di Giulia Eremita – L’informazione è inquinata, tra notizie false, buzz e propaganda e l’economia dell’attenzione, dove tutti condividono tutto, non aiuta. Trovare la bussola per svolgere al meglio il proprio lavoro di giornalisti, ma anche capire di più di quello che succede per un lettore e cittadino, non è semplice e ogni media “si difende” come può.
Scivolare dando informazioni non certificate, ma più virali e sulla bocca di tutti, è capitato anche a testate autorevoli. Che sia successo inavvertitamente o volontariamente poco importa. Per portare traffico al sito e incrementare il relativo fatturato pubblicitario alcune testate, spesso, sembrano mettere da parte l’etica.
Al Web Summit di Lisbona si parte dalla denuncia ma si cerca anche di correre ai ripari con nuove linee editoriali basate sulla verifica delle fonti delle informazioni e con focus sul rispetto del lettore, soprattutto quello pagante.
La BBC, ad esempio, ha creato un ‘reality check’, una sezione nel sito, presente anche su twitter, dove le notizie più controverse vengono verificate. “Cerchiamo di non reagire alle notizie virali, più che altro identifichiamo cosa sia davvero rilevante per il nostro pubblico e approfondiamo” – spiega Fiona Campbell, controller di BBC News Online – la gente vuole sapere davvero cosa succede, dove si trova la verità, l’abbiamo visto con la Brexit”. “Cosí come durante le elezioni presidenziali, la gente aveva bisogno di report accurati, lo pretendeva”, racconta Cameron Barr, managing director del Washington Post. “Soprattutto quando paga per quel contenuto, come succede da noi”.

Tracciare la provenienza delle informazione e servirsi del cloud, tecnologia facilmente scalabile, può essere una buona pratica per smascherare le fake news, secondo Quentin Hardy, editorial head di Google Cloud. Anche se lui stesso ammette di “non conoscere le policy in materia di informazione di Google news e aggregati” e che il problema delle fake news è “parte integrante di un processo di apprendimento del nuovo sistema dei media ancora in atto”.
Anche per Joseph Kahn, Managing Editor del New York Times, la tecnologia, ma soprattutto le risorse umane specializzate su questi fenomeni di manipolazione dell’informazione, tra cui numerose figure IT e data analysts, sono “oggi indipensabili, anche se costosi”. Il quesito, per ora senza risposta, è: se li potranno permettere tutti o si creerà una divisione netta tra i media che possono permetterselo e chi non potrà?
Ann Mettler, head European Political Strategy Centre, European Commission, parla di “migliorare la regolamentazione sulla stampa e fake news e di guardare al fenomeno delle notizie fittizie e della loro ricaduta (dal terrorismo all’economia) in modo complessivo”. E aggiunge “ognuno deve svolgere il proprio lavoro nell’informazione al meglio”, ammettendo subito dopo che anche nelle informazione interne della commissione europea si creano spesso “fraintendimenti e confusione”. Insomma, una forma diversa di fake news non meno giustificabile.

La CNN si difende dalla viralità di notizie incerte tenendo un profilo basso. Per Meredith Artley, Editor-in-Chief, la ricetta è nel “non mettersi a fare più chiasso degli altri, piuttosto focalizzarsi: il caos è un’opportunità, ma va gestito”. Come? Sono tre le guideline per la redazione digital della CNN: 1- rispettare la propria audience con storie uniche e intelligenti; mettere in rete solo cose verificate. (Artley le definisce “the good things”); 2 – scegliere la propria audience e format di contenuto (da poco nato il format di CNN news per il mobile tutto basato sui fatti e chiamato ‘The Update’); 3- pubblicare una notizia non è l’attività ultima. “Bisogna capire cosa è successo a quella notizia, come è stata condivisa e commentata, dove è finita… bisogna saper ascoltare la propria audience”.

Sull’autorevolezza e credibilità delle notizie, secondo Joe Pounder, President, Definers Public Affairs “la rete oggi ha molta più autorità rispetto ai media tradizionali che hanno invece perso la mission di pubblica utilità, la loro autorevolezza”. E questo lo dicono anche i dati. Cenk Uygur, CEO & Host, The Young Turks, ricorda che la tv ha perso il 40% del suo audience negli ultimi 5 anni, il principale target della tv è invecchiato e ha un profilo culturale più basso. I giovani si informano in rete e quest’ultima deve cercare di “dare una prospettiva al lettore” proprio nella verifica della verità”. Da qui la necessità di tornare ai ‘basics’ del giornalismo e di cogliere le insidie di un’informazione frettolosa e reattiva a tutto quello che di cui si parla in quel momento. Alcune best practices, secondo Pounder, sono alla base dell’etica della professione e non sono cambiate molto, ovvero “registrare le fonti come si faceva un tempo e sentirne quante più possibili, anche di più di quello che si faceva prima”.

Cosa succede invece quando è la politica a usare opinioni espresse da fake account sui social per fare propaganda, magari proprio sotto elezioni? E’ stato al centro dell’intervista a Brad Parscale, Direttore Digital della campagna elettorale di Donald Trump. “Non sapevo che erano troll” – ha detto, sulla vicenda dei profili trollati pro-Trump durante le presidenziali, un anno dopo dalla vittoria del tycoon, ammettendo di averne ritwittato forse “uno” con il proprio account su twitter, “molti” da quello ufficiale della presidenza e di non essersi nemmeno chiesto se i commenti fossero reali o meno perché “twitter è fatto cosí”.