisione in anticipo rispetto ai nostri colleghi della moda. La vendita ai francesi sorprese moltissimo. Nonostante non toccassimo i dividendi e vivessimo degli stipendi, la globalizzazione, il superamento del modello del franchising e la strada obbligata di aprire negozi monomarca nel mondo per essere sempre competitivi, richiedevano grandi risorse. Abbiamo anche pensato che fosse giusto dare un futuro certo ai nostri collaboratori. E ora siamo contenti.
Prima – In Italia non c’erano capitali da investire?
C. Fendi – Non è solo un problema di soldi, ma di credere nella moda. Ci hanno creduto i francesi di Lvmh che hanno dimostrato di essere un gruppo di grande professionalità che sa approcciare con rispetto i mercati in cui opera. In quest’ottica va anche letto il progetto ‘Fendi for Fountains’, lanciato nel 2013 per i restauri della Fontana di Trevi e del complesso delle Quattro Fontane.
Prima – Bernard Arnault ormai è di casa nel nostro Paese, dove il gruppo controlla molte tra le principali aziende del lusso e dove gli è stata conferita l’onorificenza di Grande Ufficiale Ordine al merito della Repubblica Italiana.
C. Fendi – Non fu così facile fargli avere il riconoscimento perché capitammo nel periodo tra il fine mandato di Ciampi e l’inizio di quello di Napolitano. Mi dissero: “Non si preoccupi, gliela facciamo dare in Francia”. Ma io insistevo perché la cerimonia fosse al Quirinale. Mi sembrava fondamentale un rapporto diretto con le nostre massime istituzioni. Mi venne in soccorso Rutelli, allora ministro per i Beni culturali, che parlò con Napolitano e tutto divenne più facile. Il giorno dell’onorificenza, che premiava l’investimento fatto in nome della moda italiana, ci riunimmo con Rutelli nello studio privato del presidente. Arnault, che era accompagnato dalla moglie e dai due figli, s’intrattenne con lui per un’ora faccia a faccia, e uscendo mi chiese se Napolitano fosse di origine francese, perché non aveva mai incontrato uno straniero che parlasse la sua lingua così bene.
Prima – Dalla passione per Fendi è passata alla passione per la sua fondazione che la impegna molto con il restauro del Teatro Caio Melisso a Spoleto di cui, mi dicono, lei segue personalmente i lavori.
C. Fendi – La cultura genera felicità, solleva lo spirito. Con Spoleto c’è un solido rapporto cominciato con la grande amicizia con Gian Carlo Menotti, uomo di cultura, affascinante visionario, fondatore e patron del Festival, al quale la griffe Fendi è sempre stata vicina. E io in particolare. Quando mi trovo a Spoleto, in cima alla grande scalinata che scende verso il Duomo, provo sempre un tuffo al cuore, una grande emozione. Dal 2012 sono impegnata nella ristrutturazione di ogni dettaglio del Caio Melisso. I veri mecenati devono seguire direttamente gli interventi e non limitarsi all’erogazione economica. Per il restauro del sipario abbiamo fatto un bando al quale ha partecipato una cooperativa locale di giovani artigiani che ha vinto il concorso. Ho seguito quello che hanno fatto fino all’ultima tappa. Un lavoro meraviglioso.
Prima – Insomma anche i restauratori, gli stuccatori, i falegnami, i sarti, i pellettieri hanno a che fare con l’arte e la sua tutela?
C. Fendi – Certamente, è il nostro grande patrimonio da coltivare e preservare. L’italiano ha l’arte di fare con le mani in modo creativo. L’impegno della mia fondazione è soprattutto quello di ridare valore culturale all’artigianato, che considero una delle colonne portanti dell’Italia. Quest’anno a Spoleto ho promosso anche la mostra del grande costumista Piero Tosi, con i capi realizzati soprattutto per le regie di Luchino Visconti, che appartengono alla storia del teatro e del cinema. Questi costumi – realizzati dalla sartoria Tirelli e messi a disposizione dalla Fondazione Tirelli Trappetti, che li ha splendidamente conservati – sono proprio la rappresentazione ideale di quel bello e ben fatto che è l’artigianalità nel nostro Paese.
Prima – Però oggi tra i giovani c’è poca propensione per il lavoro artigiano.
C. Fendi – Bisognerebbe trasmettere il concetto che l’artigianalità è un grande patrimonio. Tutti i mestieri sono qualificanti e noi in molti casi possiamo essere i migliori al mondo, come scrisse il New York Times a proposito degli idraulici italiani.
Prima – Come valuta i recenti provvedimenti del ministro Franceschini per facilitare i privati che sotto forma di mecenatismo, partnership o sponsorizzazioni investono nei beni culturali? Sembra però che il messaggio faccia fatica a passare.
C. Fendi – Franceschini finora ha fatto bene, ma forse ha bisogno di maggiore comunicazione. Soprattutto in televisione. Perché ‘Ballarò’ non si occupa di più di cultura? Perché la Rai non promuove il mecenatismo con un grande spettacolo sulla cultura?
Ho sempre messo molto impegno nella comunicazione di Fendi e nella cura dell’immagine del gruppo, soprattutto negli Usa. Riguardo al nostro Paese e all’informazione in particolare ritengo che si ecceda troppo nel raccontare fatti penosi, storie sempre negative rispetto a storie di cultura, di eccellenze e di arte. A queste ultime si dà molto meno peso che all’estero. Tanto che gli amici stranieri mi chiedono “perché non vi amate?”. E sono gli stessi amici che mi domandano come mai un luogo stupendo come piazza Navona, a Roma, possa essere lasciato all’invasione delle bancarelle, sorpresi che non intervenga nessuno, ministro o soprintendente che sia.
Intervista di Claudio Sonzogno
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