Gli Uffici stampa privati cercano riconoscimento

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“Ci sono sempre meno giornalisti nelle redazioni. Con conseguenze gravi anche per l’ Inpgi, che chiude i bilanci in rosso, vende il patrimonio immobiliare e rischia di dover passare all’Inps come già avvenuto per altri comparti: si moltiplicano gli allarmi in tal senso.

Eppure ci sarebbe, anzi c’è, un comparto che potrebbe offrire un grande sbocco professionale a moltissimi colleghi: quello degli uffici stampa privati. Ma, complice un vuoto normativo, ciò non si avvera”.

Inizia così la nota di Paola Scarsi, consigliere Odg, componente Gruppo Uffici Stampa interno al CNOG e del  GUS – Giornalisti Uffici Stampa, che pubblichiamo qui di seguito:

“Affinché si inizi a mettere ordine in un comparto che presenta molti aspetti confusi, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha approvato all’unanimità il seguente ordine del giorno di cui sono stata prima firmataria : “Uffici stampa privati: il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti segnala il vuoto normativo. Ciò rende tra l’altro impossibile sanzionare l’abuso della professione che, per gli uffici stampa privati come già avviene per quelli pubblici, dovrebbe essere svolta esclusivamente dagli iscritti all’Ordine, con tutte le garanzie di professionalità, rispetto della deontologia e aggiornamento formativo che ciò comporta. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti auspica che il legislatore intervenga per colmare il vuoto normativo sopra evidenziato, a tutela della professione dei propri iscritti e del diritto dei cittadini di essere informati in maniera corretta.”

Per chi opera negli uffici stampa degli Enti pubblici (e non tutti) esiste la legge 150/2000 che offre “tutela” e soprattutto “riconoscimento” : anche nel suo regolamento attuativo si afferma che l’ufficio stampa dell’Ente pubblico, cui è “prioritariamente attribuita la gestione dell’informazione in collegamento con gli organi di informazione mezzo stampa, radiofonici, televisivi ed on line” è “costituito da personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti”.
Per chi invece lavora nel privato non c’è nulla, solo un grande guazzabuglio di titoli e cariche assolutamente intercambiabili: ufficio stampa, portavoce, relazioni con i media.
Manca il requisito più importante: l’essere iscritti all’Ordine dei Giornalisti.
Così tutti possono improvvisarsi addetti stampa: basta saper scrivere, avere agende piene di indirizzi mail e numeri di cellulare e, oggi soprattutto, saper utilizzare i social media.

E la professionalità? e la deontologia? e le fake news?
Sono tutti optional!

Per veder riconosciuta la professione non basta che:
La FNSI al punto h dell’art. 3 del proprio Statuto indichi tra i suoi compiti “rivendicare, anche in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti, la tutela del titolo professionale degli iscritti e ogni funzione di ricerca, elaborazione e controllo della comunicazione di notizie, comunque diffuse, compresi gli uffici stampa di enti pubblici o di aziende private, qualunque sia il mezzo tecnologico o la forma di impresa, promuovendo il necessario aggiornamento specialistico.
L’Ordine dei Giornalisti consideri l’attività di ufficio stampa, nel pubblico come nel privato, “una funzione prettamente giornalistica”, come veniva indicata nella Carta dei doveri del giornalista degli Uffici Stampa recepita nel 2016 nel Testo Unico dei doveri del giornalista.
Il questionario dell’AgCom sull’Osservatorio sul Giornalismo prevedesse tra le attività quella di ufficio stampa privato.
L’iscrizione all’ordine per chi lavora come ufficio stampa appaia quanto mai opportuna oggi, nell’epoca delle fake news: invece all’assenza di titoli si aggiunge l’assenza di sanzioni in caso di errori anche clamorosi o gravi.
Migliaia di colleghi siano costantemente scavalcati da giovani di belle speranze, che nulla sanno di etica e deontologia ma che hanno agendine piene di indirizzi e parlantina sciolta e che sono anche sconosciuti all’Inpgi.
L’assenza di riconoscimento renda difficile ai colleghi che lavorano come uffici stampa privati il mantenimento dell’iscrizione all’ordine (non essendo appunto riconosciuto come lavoro giornalistico).

Molti obiettano che il lavoro di ufficio stampa è cambiato, ma io replico attraverso il confronto con le altre professioni, riservate agli iscritti al relativo Albo, in cui nessuno si può improvvisare: medici, avvocati, psicologi, ecc ecc. A corollario e completamento di ciascuna di esse sono nate altre specializzazioni, ma il mediatore non è avvocato, il fisioterapista non è fisiatra, il coacher non è psicologo e chi si occupa di relazioni pubbliche non svolge l’attività di ufficio stampa.

L’auspicio è che il legislatore ascolti il grido d’allarme proveniente dal Consiglio nazionale dell’Ordine e metta mano alla materia, indicando chiaramente i confini della professione giornalistica, all’interno del quale devono essere inseriti anche gli uffici stampa privati”.